Al-Quds Al-Arabi
11/06/2014

L’opinione di Al-Quds: Lo scontro confessionale sta distruggendo l'Iraq
Traduzione e sintesi di Mariacarmela Minniti.

A seguito dell’esplosione del sistema di sicurezza confessionale, l’Iraq sta vivendo rapidi sviluppi che fanno presagire conseguenze catastrofiche potenzialmente in grado di valicare i suoi confini, già prossimi a dileguarsi. L’Iraq è entrato in un tunnel buio di cui quasi nessuno intravede la fine e la sua sopravvivenza come Stato “quasi unito” solleva molti interrogativi, dopo il collasso dell’esercito, la fuga dei suoi vertici in diverse città e dopo che lo stesso Presidente Al-Maliki ha ammesso la necessità di costruire un “esercito di riserva composto da volontari”. Ciò significa gettare benzina sul fuoco e dare avvio a una guerra civile i cui esiti sono imprevedibili, alla luce della capillare diffusione delle armi soprattutto fra le tribù, senza contare le organizzazioni e le milizie confessionali.

Sembra chiaro che le forze della coalizione composta da organizzazioni armate sunnite, unite dal comune desiderio di destituire Al-Maliki, otterranno facili conquiste nelle zone a maggioranza sunnita, mentre il controllo del Governo sarà limitato alle zone sciite, il che praticamente significa una divisione dell’Iraq “secondo l’identità confessionale”. Al-Maliki, che ha voluto mantenere i vertici degli apparati di sicurezza, non è riuscito a costruire un vero esercito con un chiaro credo nazionale e fondato sulle competenze, la professionalità e la dedizione. Il risultato è costituito da “milizie paramilitari e semi divise” divorate dal confessionalismo, dalla corruzione e dalla penetrazione di organizzazioni terroristiche e estremiste.

Tuttavia, il collasso di questo sistema confessionale potrebbe costare allo Stato iracheno la sua stessa presenza. Il popolo iracheno oggi si trova intrappolato fra l’incudine delle organizzazioni terroristiche o estremiste armate, e il martello delle milizie confessionali protette dal primo ministro iracheno in persona. È ridicolo che in simili condizioni alcuni parlino ancora del “governo centrale” o del “primo ministro”, dopo che l’Iraq è diventato lecita ambizione delle organizzazioni terroristiche e estremiste locali e regionali, nonché un perfetto modello di Stato fallito, come da  manuale di scienze politiche. Al contempo, con centinaia di migliaia di iracheni divenuti, in pochi giorni, profughi e vittime della fame, si delinea ormai la possibile dimensione della nuova tragedia umanitaria che attende questo martoriato Paese.

Non si può escludere che le fiamme della nuova guerra si propaghino anche in Paesi confinanti, già oggetto di tensioni confessionali nascoste o palesi, e ciò lascia presagire uno scenario catastrofico che ridisegnerà la mappa geostrategica della regione. In altre parole, le “conquiste del Daish” hanno creato una nuova realtà geopolitica nella regione, per via della nascita di “un nuovo stato” sconfinato che possiede un enorme arsenale di armi, pozzi petroliferi, aeroporti e aerei, ha un orientamento estremista e non si fa scrupoli a entrare in scontro con stati o con altre comunità sunnite, ma anche sciite o cristiane quando si sente in grado di farlo. E non è escluso che questo nuovo stato si trasformi in un “porto sicuro” o in una calamita per altre organizzazioni terroristiche internazionali.

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