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14 giugno 2014

L’Isis, ha abbattuto Sykes-Picot!
di Lorenzo Trombetta

I miliziani qaedisti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isis), che da giorni mettono a ferro e fuoco l’Iraq centro-settentrionale, affermano di aver realizzato il sogno che per decenni le dittature “laiche” del Medio Oriente hanno sbandierato di voler realizzare: abbattere i confini coloniali, tracciati un secolo fa tra Iraq e Siria, e creare uno mitico spazio arabo-islamico politicamente unito.

L’abbattimento di Sykes-Picot“, è il titolo del documento, diffuso dall’ufficio stampa dell’Isis il 10 giugno scorso, il giorno della presa di Mosul, seconda città dell’Iraq, da parte delle milizie qaediste. Il riferimento è al celebre accordo raggiunto sottobanco nel 1916 dal diplomatico francese François Georges Picot e dal collega britannico Sir Mark Sykes.

L’ala qaedista irachena si è rafforzata nella regione occidentale irachena di al Anbar, confinante con la regione siriana orientale di Dayr az Zor. Dal 2012, con il deterioramento della situazione in Siria a causa del conflitto in corso tra ribelli e forze lealiste, i qaedisti di Anbar hanno esportato il loro jihad in Siria: o, meglio, in quelle che nella terminologia islamica classica sono “le terre di Sham”. Hanno risalito l’Eufrate e si sono stabiliti a Raqqa, nel nord della Siria, il capoluogo della nuova provincia (wilaya) islamica di “Baraka”, lasciata sguarnita – come Mosul – dalle forze governative.

“Baraka” è confinante con la wilaya di Ninive, con capoluogo Mosul. E dal 10 giugno – secondo il documento dell’Isis – le due province sono “unite in un unico fronte e sotto un’unica guida (politica e militare)”. La citazione è tratta da un “detto” di uno dei più noti capi militari dell’Isis, tale Abu Mohammad al Adnani, mujahid poco più che trentenne attivo sul campo quanto sui social network.

Come mostrano le foto pubblicate sui siti dell’Isis, con ruspe i miliziani qaedisti hanno con facilità raso a terra le barriere di sabbia erette dalle autorità di Baghdad lungo il poroso confine con la Siria (lungo ben 605 km). “Finalmente questo confine artificioso non esiste più. Abbiamo riunito le terre di Iraq e Sham”, si legge su uno dei tweet dell’ufficio stampa della provincia islamica di Baraka.

“Le genti di queste terre possono ora ricongiungersi con i loro parenti”, si afferma su un altro post. Quando Sir Sykes e François Picot decisero come i rispettivi governi si sarebbero spartiti le terre allora amministrate ancora formalmente dall’Impero ottomano (1516-1918), forse non immaginavano che i loro cognomi, persino storpiati e trascritti in arabo nei modi più fantasiosi, sarebbero rimasti per decenni sulla bocca di milioni di siriani, iracheni, giordani, palestinesi, libanesi. E che quell’accordo da loro raggiunto avrebbe ispirato le più contorte teorie del complotto in Medio Oriente. Anche perché la retorica dei due regimi – rivali – baatisti di Damasco e Baghdad è stata a lungo incentrata sul principio del ripristino dell’unità araba e dell’abbattimento dei confini coloniali.

Ma questi stessi poteri centrali si sono mantenuti in piedi anche in quanto espressione di stati-nazione creati sul modello europeo. Dietro questa facciata, però sul terreno i poteri informali hanno continuato a gestire gli affari locali: i leader clanici di Anbar e Dayr az Zor, ad esempio, appartengono alle stesse confederazioni tribali e la solidarietà tra loro si è dimostrata più volte anche nella storia recente: durante l’invasione anglo-americana, i canali di rifornimento di uomini e mezzi superavano naturalmente la barriera frontaliera.

Non è un caso che dopo la presa di Mosul, convogli di centinaia di mezzi dell’Isis attraversino indisturbati il valico di Tal Hamis tra la regione di Hasake siriana e quella di Ninive irachena. Numerosi mezzi blindati made in Usa e in dotazione all’esercito di Baghdad sono stati da ieri avvistati nelle campagne di Dayr az Zor, in Siria, e provengono proprio dalle razzie di Mosul.

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