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10/06/2014

Iraq, il rischio di uno Stato nello Stato
di Silvia Favasuli

Le forze qaediste prendono la città di Mosul. Per Plebani (Ispi) è «segno di un loro rafforzamento»

Era lo scorso gennaio e su questo giornale Eugenio Dacrema aggiornava il conto delle vittime fatte da una “guerra” nascosta, mai dichiarata tale. In Iraq, lo scontro civile tra le forze governative e le milizie qaediste attive nel Paese aveva fatto settemila morti solo nell’ultimo anno. Una cifra che non si registrava dal 2008, ultimo momento della campagna congiunta Usa-Iraq contro l’organizzazione terroristica. Una cifra raggiunta a colpi di esplosioni settimanali, scontri settari e città occupate dai miliziani, tra cui Falluja e Ramadi. Trenta, quaranta vittime ogni volta. Fino all’escalation di oggi, 10 giugno, quando il gruppo qaedista dello Stato Islamico dell’Iraq e della Siria (Isis), arriva a occupare la seconda città irachena per popolazione, Mosul, nel Nord. Vengono presi edifici chiave, tra cui la sede del governo provinciale di Nineveh e l’aeroporto. E il premier Nuri al-Maliki chiede al Parlamento l’introduzione nel Paese dello Stato di emergenza. 

Come si è arrivati a questo punto? Come è stato possibile che Isis si rafforzasse tanto? Ne parliamo in questa intervista con Andrea Plebani, Research Fellow dell’ispi per il Mediterraneo e il Medio Oriente.

«Quello di oggi è il culmine di un’operazione iniziata lo scorso anno e intensificata a fine 2013 da parte di Isis, gruppo islamista radicale che opera in Iraq e Siria e che sino a pochi mesi fa era una delle sezioni più importanti di al-Qaeda. Ma inizialmente si trattava di un’operazione diretta verso il Governatorato di al-Anbar, la regione più grande dell’Iraq che occupa, nella parte occidentale, circa un terzo della superficie del Paese. Una regione con due caratteristiche importanti: è una zona desertica, a bassa densità di popolazione, con poche città e fortemente tribale, quindi un terreno, per il governo iracheno, molto aspro e difficile da controllare. Ma importante, anche perché si trova al confine con la Siria, cosa che è un fattore determinante per Isis, che ha come obiettivo finale quello di creare uno stato islamico tra Iraq e Siria (lo dice il suo stesso nome, Stato Islamico dell’Iraq e della Siria). Ed è, infine, una provincia a maggioranza arabo-sunnita (Isis è di orientamento sunnita in un Paese in cui gli sciiti rappresentano la maggioranza relativa, oltre il 50%, ndr).

Quando è scoppiata la contrapposizione sunnita-sciita?
In Iraq la contrapposizione tra la popolazione sunnita e il premier al-Maliki, sciita, ha radici profonde ma è esplosa tra 2012 e 2013. Ci sono state proteste in numerose città, scioperi, e si è verificato uno scollamento tra il governo e le regioni di Baghdad e del governatorato di al-Anbar, già roccaforti dei gruppi qaedisti (sunniti, ndr) ai tempi della guerra contro gli Usa. In realtà, l’Isis, è fortemente presente anche nelle province settentrionali del governatorato di Niniveh, dove si trova, appunto, la città di Mosul, conquistata oggi. Ma Mosul è sempre stata più una base logistica per il gruppo. Qui, formazioni Isis sono attive da tempo in traffici illeciti e racket, ma sono impegnate anche nella persecuzione di minoranze locali, soprattutto cristiane, o in attività criminali come traffico di armi e droga, utili per finanziarsi. 

Mosul è una città chiave per l’Iraq, sia perché è la seconda città per popolazione, ma anche perché è uno snodo commerciale importante, con traffici diretti verso la Siria. Ma è anche la città nota per il forte nazionalismo, e quella da cui, sopprattutto all’epoca precedente la caduta di Saddam Hussein provenivano le leve più importanti delle forze armate. 

È per questo che Isis ha deciso di attaccarla e di conquistarne le principali sedi?
Gli eventi delle ultime ore sono estremamente significativi. Non è la prima volta che Isis conquista città in Iraq. È successo in centri piccoli come Falluja o Ramadi. Ma spesso, le forze qaediste si limitano a attaccare, occupare sedi ufficiali, issare la bandiera nera per qualche ora o qualche giorno, ma poi finiscono per abbandonare i centri. E lo fanno perché sono incapaci di mantenere il controllo delle città per molto tempo. Non hanno uomini, mezzi e sostegno locale sufficienti per affrontare un eventuale dispiego di forze governative irachene. Perché allora hanno deciso di attaccare una città strategica come Mosul, pur sapendo che forse non saranno in grado di mantenere le posizioni? È quello che si chiedono gli analisti ora.

Perché, dunque?

Quello che si teme è che le milizie qaediste abbiano raggiunto sufficienti capacità e mezzi per mantenere le posizioni. Forse sono in possesso di strumenti militari di alto livello. Dobbiamo ricordare che a Mosul i miliziani hanno occupato le caserme, diverse istallazioni militari, il palazzo provinciale e l’aeroporto. Non solo. Hanno anche costretto il governatore Atheel al-Nujaifi - fratello di uno dei principali esponenti della comunità arabo-sunnita in Iraq - ad abbandonare il palazzo provinciale durante l’occupazione. E proprio perché divenuti capaci di mantenere il controllo avrebbero scelto di impossessarsi della città chiave di Mosul. Ma questa è solo una delle possibili spiegazioni, tra le quali potrebbero esserci anche solo la volontà di dimostrare le proprie capacità sul campo e di impossessarsi di risorse e materiale bellico.

Quali scenari si aprono a questo punto?
Nei prossimi giorni saremo in grado di capire quanto davvero Isis si sia rafforzata. Se riuscirà a mantenere il controllo di Mosul, le ipotesi sono tre: Isis coinvolge l’esercito iracheno in una guerra casa per casa, utile alla milizia per dimostrare il suo potere e prolungare il conflitto. Ma questa ipotesi ha anche dei lati negativi, perché Isis otterrebbe l’opposizione netta della comunità internazionale e perché al-Maliki, uscito vincitore dalle elezioni del 30 aprile, fatica ora a formare una maggioranza di governo. La minaccia dell’Isis potrebbe favorirlo, mostrandolo come l’unico in grado di unire le forze contro i qaedisti e quindi accelerando la formazione di un governo di coalizione. 

Un secondo scenario prevede che la situazione a Mosul finisca come quella di Falluja o Ramadi: i miliziani restano in possesso della città usando la popolazione locale come scuso, e le milizie governative si limitano a cingere la città d’assedio, per evitare spargimenti di sangue tra civili. Ma la rilevanza di Mosul è tale da rendere tale opzione difficilmente perseguibile.

L’ultima possibilità è che al-Maliki raduni tutte le forze militari irachene al nord per dispiegarle contro Isis e liberare la città, probabilmente anche con l’aiuto di forze curde. A questo punto Isis si ritirerebbe in Siria, ma più forte di prima perché consapevole di aver saputo tenere in scacco l’esercito iracheno, ma soprattutto con una dotazione militare importante, specie qualora fosse riuscita ad entrare in possesso di armi anti-aeree che potrebbero garantirle un vantaggio marginale importante in chiave siriana per difendersi dagli attacchi aerei delle truppe di Assad.

Lo scenario peggiore è quello in cui Isis rafforzi la sua presenza a Mosul. Perché a quel punto avrebbe due roccaforti importanti: Mosul e al-Anbar che si andrebbero ad aggiungere a Raqqa e alle altri basi in Siria. E non resterebbe che parlare di Stato nello Stato, o negli Stati. 

 

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