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13/06/2014

In Iraq l’Isis avanza ma non ha chance di vittoria
di Tommaso Canetta

Gli jihadisti sono accerchiati da nemici: Usa, al Qaeda, Assad, insorti siriani, turchi e curdi

Dopo la conquista della provincia settentrionale di Niniveh e del suo capoluogo Mosul – seconda città dell’Iraq per abitanti – i guerriglieri dell’Isis (Islamic State of Iraq and Levant) proseguono la propria avanzata verso Baghdad. A seguito della presa di Tikrit, città natale di Saddam Hussein che si trova a 150 km dalla capitale, e alla liberazione di molti guerriglieri detenuti nelle prigioni del luogo, gli jihadistii sono arrivati a Samarra, città principale della provincia di Salahudin e a soli 70 km da Baghdad. Le forze di sicurezza irachene, sostenute da civili armati, sarebbero riuscite a respingere i miliziani che tentavano di entrare nella città, ma nella notte tra giovedì e venerdì Isis ha conquistato due città nella provincia di Diyala, a circa 60 km da Baghdad. 

L’impetuosa avanzata degli uomini del gruppo radicale islamico-sunnita sta tuttavia già mostrando in queste prime ore una serie di limiti che, sicuramente nel medio periodo (e forse già da subito), dovrebbero rendere improbabile la nascita del califfato islamico che l’Isis propugna. In primo luogo si è attivato “l’asse sciita” in difesa del primo ministro iracheno (sciita anch’egli) Nuri al Maliki, in carica dal 2006 e che in queste settimane – a seguito delle elezioni del 30 aprile scorso, in cui ha conquistato la maggioranza relativa in Parlamento – sta tentando di formare un nuovo governo. L’Iran ha promesso aiuto – e qualcuno già ipotizza l’invio di forze speciali, la Quds Force, come già successo in Siria, o addirittura uomini dell’Hezbollah libanese – e anche Assad da Damasco ha offerto «sostegno e solidarietà» al governo iracheno. Intanto l’aviazione di Baghdad ha iniziato a bombardare i rifugi dell’Isis a Tikrit, e questa mattina, le postazioni degli jihadisti a Saadiyah e Jalawla.

La mappa delle zone prese dall’Isis diffusa il 12 giugno dalla Bbc. Alle città indicate sono da aggiungere Jalulah e Saaiydiyah nella provincia di Diyala, nord-est di Baghdad, conquistate nella notte tra il 12 e 13 giugno.

Contro l’Isis hanno cominciato a muoversi anche le forze militari del Kurdistan iracheno, i Peshmerga. Le milizie curde hanno ripreso il controllo di Kirkuk, importante città del nord dell’Iraq dove vi sono alcuni tra i più vasti giacimenti di petrolio del Paese, abbandonata dalle truppe regolari nelle mani dei miliziani dell’Isis. Pare che i Peshmerga stiano combattendo contro i guerriglieri islamisti anche in altre aree della provincia di Niniveh. AdnKronos riporta scontri – sembra vinti dai Peshmerga – a Sinjar, a ovest di Mosul.

Oltre ai Peshmerga iracheni starebbero poi affluendo milizie curde dalla Siria, in particolare combattenti della fazione Ypg (braccio armato del partito di sinistra Pyd, legato al Pkk turco di Ocalan). «L’occupazione di Kirkuk, città contesa tra più etnie, da parte dei curdi è estremamente significativa e gravida di conseguenze», spiega Andrea Plebani, ricercatore dell’Ispi specializzato in Mediterraneo e Medio Oriente. «Ai curdi iracheni era stato promesso un referendum nel 2005 nelle aree contese – e Kirkuk e parti del governatorato di Niniveh rientrano tra queste – per stabilire se dovessero far parte della regione autonoma del Kurdistan. Non è mai stato tenuto. Ora, alla luce del ruolo che potrebbero svolgere nel contenere la minaccia rappresentata dall’Isis, la situazione potrebbe evolversi in senso a loro favorevole».

Anche la comunità internazionale è compatta nello schierarsi contro l’Isis. Gli Stati Uniti, per bocca di Obama, hanno annunciato di «non escludere nulla, compresa l’opzione militare». Potrebbero essere ordinati attacchi di droni (come chiesto da diversi mesi da Baghdad) ma difficilmente qualcosa di più, vista la riluttanza della Casa bianca a farsi coinvolgere nuovamente e direttamente nello scenario iracheno. Anche la Turchia, a seguito del rapimento di 48 suoi concittadini tra cui il console a Mosul, ha minacciato «rappresaglie durissime» contro la formazione jihadista, sebbene il governo turco abbia smentito l’intenzione di preparare un mandato per autorizzare un’operazione militare nel territorio iracheno.

Persino i ribelli siriani – che pure con l’Isis hanno in Assad un nemico comune - sono per una volta compatti, laici e islamici anche qaedisti (come ad esempio la formazione Al Nusra), nel contrastare la formazione fondamentalista. Già da mesi vanno in scena scontri nell’area orientale della Siria tra combattenti dell’Isis e altre formazioni di insorti.

Ma al di là del vasto e variegato fronte che si dichiara ostile all’Isis, contro il possibile successo delle ambizioni del gruppo terrorista militano alcuni fattori interni. «Per ottenere le recenti vittorie l’Isis ha potuto contare sull’appoggio della comunità sunnita – fortemente ostile al premier al Maliki, da quando nel 2011 è iniziata una campagna di arresti dei leader sunniti e di repressione delle seguenti proteste – e in particolare di alcuni gruppi legati al precedente regime baathista di Saddam», spiega ancora Plebani. «Ma baathisti e Isis hanno due agende incompatibili nel lungo periodo: i primi aspirano a una restaurazione del vecchio regime o a ridefinire quello emerso dopo il 2003 su basi più eque, i secondi alla nascita di uno Stato islamico. Il che crea un secondo ordine di problemi: spesso le popolazioni locali non vedono di buon occhio questi guerrigliergli jihadistii quando effettivamente provano ad imporre la Sharia. Un precedente esperimento di stampo simile tra il 2006 e il 2009 è fallito rovinosamente proprio per questo motivo. Adesso pare che abbiano imparato la lezione, ma lo si potrà dire con maggior sicurezza solo nelle prossime settimane. Infine l’Isis non ha “padrini” internazionali statuali su cui poter contare».

Sul ruolo dell’Arabia Saudita non tutti gli esperti sono concordi. Secondo alcuni sta sostenendo delle fazioni siriane ostili all’Isis (Al Nusra in primis) e pertanto non avrebbe senso che assecondasse le ambizioni di questo gruppo fondamentalista. Secondo altri invece, rappresentando l’Isis la principale spina nel fianco a un asse sciita che oramai va dai deserti dell’Iran orientale fino alle spiagge mediterranee del Libano, Riad potrebbe stare supportando “anche” loro oltre ad altri gruppi. E se si sparano gli uni con gli altri ai sauditi poco importa, fintanto che creano scompiglio negli Stati a guida sciita.

Le possibilità che l’Isis riesca nella creazione di un califfato islamico tra Siria e Iraq, o anche solo a mantenere le posizioni conquistate, sono comunque ritenute quasi unanimemente dagli analisti molto scarse. «Dovrebbero convertirsi da combattenti specializzati nella guerra di movimento, rapidi a colpire e sparire, a guerriglieri urbani in grado controllare e difendere un territorio, con tutti i rischi del caso», afferma Plebani. «Tuttavia nessuno si sarebbe nemmeno aspettato la conquista di Mosul. A che scopo conquistarla per poi abbandonarla? Forse stiamo per assistere a un cambio di strategia da parte dell’Isis, che può voler dimostrare di essere in grado di controllare territori vasti e complessi. Lo si vedrà nel prossimo futuro».

L’errore fatto finora – soprattutto dalle truppe regolari dell’esercito iracheno – è stato il sottovalutare la pericolosità dell’Isis. Questa organizzazione è in realtà oramai radicata in alcuni territori, sta guadagnando fama, volontari e consensi. Finora si era finanziata con rapimenti ed estorsioni ma non solo. «Con la conquista di Mosul – conclude Plebani – hanno oltretutto avuto accesso alle rilevanti riserve economiche (c’è chi parla di mezzo miliardo di dollari) contenute nelle banche della città, nonché ad armamenti avanzati – pare addirittura elicotteri – appartenenti al corpo d’armata che era di stanza nella città e che è andato in rotta di fronte all’avanzata dei guerriglieri islamici, pure numericamente inferiori e peggio armati».

Ripetere l’errore di sottostimare le capacità dell’Isis sarebbe dunque ancor più rischioso che in passato. Ma forse il governo iracheno sta per cedere alla tentazione opposta: pur di frenare l’avanzata degli jihadistii sembra disposto a consentire la nascita di milizie armate legate ai vari gruppi etnico-religiosi (l’estremista sciita Al Sadr ha già dato la propria disponibilità in tal senso), aumentando il pericolo che – come che vada lo scontro con l’Isis – l’Iraq ripiombi in uno stato di guerra aperta tra etnie e sette religiose.

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