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17 novembre 2014

Israele, governo Netanyahu in bilico. Verso una nuova stagione politica?
di Lorenzo Biondi

Nella settimana conclusiva del negoziato sul nucleare iraniano, il governo israeliano rischia di cadere su una proposta di legge che definisce Israele come “Stato ebraico”

La sequenza di eventi potrebbe essere fulminante. Uno, Gerusalemme: la tensione non accenna a scemare, e stamani sono ripresi gli scontri tra manifestanti palestinesi e polizia israeliana. Tra Israele e Palestina non lasciano immaginare negoziati di sorta. Due, il nucleare iraniano. I diplomatici del gruppo di paesi impegnati nella trattativa con Teheran stanno convergendo su Vienna per l’ultima settimana di lavoro: l’accordo non è ancora chiuso ma sembra a portata, anche grazie al ruolo di garanzia svolto dalla Russia. Tre, il governo Netanyahu: la coalizione è in seria difficoltà. Domenica voterà su una legge – voluta da Netanyahu e dalla destra – che potrebbe far collassare l’esecutivo. Uno, due, tre: sono tre fatti che possono ridefinire radicalmente le dinamiche della politica israeliana.

Benjamin Netanyahu ha annunciato oggi che, nel consiglio dei ministri di domenica, sosterrà una proposta di legge per definire Israele come «stato nazione degli ebrei». Stato ebraico, insomma, benché il 20 per cento circa della sua popolazione sia araba. Per i critici, è una definizione che contiene – in sostanza – il principio dell’“apartheid” tra ebrei e arabi.

Il grande sostenitore della proposta è Naftali Bennett, leader in costante ascesa della destra religiosa israeliana e partner di governo di Netanyahu (è ministro dell’economia). Negli ultimi mesi il premier ha subito un’emorragia di consensi verso destra, e anche nel suo partito, il Likud, c’è chi lo accusa di essere troppo “moderato” (Danny Danon, leader emergente della destra interna, ha annunciato di volerlo sfidare alle prossime primarie del partito). Netanyahu non pare intenzionato a cedere ulteriore terreno ai suoi rivali: non poteva non sostenere la legge sullo stato ebraico.

Contro il provvedimento si sono schierati i due leader “centristi” della coalizione di governo, il ministro della giustizia Tzipi Livni e quello delle finanze Yair Lapid. La Livni ha provato a bloccare la legge in parlamento, ma Netanyahu non si è lasciato fermare. Lapid ha ingaggiato da mesi una battaglia sulla prossima legge finanziaria, in cui vorrebbe inserire un ambizioso piano di azzeramento dell’Iva sulla prima casa osteggiato dal premier. Secondo la stampa israeliana, Lapid si starebbe fattivamente preparando alla caduta del governo. Avrebbe cercato la disponibilità del Labor a sostenere una maggioranza alternativa, scontrandosi col niet del leader laburista Isaac Herzog.

Le due questioni – l’economia e il voto sullo Stato ebraico – hanno un potenziale esplosivo. Secondo il quotidiano Arutz Sheva il partito del premier avrebbe cercato la sponda dei partiti ultraortodossi nell’ipotesi in cui la coalizione collassasse. Ma ormai si sente parlare sempre più spesso di elezioni anticipate.

Difficile, ad oggi, prevedere l’esito della vicenda. Che dipende anche da quello che succede a Gerusalemme e a Vienna. Ma pare che Netanyahu si stia preparando a una nuova fase politica: una fase in cui la Palestina viene riconosciuta da un buon numero di paesi occidentali, in cui l’Iran chiude il suo più che trentennale scontro con l’America, in cui Israele è ancora più isolato. Una “soluzione dei due stati” imposta da fuori, senza un trattato di pace tra Israele e Palestina.

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