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11/08/2014

In Iraq è strage, donne e bambini sepolti ancora vivi
di Maurizio Molinari
Corrispondente da Gerusalemme

Baghdad: centinaia di yazidi gettati nelle fossi comuni dai miliziani del Califfo. In 20 mila riescono a fuggire

Centinaia di yazidi uccisi e gettati nelle fosse comuni, in molti casi ancora vivi: è il governo di Baghdad ad accusare gli jihadisti sunniti dello Stato Islamico (Isis) di crimini di guerra commessi contro le minoranze nel Nord dell’Iraq. 

Mohammed Shia al-Sudani, ministro per i Diritti Umani nel governo di Nuri al-Maliki, afferma di «essere in possesso di prove schiaccianti forniteci da gruppi di yazidi in fuga da Sinjar, scampati per caso alla morte». Hanno raccontato di «crimini orrendi commessi dalle bande dello Stato Islamico» che gli danno la caccia considerandoli dei «seguaci del Diavolo». In particolare gli jihadisti fedeli ad Abu Bakr al-Baghdadi, auto-proclamato Califfo dell’Islam, avrebbero «giustiziato almeno 500 yazidi dopo la cattura di Sinjar» sottolinea al-Sudani, specificando che «i corpi sono stati gettati in fosse comuni e alcune delle vittime, inclusi donne e bambini, sono stati sepolti vivi».  

A un gruppo di 300 famiglie era stato dato l’ultimatum di ieri alle 12 per «convertirsi all’Islam» ma non è chiaro cosa sia avvenuto in seguito. Lo «Stato Islamico» di al-Baghdadi ha proclamato la nascita del «Califfato» sui territori di Siria e Iraq che controlla e sta cercando di estenderli, puntando a conquistare città e villaggi popolati da cristiani e yazidi, fino a spingersi ad appena 30 km di distanza da Erbil, capitale del Kurdistan iracheno. L’intento del «Califfo» è «fare giustizia» dei yazidi, che professano una fede derivata dallo «zoroastrismo» e non appartengono dunque alle religioni monoteiste. La strategia del «Califfo» al-Baghdadi sembra essere la cattura di aree delle minoranze in Iraq, prima di affrontare il duello con gli sciiti delle regioni del Sud. Almeno 20 mila dei 40 mila yazidi esistenti si sono dati alla fuga e secondo il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, che ieri ha fatto tappa a Baghdad, «serve una risposta comune a questo terrorismo» per correre in loro soccorso. Alcuni dei fuggiaschi sarebbero già giunti in Siria.  

Intanto, sul fronte militare, il Pentagono ha bersagliato le postazioni militari di «Isis» con il quarto raid aereo consecutivo in meno di 48 ore, esercitando una pressione militare sugli jihadisti che ha consentito alle unità peshmerga - composte da curdi, uomini e donne - di riprendere l’iniziativa dopo gli smacchi subiti. Sono due i piccioli centri che i curdi hanno riconquistato - Makhmour e al-Gweir - entrambi a circa 40 km da Erbil con un blitz nella notte che ha coinciso anche con l’intervento di terra grazie al quale circa 5000 yadizi sono stati fatti fuggire dall’area assediata in cui si trovano. Nel tentativo di rafforzare le posizioni curde, il governo di Baghdad ha inviato a Nord contingenti di truppe speciali incaricate di «individuare ed eliminare le gang di criminali».  

Massud Barzani, capo del governo di Erbil, chiede «aiuto a Baghdad e alla comunità internazionale» perché «ci battiamo da soli ma abbiamo bisogno di sostegno» a cominciare da munizioni per le truppe e cibo per i civili. Intanto «Isis» apre un nuovo fronte, minacciando la Turchia di Recep Tayyp Erdogan nel giorno del risultato presidenziale: «Conquisteremo Istanbul», recita un messaggio attribuito al «Califfo», intenzionato a vendicarsi contro Ankara «per il tentativo di deviare il corso dell’Eufrate» al fine di «punire Raqqa», capitale siriana pro-tempore di al-Baghdadi.

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