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2 settembre 2014

Netanyahu: non andremo al Cairo

Gli israeliani potrebbero non proseguire i negoziati, secondo indiscrezioni della stampa. L’ultima mossa del premier per sopire le critiche che si levano dal suo stesso governo, per metà contrario al cessate il fuoco

Roma, 2 settembre 2014, Nena News –

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu non avrebbe alcuna intenzione di inviare una delegazione in Egitto a fine mese, quando dovrebbe partire il secondo round dei negoziati che hanno portato al cessate il fuoco dello scorso 26 agosto tra Israele e Hamas. È quanto riferito dall’emittente Channel 10 e dall’agenzia stampa palestinese Ma’an.

L’accordo raggiunto al Cairo ha messo fine a 50 giorni di offensiva israeliana contro la Striscia di Gaza, con il suo carico di 2.200 morti e quasi 10.000 feriti, in maggioranza tra la popolazione civile palestinese, e 71 morti tra gli israeliani, di cui 66 militari, ma il negoziato non è affatto concluso. Sono ancora tante e rilevanti le questioni rimaste aperte e rinviate a fine settembre: tra queste la costruzione del porto di Gaza e dell’aeroporto, la questione dei detenuti palestinesi nelle carceri israeliani, la demilitarizzazione delle fazioni presenti nella Striscia, la consegna dei resti dei soldati israeliani caduti in battaglia. Per il momento i palestinesi hanno ottenuto l’apertura di cinque valichi di frontiera (di cui due saranno Erez e Kerem Shalom) per l’ingresso di materiali da ricostruzione e aiuti umanitari ai civili. La definizione del limite di pesca a sei miglia nautiche (gli Accordi di Oslo ne prevedevano 20) e il suo aumento a 12 entro l’anno. Israele, infine, si è impegnato a non compiere più omicidi mirati contro i leader delle fazioni palestinesi.

Una retromarcia del governo di Tel Aviv rischia di rendere nullo il cessate il fuoco, ha detto Qais Abd al-Karim, della delegazione palestinese. Tuttavia Netanyahu nell’ultima riunione di governo a porte chiuse avrebbe riferito ai suoi ministri di non avere alcuna intenzione di inviare una delegazione al Cairo, come stabilito dagli accordi. Nelle ultime fasi dell’operazione militare Margine Protettivo, che è costata allo Stato ebraico circa 1,8 miliardi di euro, il premier ha visto precipitare il consenso di cui godeva e si è fatto parecchi nemici nel suo stesso governo, decidendo di accettare la tregua con la metà dei suoi ministri contraria a qualsiasi concessione.

Bibi sta dunque cercando di riguadagnare terreno agli occhi dell’opinione pubblica israeliana ed è in questa ottica che si può leggere anche la decisione annunciata ieri di proclamare “aree demaniali” 400 ettari di terre tra Betlemme e Hebron, in Cisgiordania, per ampliare la colonia di Gvaot (colline). La decisione risale a due mesi fa ed è una ritorsione per l’uccisione lo scorso giugno in Cisgiordania di tre ragazzi ebrei da parte di una cellula palestinese armata, risultata poi affiliata a Hamas.

Si tratta della più ampia confisca, in una sola volta, di terreni in Cisgiordania  negli ultimi 30 anni su cui sono piovute condanne da diversi Paesi, compresi gli alleati di Washington e del Caio, e dalle Nazioni Unite . Nena News

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