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12/06/2014

Al-Qaeda, la minaccia che Obama non sa eliminare
di Mattia Ferraresi

Dal 2010 al 2013 i gruppi jihadisti sono cresciuti del 58%. I combattenti attivi sono 100 mila

Nel discorso sulla politica estera all’accademia di West Point, Barack Obama ha spiegato che «per il prossimo futuro la minaccia più diretta all’America, in casa e nel mondo, rimane il terrorismo». Si tratta di un’inversione di tendenza rispetto ai messaggi rassicuranti lanciati dalla Casa Bianca negli ultimi anni a proposito delle minacce terroristiche. In decine di apparizioni pubbliche Obama ha parlato con una certa soddisfazione di al Qaeda «in fuga», «decimata», «sulla strada verso la sconfitta» e altre variazioni sul tema, mentre ora il tono appare più prudente, perfino preoccupato. Certo, l’avanzata dell’Isis in Iraq, l’imminente ritiro del grosso delle truppe dall’Afghanistan, le opportunità di riorganizzazione delle forze jihadiste offerte dalla guerra civile in Siria e dal fragilissimo governo della Libia, l’espansione di network indipendenti come Boko Haram in Nigeria e il recente rilascio di cinque comandanti talebani detenuti a Guantanamo in cambio del sergente americano Bowe Bergdahl impongono una certa misura nelle dichiarazioni. Ma c’è dell’altro.

A spiegare le preoccupazioni presidenziali ci pensa uno studio sullo sviluppo del terrorismo a livello globale condotto dal think tank Rand e pubblicato nei giorni scorsi. Il report dice che dal 2010 al 2013 il numero di gruppi jihadisti è cresciuto del 58 per cento, mentre il numero dei combattenti attivi nell’universo dell’estremismo islamico è raddoppiato, arrivando a 100 mila unità. Il numero di attacchi nel periodo considerato è quasi triplicato. Sono gli effetti collaterali della destabilizzazione portata dalle primavere arabe.

Lo studio, firmato da Seth Jones, direttore del centro di sicurezza internazionale di Rand, divide i gruppi terroristici in tre categorie fondamentali, a seconda del tipo di minaccia che presentano agli Stati Uniti. Ci sono quelli, come il nucleo centrale di al Qaeda, che ambiscono ad attaccare direttamente l’America, e sono particolarmente attivi nel reclutare combattenti occidentali. Questi gruppi sono attivi in Afghanistan, Pakistan, Yemen e ora anche in Siria, dove alla fine di marzo è stato registrato il primo attacco suicida commesso da un americano affiliato al fronte jihadista di al Nusra.

In Somalia, Iraq, Nigeria e Libia crescono invece cellule terroristiche che hanno come obiettivo quello di danneggiare gli interessi americani nella regione. Un terzo gruppo è costituito da una galassia periferica di movimenti locali dalla Cina al sudest asiatico fino all’Africa. Su tutti i fronti i network terroristici sono in un momento di crescita dal punto di vista del reclutamento e delle risorse a disposizione.

Per fronteggiare queste minacce, Jones suggerisce una duplice strategia antiterrorismo: da una parte l’America dovrebbe combattere in modo diretto i gruppi che godono della protezione, e in alcuni casi del sostegno attivo, dei governi locali. I casi esemplari sono Afghanistan e Pakistan. Per quanto riguarda i movimenti locali o i gruppi che non hanno le risorse per minacciare direttamente agli Stati Uniti, Rand suggerisce invece di creare o rafforzare partnership con le autorità locali basate sul comune interesse per la stabilizzazione.

L’espansione del terrorismo islamico in termini assoluti non deve però ingannare. Come nota Daniel Drezner, professore di relazioni internazionali alla Tufts University, lo stesso studio dice che il «99 per cento degli attacchi di al Qaeda nel periodo considerato era contro avversari regionali» e un’analisi qualitativa delle forze terroristiche mostra che «al Qaeda si sta sempre più decentralizzando».

La rappresentazione di un terrorismo in rapida crescita, magari in grado di attaccare direttamente gli Stati Uniti, va dunque affiancata all’immagine di una rete sempre più divisa, polverizzata in decine di gruppi spesso in conflitto fra loro. Il caso di scuola in questo senso è quello dello Stato islamico dell’Iraq e della Siria, gruppo perfettamente sovrapponibile ad al Qaeda in termini di metodi e ideologia ma che non riconosce la leadership di Ayman al Zawahiri, il successore di Osama Bin Laden. In Siria è al Nusra il portabandiera ufficiale di al Qaeda. Non basta un incremento numerico per decretare un salto di qualità della minaccia terroristica nei confronti dell’America e dell’occidente, ma certo per Obama non è più il caso di parlare di al Qaeda “in fuga”, “decimata” o “sulla strada verso la sconfitta”.

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