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giu 14th, 2014

L’iraniano Rohani, possibile un’alleanza con gli Usa. Obama, parliamone
di Guido Keller

Un’insolita (e antistorica) alleanza fra l’Iran del moderato Hassan Rohani e gli Stati Uniti del democratico Barak Obama: siamo di certo alla fantascienza, per quanto non ci sarebbe nulla di strano in un’abile mossa diplomatica di Teheran che vedrebbe, prima dell’intervento in Iraq contro gli jihadisti dell’Isil legati ad al-Qaeda, il presidente iraniano alzare il telefono e chiamare il collega americano per prendere accordi.
L’Iran è già oggi attivo in Siria a fianco di Bashar al-Assad contro gli jihadisti dell’Isil (Stato islamico dell’Iraq e del Levante), ma è stato lo stesso Rohani, rispondendo ad un’intervista trasmessa dalla tv pubblica, a dire che “Tutti noi dovremmo praticamente e verbalmente far fronte ai gruppi terroristi” e che “Se gli Stati Uniti interverranno contro di loro, possiamo pensare a una collaborazione”.
E da Washington la risposta è stata tutt’altro che di chiusura: il Wall Street Journal ha riportato sue fonti vicine all’amministrazione Obama secondo cui “è fondamentale per Washington discutere le condizioni di sicurezza in Iraq con l’Iran e le altre potenze regionali nel tentativo di coordinare meglio una risposta contro lo Stato islamico in Iraq e nel Levante (Isil)”.
L’occasione per parlarne potrebbe essere il nuovo round sul nucleare iraniano indetto oggi a Vienna fra i rappresentanti della Repubblica islamica e il gruppo 5+1 (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Regno Unito e Germania).
D’altro canto Obama, che è rimasto praticamente inebetito davanti alle notizie di invasione dell’Iraq da parte di al-Qaeda, è stato accusato nei giorni scorsi dai Repubblicani di aver ignorato i molti segnali che avvisavano di quanto sarebbe poi successo, basti pensare che una delle principali città del paese, Fallujah, è caduta nelle mani degli jihadisti agli inizi di gennaio. E, dopo che il suo predecessore aveva portato la guerra in Iraq “per esportare la pace e la democrazia”, Obama ha già detto di non essere disposto ad inviare truppe a difesa del governo-fantoccio messo proprio da Washington: una situazione imbarazzante (il ministro degli Esteri Lavrov ha già detto che “Quello che accade in Iraq è la prova del fallimento totale dell’avventura intrapresa prima di tutto dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna e di cui hanno definitivamente perso il controllo”), ma anche un’occasione per l’Iran di riscattarsi definitivamente a livello internazionale proprio venendo in soccorso del potente nemico di sempre.
Ma sarebbe anche un’ennesima figuraccia per la politica estera dell’amministrazione Obama: solo negli ultimi mesi Washington ha perso il controllo sull’Egitto favorendo i Fratelli Musulmani, oggi sconfitti, cosa che ha portato il Cairo a stringere relazioni con Mosca e i russi a piantare una base navale ad Alessandria; ha appoggiato i Siria gli insorti, alleati dei qaedisti di al-Nusra e dell’Isil; in Afghanistan ha trattato con i talebani spingendo da parte Karzai, di fatto ammettendo la propria sconfitta; in Libia ha operato per abbattere il regime di Gheddafi, permettendo il disordine di oggi che, tra l’altro, ha portato all’assassinio del suo ambasciatore Chris Stevens; in Kirghizistan ha ceduto la base Usa ai russi; in Europa ha sfruttato la crisi ucraina per portare nel Vecchio continente il gas statunitense, senza tenere in considerazione i forti legami esistenti fra i paesi europei e la Russia; in Israele ha fatto cilecca nel promuovere il dialogo con i palestinesi, assecondando nel contempo la politica di Benjamin Netanyahu di costruzione degli alloggi nei Territori occupati.
Un fiasco di proporzioni globali, quindi, dove un’improbabile alleanza con gli iraniani per riportare l’Iraq sotto il controllo di Baghdad getterebbe discredito sulla strategia fino ad ora adottata dalla Casa Bianca, ma, se non altro, toglierebbe al presidente le castagne dal fuoco.

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