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3 dicembre 2014

La nuova Al-Qa’eda
di Leonardo Palma 

Che fine ha fatto al-Qa'eda? Con la morte di Osama Bin Laden e i successi dello Stato Islamico di al-Baghdadi, l'organizzazione terroristica ritenuta responsabile degli attentati dell'11 settembre e che per un decennio è stata il nemico numero uno dell'Occidente sembra essere scomparsa, alcuni dicono sconfitta. Purtroppo il network degli Sceicchi del terrore è ancora attivo e molto vitale, ma leggermente più silenzioso.

 “And just as they made rivers of blood flow in our countries, we shall – with the help of Allah – explode volcanoes of anger in their countries. And the lands and interests of those countries which participate in aggression against Iraq, Palestine and Afghanistan are target for us, so distance yourself from them if you seek peace.” Con queste parole il Dottore, alias Ayman al-Zawahiri, ha esortato le comunità musulmane a colpire le “forze laiche e crociate” responsabili dell’occupazione delle Terre dell’Islam. Si tratta del penultimo di 21 messaggi di propaganda on-line che il nuovo leader di al-Qa’eda ha realizzato dopo la sua successione ad Osama Bin Laden e che mostrano la volontà del gruppo di mantenere salda la posizione di guida ideologica e culturale dell’internazionalismo jihadista. Dopo l’operazione militare statunitense ad Abbottabad nel maggio 2011, analisti di intelligence, esperti e giornalisti si sono interrogati sul futuro di una organizzazione che aveva cominciato a subire duri colpi da parte dell’antiterrorismo occidentale e che adesso si trovava a perdere la sua guida storica. E’ fuor di dubbio, infatti, che al-Qa’eda fosse stata ridimensionata enormemente nelle sue capacità gestionali e operative, e che presentasse evidenti segni di discontinuità nella capacità di mantenere saldo il controllo su di un network già di per sé fortemente decentralizzato. Questo non ne aveva certamente diminuito la pericolosità o la virulenza ma, perlomeno, aveva reso impraticabile l’organizzazione di un altro 11 settembre, sia da un punto di vista logistico-operativo che finanziario.

La morte dello Sceicco è sembrata poi, per un momento, come l’asportazione finale di una fondamentale sinapsi del “sistema nervoso” di al-Qa’eda che avrebbe potuto collassare per contrasti interni, dovuti a problemi ideologico-operativi e di successione. François Heisbourg, presidente dell’Istituto Internazionale per gli Studi Strategici di Londra e consulente di sicurezza nazionale del governo francese, in un libro edito nel 2009 (Aprés Al Qaida. La nouvelle génération du terrorisme, Editions Stock, Parigi) sosteneva la tesi che al-Qa’eda si stesse avviando verso il suo crepuscolo, lasciando però in piedi una pericolosissima e incontrollata galassia jihadista soprattutto nei paesi medio-orientali e nord africani. Le sue previsioni si basavano sull’analisi-confronto di precedenti fenomeni terroristici (come quello politico e irredentista dell’ETA in Spagna, dell’IRA in Irlanda e delle BR in Italia) che avevano confermato, seppur nelle loro rispettive specificità di fini, mezzi e ideologie, come il terrorismo, poiché fenomeno sociale umano, è destinato a seguire un percorso di “nascita-crescita-apoteosi-decadenza-crepuscolo-morte”, anche a fronte di una durata operativa di più di trent’anni. al-Qa’eda non fa eccezione, sebbene Heisbourg le abbia riconosciuto un potere molto più forte ed esteso per via della matrice mistico-religiosa, della tradizione storica e della diffusione delle comunità islamiche nel mondo; per questo motivo, secondo lo studioso, anche se l’organizzazione di Bin Laden ha perso la sua capacità operativa e potrebbe finire per scomparire, la Jihad potrà andare avanti ancora per molti anni e ripresentarsi sotto forme ancora più pericolose e sfuggenti. Le sue previsioni, sfortunatamente, si sono avverate solo in parte; perché se è vero che si è venuta a formare una nuova galassia jihadista, non è altresì vero che al-Qa’eda ha perso il proprio ruolo di organizzazione principe del terrorismo internazionale. Dal 2009 al 2013, infatti, sono intervenuti fattori esogeni (che lo studioso riconosce come fortemente incidenti sull’evoluzione interna delle strutture terroristiche) che non solo hanno portato al-Qa’eda a riorganizzarsi, ma l’hanno resa anche più forte. Il primo di questi fattori esogeni che Heisbourg non poteva prevedere è stata la Primavera araba del 2011, il secondo la morte di Osama Bin Laden per mano degli USA nello stesso anno. Entrambi questi eventi hanno agito da catalizzatori sulle spinte dell’integralismo islamico che ha trovato valvole di sfogo, nuovi obiettivi e un rinnovato bisogno di una guida, seppur solo ideologica o logistica, incarnata dal nucleo storico di al-Qa’eda.

L’accendersi delle rivoluzioni in Tunisia, Libia, Egitto, Sudan e Siria venne salutato come la possibilità di trovare alternative ai regimi dittatoriali del Maghreb e l’instaurarsi di quadri democratici che potessero convivere con l’Islam politico. Tutto ciò non solo non si è realizzato ma ha provocato anche un acuirsi della radicalizzazione di alcuni gruppi politici di ispirazione musulmana che continuano a vedere nella lotta armata l’unica via per la realizzazione di uno Stato islamico (dimostrando quel connubio ancestrale di visione politica e religiosa del Verbo di Allah). Al fallimento delle rivoluzioni arabe bisogna affiancare anche la morte di Osama Bin Laden che, a dispetto di quanto dichiarato dal Presidente Obama, non ha per nulla fiaccato o disorientato il core di al-Qa’eda ma gli ha conferito quel guizzo di rinnovamento che, dall’inizio delle guerre di Bush, aveva perso. Ayman al-Zawahiri, nominato successore di Bin Laden a capo della Shura (il “consiglio di consultazione” del vertice qaedista), insieme al suo nuovo numero due, Nasir al-Wuhayshi, ha saputo, in poco più di due anni, estendere l’influenza dell’organizzazione dall’Algeria alla Somalia fino al Pakistan. La strategia adottata è stata quella della massima decentralizzazione operativa del gruppo che, da Internazionale del terrore protetta dal regime dei Mullah (prima di Enduring Freedom), si è trasformato in un network terrorista liquido che, come una holding finanziaria, pensa globalmente ma agisce localmente. Una struttura tentacolare priva di direzione strategica dotata però di una sorta di intelligenza organica, fomentata da un fanatismo politico-religioso e capace di riprodurre ovunque il medesimo, efficace, elementare modello organizzativo. Se al-Qa’eda non è più capace di attentati come l’11 settembre, può però perseguire la sua missione di costituire un grande Califfato Islamico nelle terre del Dar al-Islam (Casa dell’Islam), e colpire l’Occidente nei simboli del capitalismo estero come ambasciate, centri commerciali, fast food, navi e sequestri di persona.

Seguendo questo linea guida, Ayman al-Zawahiri ha aperto le porte della sua organizzazione a movimenti di matrice jihadista-irredentista come Jabhat al-Nusra in Siria, al-Shabaab in Somalia, Ansar al-Islam in Tunisia, Boko Haram in Nigeria e così via, sfruttando, come detto, l’instabilità della fascia nord-africana e medio orientale e garantendo una capillare diffusione dell’ideologia qaedista. In Medio Oriente, più specificamente, Nasir al-Wuhayshi, il suo numero due, ha ristrutturato efficacemente il gruppo AQAP (al-Qa’eda nella Penisola Arabica) sfruttando lo sfaldamento sociale e politico dello Yemen e scollandosi dal controllo della monarchia saudita. Questo gruppo rappresenta senza dubbio il “nocciolo duro” della nuova organizzazione e di gran lunga quello più pericoloso, sia a livello finanziario che operativo. Ad esso, dopo il ritiro delle truppe americane nel 2011, si è unita la nuova cellula di al-Qa’eda in Iraq che, dopo la morte del leader storico al-Zarqawi nel 2004 e l’efficacia repressiva del generale Petraeus, ha saputo riorganizzarsi nell’ISIS (The Islamic State of Iraq and al-Sham) e tornare più forte e pericoloso di prima con la proclamazione dell’ormai noto Califatto tra Iraq, Kurdistan e Siria.

Di fronte a questo vasto e complesso network del terrore, il nucleo storico di al-Qa’eda si è posto come una guida ideologico-religiosa, politico-logistica (ma non strategica o operativa) e di propaganda attraverso un uso massiccio della comunicazione e del web per fini di indottrinamento e reclutamento. Tuttavia, le comunicazioni realmente importanti avvengono ancora attraverso una fitta rete di corrieri (come i pizzini di Bernardo Provenzano) che deliberatamente non utilizzano alcun tipo di supporto tecnologico. E’ molto più sicuro, sebbene più difficile e complicato, spostare soldi tramite il sistema delle hawala che con banche o società fittizie, così come è più sicuro consegnare pacchi a mano nelle varie moschee, case, negozi, punti vendita e uffici che magari non hanno nulla a che fare con al-Qa’eda. La nostra società si regge sulla tecnologia; ormai siamo connessi in ogni momento con il mondo che basta un solo SMS, una foto, una chiamata di pochi secondi, un cellulare dimenticato acceso che aggancia una cella telefonica per essere rintracciati. Ma cosa succede se un gruppo volta le spalle alla tecnologia? Se smettono di usare cellulari, carte di credito, e-mail, computer, tablet e passano le comunicazioni di bocca in bocca, di mano in mano, da un corriere anonimo ad un altro, semplicemente spariscono tra la folla; e rintracciare un terrorista, se non si infiltra la sua rete, può diventare particolarmente difficile soprattutto a fronte della nascita, dopo la morte di Bin Laden, di questa nuova al-Qa’eda.

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