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lug 28th, 2014

Iraq. Strategie statunitensi di contro-insurrezione e lotta all’Isil.
di Ehsan Soltani

Quando i comandanti Usa in Iraq, nel 2006, cercavano di capire quale fosse il modo migliore per affrontare l’insurrezione che stava nascendo, emersero due correnti di pensiero a riguardo.
Una di queste, che poi, l’anno seguente, è di fatto diventata la politica applicata dagli Stati Uniti, prevedeva l’aumento del numero delle truppe affiancato ad un nuovo modo di utilizzarle.
Questa ha preso il nome di COINdinistas (contro-insurrezione) ed è di fatto associata al generale David Petraeus, il quale ha spostato la base di comando a Fort Leavenworth e da lì ha steso un nuovo piano di combattimento, questa volta basato sulla sua idea di guerra, sia per l’Iraq che, più tardi, per quanto riguarda l’Afghanistan.
Questo piano, raccolto in un manuale, si basa sulle strategie utilizzate per domare sommosse come l’Insurrezione delle Filippine agli inizi del ’900, le rivolte anti francesi ed anti britanniche, fino a quelle utilizzate nel Vietnam.
L’approccio è quello di risolvere il problema presentatosi in Iraq, sfruttando le esperienze del passato, cominciando con il difendere la popolazione, impedendo agli insorti di utilizzarla per arruolare nuovi guerriglieri e, contemporaneamente, aumentare la credibilità del governo attraverso un incremento della capacità di amministrare il paese.
Il piano, in poche parole, prevedeva l’alleggerimento, in un tempo che fosse il più breve possibile, della pressione sulle forze armate americane, trasferendo gradualmente al governo di Baghdad, attraverso consulenze ed un’operazione di addestramento di un nuovo esercito nazionale, la responsabilità di garantire la sicurezza del proprio territorio.
Anche il generale Casey, all’inizio sostenitore di un’idea diversa da quella di Petraeus, si è poi convinto che questa era però l’unica strategia possibile; il fatto poi che Donald Rumsfeld, segretario alla Difesa, sostenesse quest’ultimo approccio lasciava comunque a Casey ben poco margine di manovra.
Il non interrompersi delle violenze, iniziate nel 2006 e proseguite per tutta l’estate del 2007 hanno spinto Bush e Robert Gates, che nel dicembre 2006 ha preso il posto di Rumsfeld, a sostituire Casey con lo stesso Petraeus e ad aumentare il contingente di forze Usa nel paese mediorientale di 25mila unità.
Osservando oggi questo dibattito, alla luce dell’espansione dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isil), si può notare però che entrambe le parti avevano argomenti validi.
Petraeus aveva ragione sul fatto che la violenza esplosiva che ha travolto in questo periodo la società irachena poteva essere contrastata solo con un forte aumento delle truppe Usa nelle città, che garantisse la sicurezza della popolazione, creando una barriera tra questa e gli jihadisti, mentre le forze di sicurezza nazionali venivano addestrate ed il governo stabilizzato; questo approccio ha funzionato però solo finché le truppe americane erano presenti in numero sufficiente e schierate secondo il nuovo piano che Petraeus aveva proposto.
Eppure anche anche Casey non aveva torto: non era, come pensano alcuni, troppo retrogrado per cogliere l’impostazione e l’utilità delle tecniche di contro-insurrezione riscoperte dal COINdinistas di Paetraeus; Casey ha infatti fondato una scuola di COIN (Counter-insurgency) per i comandanti statunitensi, nella quale viene insegnato pure quest’ultimo.
La sua comprensione della politica irachena era, tuttavia, più profonda di quella di Petraeus. Dal suo punto di vista infatti, la conditio sine qua non per il successo di una contro-insurrezione era quella della presenza di una grande forza militare esterna che agisse per conto di un governo nazionale legittimato dal popolo.
A suo avviso però, il governo Maliki non era adeguato a questo scopo, la sua opinione era infatti che questo esecutivo fosse solo uno dei tanti schieramenti in lotta tra loro nell’ambito di una guerra settaria; tale era il motivo per cui, secondo Casey, non c’erano le basi perché l’operazione di repressione della rivolta avesse successo.
Il primo passo infatti sarebbe dovuto essere quello di fare in modo che il governo Maliki creasse una serie di interrelazioni con le diverse amministrazioni locali, anche appartenenti a fazioni avversarie, e che fornisse, su tutto il territorio nazionale, servizi e diritti uguali, indistintamente, per tutta la popolazione.
Uscire dalla missione però non avrebbe ulteriormente coinvolto gli Stati Uniti in caso di una cattiva amministrazione di Maliki e, inoltre, avrebbe dato all’esercito un periodo di pausa e di allentamento della tensione.
Come fa notare John Nagl, esperto di contro-insurrezioni, molto significativa è la metafora proposta da T.E. Lawrence (Lawrence d’Arabia): “è come mangiare una scodella di minestra con il coltello”. Benché Casey avesse preso sul serio la visione a lungo termine dell’idea proposta dal COINdinist, pensava però che gli americani non avrebbero avuto così tanta pazienza.
C’era inoltre un altro problema, del quale in seguito si sono accorti gli esperti di Leavenworth che hanno redatto il manuale, in cui come strategia si indica di “separare gli insorti dalla popolazione ed isolarli” e, se tutto è andato secondo le previsioni, “cooperare con il governo”.
Vedendo lo svolgersi degli eventi in quel periodo, i redattori del piano si sono chiesti però se questa dottrina fosse conciliabile con la situazione che si era creata, con frange della popolazione in balia dell’estremismo religioso che non poteva essere represso con l’uso della forza.
Riflettendo sulle vicende di quel periodo è oggi semplice capire perché le opzioni a disposizione di Washington per rispondere alla minaccia dell’Isil sono così ridotte.
Garantire la sicurezza della popolazione senza una massiccia presenza di truppe sul territorio è praticamente impossibile e ancora più difficile sarebbe isolarla dagli insorti; il radicalismo dell’ideologia che caratterizza i membri ed i leader dell’Isil renderebbe inoltre inefficace, se non inutile, ogni tentativo di trattativa ed accordo.
A tutto questo si aggiunge ciò che Casey aveva capito anni fa, cioè che il governo Maliki altro non è che una delle tante fazioni in lotta in cui è frammentato l’Iraq attuale e che, di conseguenza, non gode di una vasta legittimazione e nemmeno della necessaria stabilità.
L’amministrazione Obama sarà di conseguenza costretta ad azioni marginali: operazioni di intelligence, di raccolta informazioni e di indebolimento dell’Isil tramite l’eliminazione dei suoi leader, continuando nel suo tentativo di rafforzare le forze armate irachene, intensificando le forniture di armi e sostenendo gli alleati vulnerabili come la Giordania.
Solo se l’Iraq evolverà verso politiche più inclusive nei confronti di tutte le diverse fazioni l’intervento americano potrà prendere piede su una scala più vasta.

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