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7 luglio 2014

Lieberman rompe il patto con Netanyahu
di Lorenzo Biondi

Prosegue l'offensiva su Gaza, ore decisive: tregua o guerra su larga scala? Peres e Rivlin, il presidente israeliano uscente e il neo-eletto, firmato un appello comune per la pace: «Fermare la violenza è nelle nostre mani»

Il sangue sparso nelle scorse settimane sta cambiando alleanze ed equilibri della politica israeliana. Oggi Avigdor Lieberman – ministro degli esteri, leader della destra di Yisrael Beitenu e alleato di Benjamin Netanyahu alle ultime elezioni – ha annunciato che il suo patto col partito del premier deve considerarsi concluso. Non lascia il governo, ma il cartello elettorale Likud-Beitenu non esiste più. In altre parole: preparatevi al voto in tempi rapidi.

Lieberman accusa Netanyahu di essere troppo cauto nella gestione dell’ultima crisi con Hamas. Vorrebbe un’operazione massiccia contro il movimento islamista, forse addirittura un’invasione di terra di Gaza. Netanyahu è più prudente. Lui, che fino a pochi giorni fa veniva considerato un “falco”. Per capire la vicenda bisogna fare un passo indietro.

Il 30 giugno vengono ritrovati i corpi dei tre ragazzi israeliani spariti diciotto giorni prima dalla colonia di Gush Etzion, in Cisgiordania, poco lontano da Hebron. La sera stessa si tiene una riunione d’urgenza del governo israeliano. Lieberman non c’è: è a Berlino per una missione diplomatica. La destra del governo – con in testa il ministro dell’economia Naftali Bennett, del partito della Patria israeliana – vuole un’immediata dichiarazione di guerra ad Hamas. L’ala moderata dell’esecutivo, la capo-mediatrice coi palestinesi Tzipi Livni e il ministro delle finanze Yair Lapid, chiede cautela. Netanyahu sta nel mezzo: i falchi non prevalgono, partono i bombardamenti contro Hamas ma non l’operazione militare su vasta scala.

Poi l’omicidio di Mohammed Abu Khder, sedicenne palestinese arso vivo a Gerusalemme. Gli assassini – probabilmente – sperano di innescare una spirale di violenza. La reazione di una buona parte della società civile israeliana, però, spinge nella direzione opposta. Questa vendetta non ci appartiene, ci ripugna, dicono voci più o meno autorevoli. Fino alla lettera pubblicata oggi da Yedioth Ahronoth, tra i principali quotidiani israeliani, e scritta a quattro mani da Shimon Peres e Reuven RivlinIl presidente della repubblica uscente e quello entrante, un uomo della sinistra e uno della destra, uniti nell’appello per la pace.

«Sia dannato colui che dice: vendetta!», esordiscono i due presidenti citando il poeta Hayim Nahman Bialik. «È il momento di scegliere una strada comune. È il momento di guardare a ciò che ci unisce e non a quello che ci divide. È il momento di credere nella nostra capacità di vivere insieme, in questa terra. Non abbiamo scelta, non abbiamo altra terra. È il momento di prevenire il prossimo spargimento di sangue. È nelle nostre mani».

In questo clima, Netanyahu è rimasto in bilico tra le due posizioni. I droni israeliani stanno colpendo Gaza, e Hamas ha annunciato oggi almeno sei vittime tra i suoi miliziani. Mentre i missili di Hamas colpiscono le regioni meridionali di Israele. Ma l’attacco su larga scala ancora non è partito. «Non capisco cosa stiamo aspettando», ha incalzato Lieberman nella conferenza stampa di stamattina, in cui annunciava la rottura dell’accordo con Netanyahu.

La situazione ricorda in parte quella del novembre 2012: Netanyahu, nel ruolo di super-falco, lanciò l’operazione “Colonna di nube” contro Gaza. Ma si fermò un attimo prima di avviare l’operazione di terra, con gli Stati Uniti che lo invitavano alla prudenza.

Tante cose sono cambiate da allora. L’Onu ha riconosciuto lo Stato di Palestina. Netanyahu, alle elezioni del gennaio 2013, ha perso molti dei suoi consensi di fronte all’avanzata dei centristi di Yair Lapid. E Hamas non è più isolata: oggi è al governo con Fatah, e una buona parte della comunità internazionale preme per un accordo con il governo israeliano.

Tutti gli scenari sono aperti: da un lato la guerra, dall’altro l’accordo tra Hamas e Israele. Con le sue dimissioni Lieberman vuole fare pressione su Netanyahu, ma anche tenersi libere le mani nel caso in cui la trattativa vada in porto (notano gli osservatori che durante la conferenza stampa di stamattina il ministro degli esteri era nervosissimo). Ancora una volta, sono ore decisive per la pace in Medio Oriente.

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