Originale: Huffington Post

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26 luglio 2014

L’AIPAC è la sola spiegazione della politica moralmente fallimentare dell’America rispetto a Israele

Traduzione di Maria Chiara Starace

L’AIPAC è la sola spiegazione della politica moralmente fallimentare dell’America rispetto a Israele
Di Stephen M.Walt
Il nome ufficiale del più recente attacco di Israele contro Gaza è: ”Operazione Margine Protettivo.” Un nome migliore sarebbe “Operazione Già Vista.” Come in varie precedenti occasioni, Israele sta usando le armi fornite dai contribuenti statunitensi per bombardare i palestinesi prigionieri e impoveriti a Gaza, dove il bilancio delle vittime supera ora le 500. Come al solito, il governo degli Stati Uniti è dalla parte di Israele, anche se la maggior parte dei leader americani comprendono che Israele ha provocato questa ultima fase di violenze, non sta agendo con moderazione e le sue azoni fanno apparire Washington insensibile e ipocrita agli occhi della maggior parte del mondo.
Questa situazione orwelliana è una testimonianza eloquente che della continua influenza dell’AIPAC (Comitato Israelo Americano per gli Affari pubblici) e degli altri elementi politici irriducibili della lobby israeliana. Non c’è nessun altra spiegazione plausibile del comportamento supino del Congresso degli Stati Uniti – compresi alcuni dei suoi membri più “progressisti” – o per la vacua ipocrisia dell’amministrazione Obama, specialmente di quei funzionari noti per il loro finto impegno per i diritti umani.
La causa immediata di quest’ultimo spargimento di sangue da una sola parte, è stato il rapimento e l’uccisione di tre escursionisti israeliani nella Cisgiordania occupata, seguita poco dopo dal rapimento di un ragazzo palestinese che è stato arso vivo da parecchi israeliani. Secondo il resoconto di J.J. Goldberg, sul giornale ebraico Forward, il governo di Netanyahu ha incolpato Hamas del rapimento senza avere prove e ha fatto finta che gli israeliani rapiti fossero ancora vivi per diverse settimane, anche se c’erano le prove che indicavano che le vittime erano già morte. Il governo ha perpetrato l’inganno allo scopo di eccitare i sentimenti anti-arabi e di rendere più facile giustificare le operazioni punitive in Cisgiordania e a Gaza.
E perché Netanyahu ha deciso di impegnarsi in questa azione violenta contro Gaza? Come fa notare Nathan Thrall, del Gruppo Internazionale di crisi, il vero motivo non è né la vendetta né il desiderio di proteggere Israele dal fuoco dei razzi di Hamas, che è stato praticamente inesistente nei due anni passati e che è comunque in gran parte inutile. Il vero scopo di Netanyahu è stato di danneggiare il recente accordo tra Hamas e Fatah per un governo di unità. Dato l’impegno personale di Netanyahu a tenersi la Cisgiordania e a creare un “Israele più grande”, l’ultima cosa che vuole è una dirigenza palestinese unificata che potrebbe fargli pressione perché faccia sul serio riguardo alla soluzione dei due stati. Quindi ha cercato e di isolare e di danneggiare gravemente Hamas e di mettere una contro l’altra le due fazioni palestinesi.
Dietro a tutte queste manovre si profila l’occupazione di Israele della Palestina, arrivata ora al quinto decennio. Non contenti di avere fatto la pulizia etnica di centinaia di migliaia di palestinesi nel 1948 e nel 1967, e non soddisfatti di possedere l’82% della Palestina, ogni governo di Israele fin dal 1967 ha costruito o esteso gli insediamenti in Cisgiordania e a Gerusalemme Est fornendo allo stesso tempo generosi sussidi ai 600.000 e più ebrei che si erano trasferiti lì in aperta violazione della Quarta Convenzione di Ginevra. Due settimane fa Netanyahu ha confermato quello che molti sospettavano da tempo: è fermamente deciso a opporsi alla soluzione dei due stati e non permetterà mai – ripeto, mai – che questo avvenga mentre è in carica. Dato che Netanyahu è probabilmente il membro più moderato del suo governo, e che il sistema politico di Israele sta marciando regolarmente a destra, la soluzione dei due stati è una speranza svanita.
La cosa peggiore di tutte è che le morti di altre centinaia di palestinesi e di un piccolo numero di israeliani, non cambieranno quasi niente. Hamas non si scioglierà. Quando quest’ultima fase di combattimenti finirà, i 4,4 milioni di palestinesi che vivono in Cisgiordania e a Gaza saranno ancora di fatto prigionieri di Israele e verranno loro negati ancora i diritti umani fondamentali. Ma non se ne andranno, specialmente perché la Palestina è la loro patria, ma anche perché non hanno nessun posto dove andare, specialmente dato il subbuglio che c’è in altre parti del Medio Oriente.
Alla fine verrà negoziato un altro cessate il fuoco. I morti verranno seppelliti e i feriti guariranno, i tunnel che ora si stanno distruggendo verranno ricostruiti, e Hamas reintegrerà la sua scorta di missili e di razzi. Sarà pronto il palcoscenico per un’altra fase di combattimenti, e Israele sarà andata ancora avanti sulla strada per diventare uno stato di apartheid completamente maturo.
Nel frattempo, i politici e chi decide le politiche negli Stati Uniti, continuano ad appoggiare una brutale campagna militare il cui scopo primario non è difendere Israele ma piuttosto proteggere il suo tentativo di lunga data di colonizzare la Cisgiordania. Sorprendentemente continuano a proteggere Israele senza riserve anche se ogni presidente degli Stati Uniti fin da Lyndon Johnson sono stati contrari al progetto di insediamenti di Israele, e i recenti tre presidenti – Clinton, Bush e Obama – hanno tutti lavorato duramente per la soluzione dei due stati che la politica israeliana ha ora reso impossibile.
Tuttavia, appena iniziano i combattimenti, e anche se Israele li provoca, Israele chiede che Washington proceda con Tel Aviv e nella stessa direzione. Il Congresso invariabilmente si precipita a far approvare nuove risoluzioni che avallano qualsiasi cosa Israele decida di fare. Anche se sono soprattutto i palestinesi che muoiono, i funzionari della Casa Bianca si affrettano a proclamare che “Israele ha il diritto di difendersi,” e lo stesso Obama non va oltre l’esprimere “preoccupazione” su ciò che sta accadendo. Naturalmente gli israeliani hanno il diritto di difendersi, ma i palestinesi non soltanto hanno lo stesso diritto, hanno il diritto di opporsi all’occupazione. Per metterla in altro modo, Israele non ha il diritto di tenere i suoi soggetti palestinesi in stato di perpetuo asservimento. Cercate però di trovare qualcuno al Congresso che riconosca questo semplice fatto. La spiegazione della politica impotente e moralmente fallimentare dell’America è l’influenza politica della lobby israeliana. Barack Obama sa che se dovesse stare dalla parte dei palestinesi di Gaza o criticare le azioni di Israele in qualsiasi modo, dovrebbe affrontare una tempesta di fuoco di critiche da parte della lobby, e le sue probabilità di ottenere l’approvazione del Congresso per un accordo con l’Iran, svanirebbero. Analogamente, ogni membro della Camera e del Senato – compresi i progressisti come la senatrice Elizabeth Warren –sa che votare per quelle risoluzioni presumibilmente “filo-israeliane” è una mossa politica intelligente. Comprendono che anche che la minima esibizione di pensiero indipendente su questi problemi lo potrebbe rendere vulnerabili rispetto a un rivale ben finanziato la volta successiva che si candidano per la rielezione. Come minimo dovranno rispondere a un diluvio di irose telefonate e lettere e, oltre a questo, è probabile che vengano ricattati da qualcuno dei loro colleghi del Congresso. Il modo migliore è pronunciare le stesse stanche litanie su presunti “valori condivisi” tra Israele e Stati Uniti e aspettare fino a quando la crisi si attenua. E la gente si meraviglia del fatto che nessuno rispetta più il Congresso.
Sicuramente l’influenza della lobby non è così profonda come era una volta. Le conversazioni pubbliche su Israele, la politica degli Stati Uniti nei confronti di Israele e la stessa lobby sono cambiati notevolmente in anni recenti, a un numero crescente di giornalisti, blogger, ed esperti – come Andrew Sullivan, Juan Cole, Peter Beinart, M.J. Rosenberg, Max Blumenthal, Phyllis Bennis, Bernard Avshai, Sara Roy, Mitchell Plitnick, David Remnick, Phil Weiss, e perfino (occasionalmente) Thomas Friedman del New York Times – sono disponibili a parlare e a scrivere francamente su quello che accade ora in Medio Oriente. Sebbene la maggior parte degli americani sostengano apertamente l’esistenza di Israele – proprio come me – la loro simpatia per un Israele che agisce più come Golia che come Davide, sta svanendo. I ranghi degli scettici comprendono un numero crescente di giovani ebrei americani che trovano poco da ammirare e molto da non gradire nelle azioni di Israele, e che sono molto meno devoti a Israele rispetto alle precedenti generazioni. I gruppi favorevoli alla pace, come J Street e Jewish Voice for Peace (La voce ebrea per la pace) riflettono quella tendenza e dimostrano che l’opinione tra gli ebrei americani è lungi dall’essere unificata. Inoltre, l’AIPAC e altri gruppi di pressione favorevoli alla linea dura, non hanno potuto convincere l’amministrazione Obama a intervenire in Siria, e non sono stati in grado di lanciare un attacco preventivo contro le infrastrutture nucleari dell’Iran. Hanno anche mancato di far deragliare i negoziati con Teheran sul nucleare –almeno finora – sebbene non per aver mancato di fare dei tentativi. Spingere gli Stati Uniti verso un’altra guerra in Medio Oriente, è molto da ottenere per qualsiasi gruppo di interesse, naturalmente, ma questi intoppi dimostrano che perfino questo ”colosso delle lobby” non sempre riesce a fare di testa sua.
La lobby, però, è ancora in grado di continuare a fare affluire ogni anno grosso modo 3 miliardi di dollari di aiuti americani a Israele; può ancora impedire che i presidenti americani facciano importanti pressioni su Israele; e può ancora ottenere che gli Stati Uniti esercitino il loro veto ogni volta che una risoluzione che critica le azioni di Israele venga ventilata nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Questa situazione spiega perché l’amministrazione Obama ha fatto zero progressi verso “due stati per due popoli”; se Israele ottiene un generoso appoggio da parte degli Stati Uniti non importa per che cosa, perché i suoi leader dovrebbero prestare attenzione alle richieste di Washington? Obama e il Segretario di Stato John Kerry potrebbero soltanto appellarsi al miglior giudizio di Netanyahu, e abbiamo visto come ha funzionato bene.
Questa situazione è una tragedia per tutti coloro che vi sono implicati, non ultimo Israele stesso. Una Israele più grande non può essere altro che uno stato di apartheid, e un nazionalismo etnico esclusorio di questo tipo non è sostenibile nel 21° secolo. I soggetti arabi di Israele alla fine richiederanno uguali diritti, e, come aveva avvertito nel 2007 l’ex primo ministro israeliano Ehud Olmert, quando succederà, “lo stato di Israele finirà.”
Sfortunatamente l’AIPAC , la Lega anti-diffamazione, la Conferenza dei Presidenti della maggiori organizzazioni ebree americane, e svariati gruppi cristiani sionisti, continuano a mostrare un caso grave di visione limitata. Poiché difendere Israele, indipendentemente da quello che fa è la loro principale ragione di vita (e vitale per la loro raccolta di fondi), non sono in grado di vedere che stanno aiutando Israele a spingersi verso il precipizio. Analogamente, quei membri del Congresso arrendevoli, che firmano vigliaccamente le risoluzioni compilate dall’AIPAC, non sono veri amici di Israele. Sono falsi amici che fingono di preoccuparsi ma in realtà sono soltanto interessati ad essere eletti di nuovo.
Un giorno gli storici guarderanno indietro e si chiederanno in che modo la politica medio-orientale degli Stati Uniti potesse essere così inefficace e così in conflitto con i loro valori sempre professati – per non parlare dei loro interessi strategici. La risposta sta nella natura fondamentale del sistema politico americano che permette a gruppi di interesse speciale ben organizzati e ben finanziati, di esercitare un potere importante al Congresso e alla Casa Bianca. In questo caso il risultato è una politica che è cattiva per tutti coloro che vi sono implicati: per i palestinesi, soprattutto, ma anche per gli Stati Uniti e per Israele. Fino a quando l’influenza della lobby non viene indebolita o i politici non hanno la spina dorsale dritta, gli americani che cercano risultati migliori in Medio Oriente farebbero bene ad abituarsi alla delusione e a essere preparati ad altri guai.



Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org


Fonte: http://huffingtonpost.com/stephen-m-walt/aipac-americas-israel-policy-_b_5607883.html?utm_hp_ref=tw


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