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November 10, 2014

Quel maledetto confine
di Tommaso e Momo, Centri Sociali del Nord-Est

La nostra prima notte di staffetta la passiamo attorno ai fuochi fuori dal villaggio di Meheser, nel grande campo di terra battuta su quei 200m che dividono le case dalla rete metallica controllata a vista dai carri turchi. Al di là della rete la zona di Kobane occupata dall’IS. Per tutta la notte si sentono i rumori della battaglia dentro la città. Sordi colpi di fucile, raffiche di mitra, proiettili traccianti e colpi di mortaio. Ma questa volta sono le forze resistenti dell’YPG e dell’YPJ che stanno attaccando e ad ogni detonazione partono i cori contro Erdogan, si cantano vecchie canzoni partigiane curde, “bella ciao”.

La mattina al villaggio arrivano da diverse città turche macchine, furgoni e camioncini: sono aleviti, la minoranza musulmana che pratica e predica la piena tolleranza verso altre religioni ed etnie, il rispetto per i lavoratori e l’uguaglianza tra uomo e donna. Vengono qui, sul confine turco-siriano, per manifestare la loro vicinanza alla popolazione curda aggredita dallo stato islamico. Si schierano al centro del piazzale, cantano, ballano, parlano. Il villaggio Meheser si mescola a loro. Il muezzin canta, ma viene quasi subito coperto dal tuono degli aerei della coalizione internazionale, si alza una colonna di fumo dalla parte est della città, il boato arriva con qualche secondo di ritardo. Tutti corrono sul tetto della moschea, uno degli edifici più alti, e si incollano ai binocoli. Quando le postazioni dell’IS vengono bombardate il villaggio fa festa, sono tre giorni che non si vedevano aerei. Ancora cori, ancora canzoni. Gli “airstrikes” sono molto importanti, ci spiegano: al contrario dei guerriglieri dell’YPG (armati solo di armi semplici, al massimo dei Kalashnikov) l’Isis dispone di armi pesanti: carri-armati, mezzi corazzati e lanciamissili che vengono distrutti dai caccia USA riportando un po’ di parità tra le forze in campo e consentendo alla resistenza di contrattaccare.

Nel pomeriggio incontriamo Idris Nassan, co-deputato dell’amministrazione della Rojava per il cantone di Kobane.

Innanzitutto vogliamo chiederle, perché “co-deputato”? Cosa vuole dire?

Il “primo deputato” è una donna. Nelle assemblee amministrative della Rojava le 80 cariche sono egualmente divise tra uomini e donne. È la prima volta che un’amministrazione si dota di un codice unitario di condivisione del potere a questo livello. Abbiamo leader uomini e leader donne, abbiamo costituito delle forze speciali per le donne YPJ (Women Defense Units) ed anche dentro all’YPG (People’s Protection Units) ci sono unità composte da donne.

Kobane sta resistendo da 55 giorni. Per tutta la notte abbiamo sentito il rumore della battaglia e pochi minuti fa sono finiti i bombardamenti USA. Come sta procedendo la situazione?

Purtroppo non sono solo 55 giorni che siamo attaccati dai dall’ISIS, ma da un anno. Alle potenze capitalistiche non piace l’esperimento politico di amministrazione democratica decentrata della Rojava. Non piace perché tutte le componenti della comunità stanno iniziando a condividere il potere, le scelte di indirizzo politico, economico e sociale. E’ questo tentativo di costruzione di democrazia radicale che spinge ad utilizzare gli aguzzini dello stato islamico per distruggere la speranza, i sogni, di decine di migliaia di persone. Per questo le unità di protezione popolari YPG e YPJ credendo nella democrazia stanno combattendo i terroristi e sono la prima frontiera contro di loro. Stanno difendendo la libertà e l’uguaglianza tra tutti i componenti della nostra comunità. Dall’inizio degli attacchi hanno chiesto aiuto a tutta la comunità internazionale ed anche grazie al loro aiuto la resistenza è passata nei giorni scorsi da una posizione di difesa ad una di attacco, per pulire i sobborghi di Kobane da questi terroristi.

Nei prossimi giorni e nelle prossime settimane pensiamo di liberare la città e di passare alla seconda fase, quella di liberare le campagne circostanti e di permettere alla gente di Kobane di tornare nelle loro case.

Infatti ci sono molti sfollati nei campi attorno a Suruç…

Esatto. In questo momento ci sono più di 200.000 sfollati. È la prima volta che una città intera e le sue campagne vengono completamente svuotate. Solo nelle parti controllate dall’YPG restano ancora qualche migliaio di di civili, tutti gli altri abitanti sono andati via, un po’ per paura ed un po’ perché non accettano la presenza dello stato islamico, a differenza di altre zone della Siria e dell’Iraq, qui nessuno vuole convivere con l’IS.

Ai curdi piace condividere la vita con gli altri, credo lo abbiate visto al villaggio, noi crediamo nella libertà e nell’uguaglianza. Tra di noi non c’è posto per il fondamentalismo.

In Italia ed in Europa sono state fatte molte manifestazioni contro i consolati del governo turco, complice dell’IS del massacro di Kobane, come si sta comportando Erdogan in queste settimane, qualcosa è cambiato?

La Turchia non accetta la nostra amministrazione. Pubblicamente ci accusano di essere parte del PKK che è ancora vergognosamente considerato un’organizzazione terroristica. Non capiscono (e non vogliono capire) che la Rojava è un’amministrazione composta da tutte le componenti delle nostre comunità. Abbiamo 12 partiti e 47 organizzazioni, il PYD (Democratic Union Party, partito siriano affiliato al PKK) è sicuramente il partito maggioritario, ma ce ne sono molti altri ed uno degli obiettivi di questa amministrazione è quello di promuovere la parità tra tutte le sue componenti.

L’aver coperto l’avanzata del “califfato” è solo uno dei modi con cui la Turchia cerca di rompere la nostra amministrazione, anche se la pressione della comunità internazionale li ha obbligati a qualche buona azione, a qualche lieve “gentilezza” verso Kobane, come l’aver permesso alla fine il passaggio dei peshmerga e qualche cassa di munizioni.

Allo stesso tempo, tuttavia, creano problemi nella comunità internazionale: dicono che Kobane non andrebbe aiutata, che non si tratta di un sito strategico, ma solo di un campo di battaglia tra due analoghe organizzazioni terroristiche.

Noi invece stiamo sperimentando un nuovo modo di fare istituzioni. Da quando il 27 gennaio 2014 abbiamo proclamato la Rojava, abbiamo stabilito le nostre organizzazioni: dalla salute alla difesa, agli affari esteri, quelli interni, quelli economici e quelli sociali. Con questi ministeri cerchiamo di organizzare la nostra vita quotidiana, soprattutto in Siria, dove tre anni di guerra civile hanno reso un vero inferno la vita della popolazione. Ma il regime siriano non vuole che questo succeda, così come non lo vuole quello iraniano, quello turco e quello iracheno ed è per questo che spingono l’ISIS a distruggere la nostra amministrazione. Noi la difendiamo non solo per la Siria e il Kurdistan, ma per tutta la comunità internazionale che si sta finalmente accorgendo di noi: vediamo attivisti, giornalisti e l’attenzione del mondo è concentrata su quello che sta succedendo a Kobane.

A proposito di questo, cosa chiedete, che aiuto volete da chi vi guarda e vi sostiene da ogni angolo del mondo?

Innanzitutto di non distrarsi, di continuare a guardare e raccontare la nostra resistenza, come state facendo voi. Ma non solo: Kobane è distrutta, dall’ISIS e dai bombardamenti che colpiscono comunque la struttura della città. Non abbiamo niente, nessuna medicina con cui curare i feriti, nessun materiale di costruzione. Oltre ai feriti iniziano a presentarsi problemi di igiene e si spargono malattie nei campi degli sfollati. Presto dovremo porci il problema di ricostruire un’altra Kobane ed allora avremo bisogno di tutti i vostri sforzi, anche per forzare la Turchia ad aprire quel maledetto confine.

Una tazza di çay e ci salutiamo, qui fa buio presto e dobbiamo tornare al villaggio di Meheser prima di notte. Nei prossimi giorni incontreremo i responsabili dell’associazione “Rojava Dermek”, una struttura unitaria con il compito di coordinare aiuti e contributi.

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