Originale: Middle East Eye
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30 novembre 2014

La legge di Israele sullo stato ebraico
di Jonathan Cook
traduzione di Giuseppe Volpe

Difficilmente avrebbe potuto esserci un atto di teatralità politica più adatto, questa settimana, quando i membri palestinesi del parlamento israeliano hanno criticato una controversa nuova proposta di legge che definisce Israele lo stato-nazione del popolo ebraico.

La legge proposta, approvata domenica dal governo del primo ministro Benjamin Netanyahu, dovrà avere la sua prima lettura nel parlamento, la Knesset, la prossima settimana.

E’ intesa a retrocedere l’arabo – parlato dal quinto della popolazione che appartiene alla minoranza palestinese del paese – dal suo status attuale di lingua ufficiale e fa della “tradizione ebraica” e dei “profeti di Israele” una fonte primaria dell’autorità legale e giudiziaria.

Più specificamente, definisce formalmente Israele come appartenente agli ebrei di tutto il mondo, piuttosto che ai propri cittadini che comprendono 1,5 milioni di palestinesi.

I critici, tra cui il presidente d’Israele, Reuven Rivlin e il consigliere legale capo del governo, Yehuda Weinstein, hanno avvertito che la legge comprometterà le salvaguardie democratiche che proteggono i diritti dei cittadini palestinesi d’Israele.

Nello spiegare la necessità della legge Netanyahu ha detto ai suoi ministri che era importante che “ci siano diritti nazionali solo per il popolo ebraico: una bandiera, un inno, il diritto di ogni ebreo a immigrare in Israele e altri simboli”.

Lunedì, in un turbolento dibattito parlamentare, due membri palestinesi della Knesset sono stati allontanati dall’aula dal vice presidente dell’assemblea, Moshe Feighlin, mentre contestavano la legge.

Uno di loro, Jamal Zahalka, aveva cercato di citare Hannah Arendt, sopravvissuta all’Olocausto e filosofa, che avere previsto che uno stato ebraico sarebbe stato incapace di offrire cittadinanza o diritti corretti alla sua minoranza palestinese.

Quando Feiglin, membro di estrema destra del partito Likud di Netanyahu, ha sollevato dubbi sul materiale citato, Zahalka ha osservato che la Arendt era l’”opposto” di Feiglin, che ha definito un “fascista”. Su ordine di Feiglin, Zahalka è stato sommariamente allontanato dagli uscieri.

“Mentre mi scortavano fuori, ho detto a Feiglin che aveva avuto l’onore di essere il primo a mettere in pratica la legge sullo stato-nazione ebraico”, ha dichiarato Zahalka a Middle East Eye.

Scontro di visioni del mondo

Lo scontro alla Knesset è stato un’illustrazione esplicita delle visioni del mondo opposte al centro della lotta sulla Legge Fondamentale di Israele come stato-nazione del popolo ebraico proposta da Netanyahu.

Pochi attivisti per i diritti umani dubitano che la nuova legge, se approvata, non danneggerà gravemente le prospettive della minoranza palestinese d’Israele di poter mai convivere in pace o uguaglianza con i loro compatrioti ebrei. Nelle parole di Menachem Klein, professore di scienze politiche all’Università Bar Ilan di Tel Aviv, la legge “promuove la discriminazione”.

Per protesta centinaia di cittadini palestinesi hanno cambiato questa settimana le loro foto sui profili Facebook con una con il timbro “cittadino di seconda classe”.

Gli arabi israeliani stanno ora inserendo timbri “cittadino di seconda classe” sui loro profili Facebook: http://t.co/bkx5oNHYAI pic.twitter.com/gTxfgMYTr5.

La legge rischia anche di sabotare qualsiasi speranza di raggiungere un accordo di pace per risolvere l’ultradecennale conflitto regionale tra Israele e i Palestinesi.

“La legge significa che il diritto al ritorno [dei profughi palestinesi della guerra del 1948] è stato escluso da Netanyahu e dalla destra prima che qualsiasi negoziato abbia avuto luogo sul problema”, ha affermato Zahalka. “Invece diventa lo stato-nazione degli ebrei di tutto il mondo. Lo stato appartiene a un ebreo di Brooklyn più di quanto appartenga a un cittadino palestinese di Nazareth”.

Il significato della legge proposta sullo stato-nazione sta più nelle sue ramificazioni politiche che in quelle legali, un fatto che è stato diffusamente frainteso dagli osservatori israeliani e internazionali.

La maggior parte dei commentatori ha suggerito che la legge di Netanyahu metterà in pericolo l’uguaglianza tra la maggioranza ebrea e la minoranza palestinese d’Israele, che conta 1,5 milioni di persone, degradando quest’ultima alla condizione di cittadini di seconda classe.

Facendo eco a tale visione il Dipartimento di Stato USA ha sollecitato Israele “ad attenersi ai suoi principi democratici”, aggiungendo: “Israele è uno stato ebraico e democratico e tutti i suoi cittadini dovrebbero godere di uguali diritti”.

Il presupposto comune è che, occupazione a parte, Israele sia una democrazia normale, in stile occidentale, ora sotto la minaccia della legge di Netanyahu. Tuttavia nulla potrebbe essere più lontano dalla verità, secondo Saleh Mohsen, un avvocato di Adalah, un’organizzazione per i diritti umani che rappresenta la minoranza palestinese di Israele.

“Non esiste alcun principio d’uguaglianza nella legge israeliana e la legge proposta da Netanyahu non farà nulla per cambiare ciò”, ha dichiarato a MEE. “Legalmente sta semplicemente consolidando la discriminazione esistente, rendendo ancor più difficile per noi contrastare e cercare di far cancellare le già molte leggi discriminatrici di Israele”.

Peggio della disuguaglianza

Israele non ha una costituzione ma la sua dichiarazione d’indipendenza e molte delle sue leggi fondative – chiamate Leggi Fondamentali – sono già basate sull’idea che Israele sia uno stato ebraico.

Tali leggi, così come innumerevoli prassi amministrative, privilegiano i diritti della maggioranza ebrea sulla minoranza palestinese del paese, più chiaramente nella Legge sul Ritorno, in effetti una legge di cittadinanza per la popolazione ebrea e che limita l’immigrazione ai soli ebrei. (I palestinesi vedono riconosciuta la loro cittadinanza da una legge diversa e di rango inferiore, la Legge sulla Cittadinanza, del 1952).

“Il problema è già peggiore che una semplice questione di disuguaglianza”, ha affermato Sawsan Zaher, un altro legale di Adalah. “Poichè Israele si definisce uno stato ebraico, la minoranza palestinese si suppone a priori sia una minaccia per la sicurezza, o addirittura un nemico”.

In pratica solo i cittadini ebrei godono di diritti nazionali, con i cittadini palestinesi in grado soltanto di rivendicare diritti individuali inferiori. Adalah ha compilato un archivio che documenta più di 55 leggi che conferiscono esplicitamente ai cittadini ebrei diritti legali superiori basati sulla loro appartenenza nazionale.

Persino nel parlamento, la supposta culla della democrazia israeliana, dove ha avuto luogo il confronto tra Feiglin e Zahalka, nessun partito palestinese è mai stato invitato a far parte di una delle molte complesse coalizioni che hanno governato Israele. Anche le piattaforme dei partiti palestinesi sono state rigorosamente limitate dalla prescrizione di riconoscere Israele come uno “stato ebraico e democratico”, ha aggiunto Mohsen.

Il paradosso, ha osservato Aeyal Gross, professore di diritto all’Università di Tel Aviv, è che la legge di Netanyahu cancellerebbe la tensione intrinseca tra questi due concetti risolvendo la difficoltà a favore dell’ebraicità di Israele.

Ciò “rafforza lo status [di Israele] come etnocrazia, non democrazia”, ha aggiunto.

Lotta per il campo della destra

Allora perché Netanyahu e i suoi associati di estrema destra nella coalizione sono così ansiosi di approvare oggi questa legge e che sperano di ricavarne?

Parte del motivo è collegata a un contrasto politico interno tra il centro e la destra israeliani su chi meglio rappresenta gli interessi del pubblico israeliano e su come Israele si presenta al mondo esterno.

Naftali Bennett, un leader dei coloni e ministro dell’economia, ha recentemente utilizzato un articolo sul New York Times per sostenere che Israele dovrebbe porre formalmente fine al processo di pace e annettere l’intera West Bank.

Netanyahu si è trovato sempre più sorpassato a destra da concorrenti politici mentre la sua coalizione traballa, minacciando elezioni generali, ha affermato Klein, dell’Università Bar Ilan. “Ha bisogno di mostrare di essere il vero leader della destra”.

Nel proporre la legge sullo stato-nazione ebraico Netanyahu ha utilmente marcato la distanza tra sé e i centristi del suo gabinetto, Yair Lapid e Tzipi Livni, entrambi oppostisi pubblicamente alla misura.

Egli sta anche traendo vantaggio dalla linea dura adottata durante i negoziati di pace falliti in primavera. Durante i colloqui Netanyahu ha provocato controversie pretendendo che il riconoscimento di Israele come stato ebraico da parte di Mahmoud Abbas e della sua Autorità Palestinese fosse una condizione chiave per un accordo.

Zahalka ha segnalato che Netanyahu aveva incontrato molte critiche in patria: “C’erano quelli che dicevano ‘Come possiamo chiedere al mondo di riconoscerci come stato ebraico quando noi stessi non abbiamo chiaro cosa intendiamo per stato ebraico’?”

“Questo ha aiutato a zittire tali critici”, ha aggiunto Zahalka.

Implicazioni di slealtà

In aggiunta Netanyahu pare aver adottato una strategia politica di aggravamento intenzionale delle relazioni tra lo stato e la minoranza palestinese, in parte, sembra, per posizionarsi da vero campione di un pubblico israeliano che si sta spostando ulteriormente a destra.

Secondo Jafar Farah, direttore di Mossawa – il Centro di Difesa dei Cittadini Arabi d’Israele – la proposta di legge di Netanyahu è “mirata ad accrescere la tensione tra ebrei e arabi”.

Appena prima che i suoi ministri votassero per approvare la misura, Netanyahu ha suggerito che essa era necessaria perché due aree di Israele con vaste popolazioni palestinesi rappresentavano una minaccia per lo stato. “Ci sono alcuni che vogliono creare autonomie nella Galilea e nel Negev e così rifiutare la nostra nazionalità”, ha affermato Netanyahu.

L’implicazione di slealtà ha fatto eco a commenti incendiari formulati in precedenza, questo mese, dal primo ministro dopo le violente proteste che hanno fatto seguito alla proiezione di un video che mostrava la polizia uccidere a colpi d’arma da fuoco un giovane palestinese in Israele mentre fuggiva.

Netanyahu ha suggerito allora che ai dimostranti doveva essere tolta la cittadinanza e che dovevano trasferirsi “presso l’Autorità Palestinese o a Gaza … Israele non vi opporrà alcun ostacolo”.

Un’altra logica della legge è una percezione a destra che le contestazioni legali di gruppi per i diritti umani come Adalah negli ultimi due decenni abbiano minacciato di cancellare gradualmente le conquiste del sionismo e di erodere i principi fondanti dello stato ebraico.

Il tallone d’Achille dello stato – in questa interpretazione – è la Corte Suprema del paese, il massimo organismo giudiziario, che la destra considera un bastione del liberalismo e dell’attivismo giudiziario.

Yariv Levin, presidente dell’attuale coalizione di governo e uno degli estensori della legge sullo stato-nazione adottata da Netanyahu, ha giustificato la legge affermando che restituirà “Israele alle sue radici sioniste, dopo anni di continui danni provocati dal sistema giudiziario”.

Crisi del sionismo

Yoram Hazony, capo dell’Istituto Herzl, un centro di ricerca con sede a Gerusalemme retto dal pensiero tradizionale sionista, ha identificato in un recente commento su un blog il momento di crisi del sionismo: un’udienza davanti alla Corte Suprema nel 2000.

In quella causa la famiglia Kaadan si era appellata contro il respingimento da Katzir, una delle centinaia di comunità per soli ebrei di Israele. I Kaadan erano stati messi al bando da un comitato di ammissione, la cui principale funzione dalla fondazione di Israele è stata di impedire ai palestinesi di ottenere accesso alla maggior parte della terra abitabile di Israele.

Anche se la corte ha impiegato molti anni a cercare di evitare una sentenza chiara, la sua esitazione ha causato a destra la grande preoccupazione che i giudici alla fine potessero rovesciare uno dei principi chiave del sionismo: la “giudaizzazione” della terra d’Israele. Tanto preoccupato di ciò era il governo Netanyahu che ha approvato una legge nel 2011 che ha dato base statutaria ai comitati d’ammissione.

Secondo Hazony lo scopo della nuova legge sullo ‘stato ebraico’ consiste nel “ristabilire lo status quo precedente sui temi dell’autodeterminazione nazionale ebraica”.

Una preoccupazione correlata, a destra, è l’interpretazione della Suprema Corte delle leggi precedenti – specificamente della Legge Fondamentale sulla Dignità e Libertà Umana, approvata nel 1992 – come implicanti un diritto all’”uguaglianza”. La corte ha sostenuto, anche l’uguaglianza non è menzionata nella legge, che essa sia una precondizione della dignità umana.

Nonostante l’implicazione, tuttavia, Zaher ha affermato che in pratica la Corte Suprema è stata riluttante a usare il principio di uguaglianza implicito nella Legge Fondamentale del 1992 per cancellare la discriminazione strutturale contro i cittadini palestinesi.

Ha osservato che quando la corte ha esaminato una petizione a settembre contro la Legge sui Comitati d’Ammissione, l’ha confermata di stretta misura, sostenendo che la corte non aveva le risorse per esaminare “rivendicazioni ipotetiche e teoriche”.

“Ciò è avvenuto dopo che i comitati d’ammissione avevano operato per decenni, assicurando che i cittadini arabi fossero escluso da centinaia di comunità in tutto Israele”, ha aggiunto.

Agenti nemici

Secondo Klein la necessità di Netanyahu di rafforzare la base discriminatoria della legge, dandole uno status costituzionale, ha una motivazione più fondamentale, legata al più generale conflitto di Israele con i palestinesi.

Ha fatto notare che, nel respingere qualsiasi partizione del territorio del “Grande Israele” che comprende i territori occupati, Netanyahu e la destra hanno affrontato una sfida demografica. Metà della popolazione sotto il loro dominio sarebbe costituita da non ebrei.

“I cittadini palestinesi fanno parte di quel 50 per cento. Appoggiano la creazione di uno stato palestinese, il che li rende agli occhi di Netanyahu parte del campo nemico. Mettono a rischio l’identità di uno stato allargato”.

Ha aggiunto: “Questa legge pone l’etnia al di sopra della cittadinanza ed è uno strumento per evitare tale minaccia. Significa che chiunque si identifichi con i palestinesi è un traditore. E’ per questo che Netanyahu dice ai cittadini palestinesi di trasferirsi nei territori occupati. Perché secondo lui sono agenti nemici.”

Haaretz ha avvertito questa settimana che, se la misura di Netanyahu sarà approvata, cancellerà Israele “dalla comunità delle nazioni democratiche e darà al paese un posto d’onore tra quei sinistri regimi in cui le minoranze sono perseguitate”.

La realtà, tuttavia, può essere piuttosto diversa. Come spiegano gli avvocati palestinesi e i gruppi per i diritti umani in Israele, Israele ha dimorato a lungo tra tali regimi sinistri. La legge di Netanyahu semplicemente contribuisce a gettare luce su questo fatto.


Lo spirito della resistenza è vivo

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Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/israels-jewish-state-bill-assessing-the-wider-impact/

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