Originale: Tenk
http://znetitaly.altervista.org
15 novembre 2014

Una rivoluzione di vita
di Saleh Muslim
Traduzione di Maria Chiara Starace

Domenica 10 novembre, Saleh Muslim Mohamed, co-presidente del Partito dell’Unione Democratica (PYD) che rappresenta le comunità indipendenti della regione Rojava (nel Kurdistan siriano) e le sue ali armate, l’Unità di protezione del popolo (YPG) e l’Unità di protezione delle donne (YPJ) hanno visitato l’Olanda. Muslim ha parlato della lotta della Rojava contro lo Stato islamico (ISIS) e dello sviluppo dell’autonomia democratica durante la rivoluzione della Rojava. L’artista Jonas Staal lo ha intervistato dopo il suo discorso.

Jonas Staal: Nella sua conferenza di oggi lei ha detto chiaramente che la battaglia della Rojava non è solo un combattimento contro l’ISIS, è anche una battaglia per una idea politica specifica: il modello di autonomia democratica. Quale è esattamente questo modello di autonomia democratica che è al centro della rivoluzione della Rojava?

Saleh Muslim: La ragione per cui  siamo sotto attacco èil modello democratico che stiamo stabilendo nella nostra area. Molte forze e governi locali non amano vedere che  questi modelli democratici alternativi vengano sviluppati nella Rojava. Hanno paura del nostro sistema. Abbiamo creato, nel mezzo della guerra civile in Siria, tre cantoni indipendenti nella regione della Rojava che funzionano con un governo democratico e autonomo. Insieme con le minoranze etniche e religiose della regione – arabi, turkmeni, assiri, armeni, cristiani, curdi – abbiamo scritto una struttura politica collettiva per questi cantoni autonomi: il nostro contratto sociale. E abbiamo stabilito un consiglio di popolo che comprende 101 rappresentanti di tutte le cooperative, comitati e assemblee che gestiscono ognuno dei nostri cantoni. E abbiamo stabilito un modello di co-presidenza – ogni entità politica ha sempre sia un presidente donna che uno uomo – e una quota del 40% di rappresentanze di genere per rafforzare l’uguaglianza di genere in tutte le forme di vita pubblica e di rappresentatività politica. Abbiamo, in sostanza, sviluppato una democrazia senza lo stato. Questa è un’alternativa unica in una regione tormentata dall’ Esercito Siriano Libero, dal regime di Assad e dallo Stato Islamico che si è auto-proclamato tale,  che sono in conflitto tra di loro.

Un altro modo di riferirsi a questo concetto di confederalismo democratico o di autonomia democratica è democrazia radicale: mobilitare le persone per organizzarsi e difendersi con eserciti del popolo come l’YPG e l’YPJ. Stiamo praticando in questo momento il modello di auto-governo e di auto-organizzazione senza stato. Altra gente parlerà di auto-governo in teoria, ma per noi, questa ricerca di auto-governo è la nostra rivoluzione quotidiana. Donne, uomini, tutti gli elementi della nostra società sono ora organizzati. Il motivo per cui Kobanê  resiste ancora e che abbiamo costruito queste strutture.

JS: Nella sua conferenza le parole “democrazia,” “libertà” e “umanità” sono comparse molto spesso. Potrebbe spiegarci che cosa considera lei come differenza fondamentale tra la democrazia capitalista e quella che lei ha appena descritto come autonomia democratica?

SM: Tutti sannoin che modo la democrazia capitalista gareggia per i voti; è una gara di elettorale. In molti luoghi le elezioni parlamentari si occupano soltanto di propaganda e soltanto del diretto interesse personale di un elettore. L’autonomia democratica riguarda il lungo termine. Riguarda le persone che comprendono ed esercitano i loro diritti. Ottenere che la società diventi politicizzata è il fulcro della costruzione dell’autonomia democratica. In Europa troverete una società che non è politicizzata. Se andate ora a Kobanê e incontrate i combattenti dell’YPG e dell’YPJ, scoprirete che sanno esattamente perché combattono e per che cosa combattono. Non sono lì per denaro o interessi. Sono lì per valori elementari, che praticano contemporaneamente. Non c’è differenza tra quello che fanno e quello che rappresentano.

JS: Come si fa quindi a politicizzare una società a quel livello di consapevolezza politica?

SM: Si deve educare, 24 ore al giorno, a imparare come discutere, a imparare come decidere collettivamente. Si deve rifiutare l’idea che si debba aspettare che arrivi qualche capo che dica alla gente che cosa fare; si deve invece imparare ad esercitare l’autogoverno come pratica collettiva. Nel trattare le questioni quotidiane che riguardano tutti noi, queste devono essere spiegate, criticate e condivise collettivamente. Dalla geopolitica della regione, ai valori umanitari fondamentali, questi argomenti vengono discussi comunitariamente. Ci deve anche essere l’educazione collettiva in modo da sapere chi siamo, perché affrontiamo certi nemici e per che cosa combattiamo.

JS: In una comunità che è in guerra e che affronta una crisi umanitaria, chi è l’educatore?

SM: Le persone stesse si educano vicendevolmente. Quando mettete insieme dieci persone e chiedete loro una soluzione a un problema, o gli presentate una domanda, loro cercheranno una risposta tutti insieme. Credo che in questo modo troveranno quella giusta. Questa discussione collettiva li renderà politicizzati.

JS: Ciò che lei descrive come il centro dell’autonomia democratica è in essenza il modello dell’assemblea.

SM : Sì, abbiamo assemblee, comitati, abbiamo ogni possibile struttura per esercitare l’autogoverno in tutte le componenti  della nostra società.

JS: Quali considera siano le condizioni perché sia possibile che avvenga questo esperimento democratico?

MS: E’ un processo a lungo termine. Io stesso sono stato coinvolto per decenni in questo movimento, in questa lotta; sono stato in carcere, sono stato torturato, e quindi la gente della mia comunità sa perché  faccio queste cose. Non sono lì per prendere soldi o per ottenere benefici personali. La ragione per cui il governo siriano in quel periodo mi ha catturato e torturato è che stavo educando le persone. E io sono una persona; così tanti amici come me hanno patito le stesse sofferenze.   Molti sono diventati martiri perché sono morti in conseguenza delle torture del regime. L’autonomia democratica non è un’idea da realizzare in un giorno; è un approccio, un processo che richiede spiegazioni, educazione: è una rivoluzione che impegna tutte le nostre vite.

JS: Ci sono molti studenti, intellettuali e artisti che guardano alla Rojava, che guardano a Kobanê, e che riconoscono che la promessa di un internazionalismo senza patria in un certo modo ha ritrovato la sua strada nel nostro tempo. Che cosa dice a queste persone che non sono nella Rojava ma che vedono la sua rivoluzione come un orizzonte? Che cosa possono fare?

SM: Ebbene, vadano a Kobanê. Incontrino le persone e le ascoltino, comprendano come hanno contribuito a realizzare il loro modello politico. Parlate con l’YPG, l’YPJ e imparate che cosa fanno adesso; fate delle domande, incontrate la loro società. Nel prossimo futuro le condizioni vi permetteranno di andare là, e potrete conoscere che cosa è il modello dell’autonomia democratica che è stato difeso nelle peggiori condizioni che si possano immaginare, con minacce alla propria vita, con mancanza di cibo e acqua. Andate a parlare alla gente e comprenderete come e perché lo hanno fatto. E come appare la nostra società come risultato di tale modello.

JS: Lei crede che l’autonomia democratica potrebbe essere un modello attuato a livello globale?

SM: Credo che l’amministrazione democratica che abbiamo istituito sia un’amministrazione che tutti sentono di condividere, e quindi, sì è un modello per il mondo. C’erano stati molti pregiudizi riguardo alla nostra rivoluzione, ma quando le persone venute da fuori hanno visitato le nostre comunità e si sono sedute insieme a loro, hanno iniziato a credere che l’autonomia democratica fosse la cosa giusta: c’erano persone che si sono unite alla nostra rivoluzione che venivano perfino da Damasco. Tutti possono venire e vedere con i loro occhi che la nostra rivoluzione è stata combattuta e attuata ogni giorno. E’ una rivoluzione della vita, e, in quanto tale, la nostra lotta è una lotta per l’umanità.

Ecco il contratto sociale, citato nell’intervista: http://civiroglu.net/the-constitution-of-the-rojava-cantons/


Nella foto:  Saleh Muslim

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://zcomm.org/znet/article/a-revolution-of-life

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