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lug 29th, 2014

La Guerra Giusta di Netanyahu salta se il conflitto è asimmetrico e la vendetta colpisce i civili
di Giovanni Caprara

Benyamin Netanyahu ha dichiarato che nessuna guerra è più giusta di questa, ma evidentemente non ha la percezione dei fondamenti che regolano questo stato.
La Just War è applicabile per il mantenimento della pace e della sicurezza, ma affinché questo concetto possa valere, parrebbe necessario rendere giusti anche i mezzi necessari a difenderla e mantenerla, fra questi anche un conflitto. Una tesi da non rigettare nella sua completezza: non è possibile rifiutare la teoria della guerra giusta se in questa è compresa quella di autodifesa.
Detto principio può, probabilmente, non essere sostenuto da tutte le categorie, ma nell’autodifesa è contemplata la resistenza dello Stato aggredito, il quale tenderebbe al recupero dei propri diritti, della libertà e della sovranità. L’autodeterminazione del popolo è l’effetto che ridefinisce la guerra di autodifesa rendendola giusta.
Quando si tratta di contrastare una violazione della libertà e dei diritti, l’Autorità è legittimata nell’intervenire al ristabilimento delle condizioni iniziali, deliberando ed attuando tutte le operazioni belliche necessarie, ma senza poi violare a sua volta i diritti del nemico. Pertanto, siccome una guerra implica la perdita di vite umane dell’avversario, contravvenendo al principio fondamentale dei diritti, la guerra giusta sarebbe un ossimoro, perciò le operazioni belliche dovrebbero essere ridotte alle installazioni militari, salvaguardando quelle civili.
La giustificazione alla guerra origina dalla necessità di doversi difendere da un aggressore, perciò operazioni militari volte alla protezione del popolo, dei beni statali e del territorio tenderebbero ad essere giusti per natura. L’autodifesa, deve però limitarsi alla difesa della vita degli aggrediti, ma non esacerbare in operazioni punitive nei confronti del nemico.
Il concetto dei diritti umani diventa fondamentale per identificare la causa di una guerra che potrà essere definita come giusta; tutti gli esseri umani, indipendentemente dalle caratteristiche comunitarie, politiche e sociali non possono essere privati della sicurezza di non essere ucciso, di avere il cibo per sopravvivere, di godere dell’assistenza sanitaria, di poter disporre di un abito, in definitiva di non essere offeso nella sua dignità.
Il limite al concetto della guerra giusta potrebbe valere il fondamento utilitaristico e non filosofico dei diritti, laddove un mero calcolo matematico farebbe pendere a favore della guerra giusta il numero dei diritti difesi da essa contro quelli violati, dove il fine essenziale è nel garantire la sopravvivenza del proprio popolo.
Il rigore deontologico, però, non avalla tale calcolo, in quanto non si possono infrangere i diritti anche di un solo essere umano in favore di una moltitudine. L’autodifesa, se soddisfa e controlla i diritti dell’invasore, rimane il caposaldo della guerra giusta, di fatto quest’ultima è ipotizzabile, ma per la natura umana non semplicemente realizzabile. Un singolo episodio di risposta inadeguata all’offesa sovvertirebbe il principio di autodifesa, avvalorando la tesi di Karl von Clausewitz che ritiene la guerra come un atto di forza, all’impiego della quale non esistono limiti.
Porre in essere attività belliche a favore dei basilari diritti umani universalmente riconosciuti è un fine giusto, pertanto non si deve bandire in assoluto la forza, se questa tende al recupero della dignità, ossia se garantisce nel tempo il rispetto dell’uomo. Come esposto da Michel Walzer, è necessario incentrare l’attenzione sulla dicotomia tra guerra ed autodifesa: alla prima non si può assegnare l’idea metafisica di estremo, dove le operazioni belliche rappresenterebbero l’estrema ratio per risolvere una controversia; infatti l’estremo è irraggiungibile e nel caso della guerra è sempre possibile tentare di risolvere le dispute con la diplomazia.
L’autodifesa è una forma di giustizia e ripristino della legge, dove l’aggredito combatte per recuperare il proprio status.
La giustizia, richiede l’uso della forza, ma questa a sua volta, diventa legittima solo qualora tutte le ragionevoli soluzioni abbiano perso le prospettive di successo, e la legge, in base al paradigma realista, tace in tempo di guerra.
Nell’autodifesa la “ragion di guerra” giustifica solo l’uccisione di coloro che a ragione sono suscettibili di essere uccisi, ossia i soldati, i quali a differenza dei civili, sono consapevoli del pericolo di perdere la vita.
È esplicativo il concetto espresso da Albert Camus, in base al quale non si può uccidere se non si è pronti a morire. L’attacco che subisce un militare, non è diretto verso la persona fisica, bensì al suo ruolo di belligerante. La discriminazione fra i soldati che combattono una guerra giusta e quella ingiusta è determinata dalla giustizia e dal diritto; l’aggredito ha la necessità di difendersi per giustizia e per recuperare i propri diritti, ma non dovrà violare gli stessi parametri nei confronti dell’aggressore. Dunque sarà necessario limitare la risposta ai soli militari.
Walzer specifica che il soldato ha la responsabilità di accettare i rischi personali piuttosto che uccidere un civile innocente; l’istinto di conservazione non deve prevaricare i diritti dei non belligeranti. Pertanto, qualsiasi risposta militare, per essere giusta, dovrà garantire l’indennità dei non combattenti, senza mai sfociare in episodi di vendetta o rivalsa. La difesa non può a sua volta tramutarsi in abuso. Formalmente, come descritto dal giurista Carl Schmitt, la “justa causa”, non deve prescindere dallo “justus hostis”, ossia il nemico non è inumano e non può essere combattuto con ogni mezzo, perciò dovrà essere affrontato come un individuo dai pari diritti contro il quale è necessario limitare l’uso della forza.
Anche Norberto Bobbio ha affrontato la teoria della guerra giusta nel profilo della giurisprudenza, sottolineando che in tal caso è necessaria una distinzione fra un processo di cognizione ed uno di esecuzione. Nel secondo caso, la guerra è intesa come pena o come sanzione da comminare al nemico e l’atto di belligeranza è esaltato nella forza che dunque si pone al servizio del diritto.
Nel processo di cognizione, le operazioni militari trovano il loro limite in quanto non adatte a discriminare il giusto dall’ingiusto, questo perché la guerra è giusta per entrambi i contendenti. In definitiva, il riallineamento della geopolitica mediorientale ha sottratto alla guerra giusta la limitazione giuridica trasformandola in un conflitto asimmetrico.

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