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27 Ottobre 2014

Psicosi jihadista
di Alessandro Carocci

Nel mondo dell’informazione immediata, nel mondo del capitale informatico, nel mondo della rete e della fibra, non sono solo le notizie e i grandi avvenimenti ad essere veicolati attraverso i lampi di luce che attraversano i cavi sottomarini, ma si diffondono anche paure, psicosi che, a loro volta, vengono gonfiate dai media tradizionali.

Prima Al-Qaida, ora Boko Haram in Africa e ISIS in Medio Oriente. Attacchi, attentati, fronti militari, rapine, saccheggi ed esecuzioni: tutto questo sta accadendo ora in Iraq e Siria. Le ripercussioni in quelle terre sono gravissime, con migliaia di morti e con città rase al suolo e ora, alle porte della Turchia, potenza a tutti gli effetti occidentale, almeno sulla carta, in quanto membro tra i più solidi della NATO, l’ISIS incomincia a far paura anche all’occidente, che si limita a compiere raid aerei che hanno il solo risultato di “spargere” tra la popolazione le cellule di comando jihadiste, anziché neutralizzarle. Un occidente timido per quanto riguarda le azioni militari in stile “Desert Storm”, ma un occidente chiacchierone entro i propri confini.

Con le notizie del piccolo esodo di musulmani che, dal Regno Unito, Francia, Germania, Italia, Spagna si dirigono, arrivandovi senza troppi problemi, verso il fronte in Siria e in Iraq; con le minacce dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, il quale non si risparmia in grandi comunicati (“Conquisteremo la vostra Roma, spezzeremo le croci e faremo schiave le vostre donne, con il permesso di Allah”); con gli ultimi avvenimenti in Canada e a New York City, la psicosi si diffonde. A ogni aggressione pubblica compiuta da qualche squilibrato mentale, subito nasce il sospetto che vi sia, dietro l’agire di esso, l’ombra dell’ISIL. Tali sospetti vengono repentinamente e con sistematico impegno gonfiati dai media nazionali e internazionali.

Le notizie viaggiano anche attraverso i social network (che compiono, un po’, il ruolo delle televisioni, solo che su internet), sicuramente non i migliori mezzi di informazione, provocando, nelle diverse migliaia, se non milioni, di lettori, una paura pubblica che può essere paragonata, se non posta un gradino sopra, a quella che ora aleggia nell’aria per l’allarme ebola. L’attacco ad Ottawa, in Canada, e l’aggressione ai quattro poliziotti a New York City, hanno in comune con l’ISIS solo il fatto che a compiere tali gesti e tali azioni siano stati individui islamici. Ma non è la prima volta che succedono cose simili, e sarebbe veramente deprecabile dimenticare, ad esempio, la gravissima aggressione (o attentato) in Norvegia di Anders Breivik, integralista cristiano, non solo compiuta contro il campo estivo sull’isola di Utøya (sessantanove vittime) ma anche contro il Regieringskvartalet, il quartier generale del governo a Oslo (otto vittime). Il fatto che a compiere tali attentati siano stati uomini di religione islamica, non significa che siano direttamente collegabili allo Stato Islamico. Ovviamente, questa piccola, ma fondamentale, osservazione non è molto seguita dai media ufficiali, i quali gonfiano, quasi con pornografico piacere, tali notizie, portando altre fonti di informazioni (che non si documentano quanto sarebbe doveroso farlo) ad affermare addirittura che siano attentati dietro i quali vi sia sicuramente l’IS, il quale, certamente, non va sottovalutato e non va preso con leggerezza.

Probabilmente, oltre alla naturale tendenza delle notizie di gonfiarsi da sé e oltre alla sete di audience dei telegiornali, dei giornali e, più in generale, dei mezzi di informazione occidentali, c’è un certo interesse nel diffondere questa paura tra i cittadini. Non è una novità che la paura sia il miglior modo di tenere buone le masse e che stia facendo nascere l’idea che vi sia assolutamente bisogno di un intervento delle truppe statunitensi e, in senso più largo, delle truppe NATO, in terra siriana ed irachena. I raid non bastano più, incomincia a dire il coro mediatico occidentale. Un

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