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16 ottobre 2014

I curdi avanzano a Kobane, l’Isis arretra

Per la prima volta da un mese, dopo il coordinamento con la coalizione, i combattenti curdi hanno riassunto il controllo di parte della città. Critiche delle organizzazioni per i diritti umani: “La polizia curda obbliga i giovani a prendere parte ai combattimenti”.

Roma, 16 ottobre 2014, Nena News

Per la prima volta da un mese, la resistenza curda a Kobane è riuscita a ricacciare indietro i miliziani dell’Isis. Dopo settimane di costante avanzata islamista, oggi i combattenti curdi a difesa della città a nord della Siria annunciano di aver ripreso il controllo di gran parte della comunità. Una notizia che giunge dopo gli allarmanti annunci dei giorni scorsi, secondo i quali le milizie di al-Baghdadi controllavano ormai metà di Kobane ed erano in avvicinamento al confine turco.

“La coalizione internazionale ha combattuto l’Isis in maniera più efficace negli ultimi giorni – dice al telefono con l’Afp Nassen, funzionario curdo di Kobane – Prima l’Isis controllava il 30% della città, oggi meno del 20%. Abbiamo bisogno di più raid ma anche di armi e munizioni per lo scontro a terra”.

A monte il primo effettivo e ufficiale coordinamento tra le forze aeree della coalizione sponsorizzata dagli Usa e i curdi di Kobane. Ieri funzionari locali avevano fatto sapere di aver informato il fronte anti-Isis delle postazioni esatte dei miliziani, così da permettere dei bombardamenti mirati e quindi più efficaci. Trentadue miliziani hanno perso la vita solo ieri, nei 18 raid compiuti dalla coalizione, permettendo ai curdi di avanzare verso ovest e riprendersi la collina di Tel Shahir: tolta la bandiera nera dell’Isis, i combattenti l’hanno sostituita con quella curda.

L’Isis resta concentrato a est e a sud, spinto indietro dalla controffensiva curda. Grazie al coordinamento con Washington. Certo, la regione di Rojava – impegnata da due anni nella creazione di cantoni autonomi, fondati sul principio del con federalismo democratico, l’economia partecipata, l’uguaglianza di genere e etnia (sulla base dell’ideologia del Pkk) – non è il migliore degli alleati per gli Stati Uniti, che considerano il movimento di Abdullah Ocalan organizzazione terroristica.

Ma l’efficacia di un coordinamento tra le forze impegnate contro l’Isis garantirebbe alla coalizione di avere, anche in Siria, quella rete di intelligence necessaria a raccogliere informazioni dirette e certe, che la mancanza di truppe di terra finora ha impedito. La stessa rete fornita dai peshmerga nel nord dell’Iraq e, in misura molto minore, dall’esercito iracheno nel resto del paese.

La resistenza curda a Rojava sta stupendo il mondo intero, soprattutto alla luce dell’immobilismo del vicino turco, che resta a guardare il massacro. Voci critiche, però, si sollevano: secondo alcuni attivisti curdi, nelle aree autonome a nord del paese, le forze militari curde stanno costringendo i giovani a vestire l’uniforme e arruolarsi tra le squadre di difesa. Un atto che alcune organizzazioni per i diritti umani stanno denunciando, ma che dall’altra parte è indice della disperazione della comunità, quasi abbandonata al suo destino.

Sabato, secondo l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, in molte aree a est di Kobane la polizia curda, detta Asayish, ha rastrellato giovani uomini costringendoli ad unirsi alle forze militari e portandoli dentro alcune scuole per l’addestramento. Tra loro non solo curdi, ma anche arabi, assiri e armeni. Mustafa Osso, membro del Consiglio Nazionale Curdo (che, a differenza del Partito di Unione Democratica, vicino al Pkk, si era unito lo scorso anno alla Coalizione Nazionale Siriana, forza moderata di opposizione ad Assad), ha raccontato di checkpoint volanti e perquisizioni nelle case e della conseguente detenzione di 700 uomini sotto i 30 anni. I curdi di Rojava si difendono: a metà luglio per legge il servizio militare è diventato obbligatorio. Nena News

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