Asharq al-Awsat
20/07/2014

La persecuzione degli infedeli inizia dai cristiani di Mosul
di Abd al-Rahman al-Rashid
Traduzione e sintesi di Mariacarmela Minniti.

Migliaia di cristiani iracheni hanno lasciato le loro case di Mosul per dirigersi a Nord verso le zone curde sunnite, dopo che l’ISIS li ha minacciati di morte e distruzione qualora non si fossero convertiti all’Islam o non avessero pagato la jizya (n.d.r. imposta pagata dai non musulmani durante il periodo islamico classico). Gli estremisti hanno poi iniziato ad attuare le loro minacce dando alle fiamme l’episcopato della città per aprire un nuovo capitolo di odio e terrorismo.

Nel comprendere e affrontare la situazione emergono due questioni, una religiosa e l’altra politica, perché gli attori sono gruppi anarchici e terroristici estranei al potere e ricercati in tutto il mondo. Dal punto di vista religioso, ci aspettiamo che tutte le autorità e le istituzioni religiose deplorino, condannino e affrontino questo crescente fanatismo, che oggi minaccia il tessuto sociale e la convivenza religiosa nella regione. L’ISIS e simili organizzazioni estremiste sunnite e sciite, attaccano innanzitutto i seguaci delle proprie confessioni, prima che gli appartenenti ad altre fedi. In Iraq l’ISIS ha distrutto le tombe dei santi sufi, i mausolei sciiti e ha accusato di apostasia e ucciso i sunniti che non gli giuravano fedeltà. Ancora prima, in Siria ha rapito le suore di Maaloula, liberandole solo dietro ingente riscatto. Semina rovina soprattutto nelle zone sunnite che considera i suoi principali obiettivi al fine di stabilire il proprio potere.

Quanto all’aspetto politico della crisi, è rappresentato dalla penetrazione e dall’avanzata di questi gruppi estremisti che vengono sfruttati per mescolare le carte. L’Iraq non è che la seconda parte della storia ed è presto per dire come e dove si espanderanno questi gruppi sospetti: verso Baghdad o verso la Giordania e l’Arabia Saudita? Quanto alla Siria, l’ISIS, così come il fronte di Al-Nusra, si è costituito un anno e mezzo fa da gruppi fuggiti dalle prigioni di Al-Qaeda in Iraq e Siria, e ha allacciato legami con i gruppi estremisti baathisti e di Al-Qaeda che erano gestiti dal regime siriano durante l’occupazione americana dell’Iraq.

Non ci interessa come siano nati questi gruppi che sono riusciti solo a colpire la rivoluzione siriana e ora tentano di sabotare la rivolta dei tre governatorati dell’Iraq contro le pratiche di Al-Maliki: è più importante definirli dal punto di vista intellettuale e combatterli sul campo. Il vuoto, il caos e la guerra, l’assenza di un potere centrale come in Siria, o la sua debolezza come in Iraq, prolungheranno la vita delle organizzazioni estremiste, e con esse di gruppi che commettono massacri di civili in Iraq e Siria.

Se nei prossimi giorni gli iracheni riusciranno a formare un nuovo governo e a designare i titolari delle tre presidenze – e questo è il minimo auspicabile – possiamo dire che l’Iraq si risolleverà e le forze irachene si uniranno per combattere gli estremisti. Rimane il problema siriano, poiché risanare il regime è quasi impossibile e il conflitto proseguirà. La guerra, come tutte le guerre, fa emergere il peggio dell’umanità. Ciò che affrontano i cristiani arabi è una parte del caos indomabile che scuote la regione e che non prende di mira solo loro, ma tutti gli abitanti, le religioni e la pace sociale fra le componenti del mondo arabo costituite da decine di religioni, confessioni, sette e tribù e la cui realizzazione ha richiesto molto tempo.

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