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25 settembre 2014

Scarponi sulla schiena
di Lorenzo Trombetta

È alta tensione in Libano dopo i violenti raid condotti giovedì all’alba dall’esercito libanese contro campi profughi siriani ad Arsal, a ridosso della frontiera tra i due Paesi.

E la vicina valle della Beqaa è rimasta per il secondo giorno pressoché isolata da Beirut a causa dei blocchi stradali imposti da famiglie di soldati libanesi sequestrati da oltre un mese da miliziani estremisti siriani lungo la frontiera.

Fonti mediche di Arsal e altre dell’ospedale di Hermel interpellate telefonicamente parlano di 4 civili uccisi e decine feriti. Le fonti affermano che circa 500 profughi siriani sono stati percossi e condotti in una zona militare e centinaia di tende date alle fiamme, affermano i testimoni. Le donne rimaste nei campi sono state allontanate dagli accampamenti e “pesantemente insultate”.

Le forze armate di Beirut attribuiscono invece l’incendio a facinorosi, ammettono l’uccisione di un “sospetto che tentava di fuggire” e parlano dell’arresto di quattro “terroristi” e del fermo di 22 altri sospetti.

Come reazione e in segno provocatorio, decine di altri profughi siriani si sono radunati ad Arsal assieme ad altri libanesi, cittadini della località frontaliera. Alcuni hanno intonato slogan in favore dello “Stato islamico”, il gruppo jihadista accusato da più parti in Libano di essere responsabile assieme ai qaedisti della Jabhat an Nusra del rapimento ad agosto dei soldati libanesi.

Per alcuni istanti, il drappo dello Stato islamico è apparso sulla folla davanti alla sede del comune di Arsal ma chi l’ha sventolato, affermano i testimoni, è stato subito allontanato.

Muhammad Zein, medico di uno degli ospedali da campo di Arsal, ha fornito le generalità dei quattro uccisi, tra cui un uomo di 62 anni, morti in seguito alle ferite riportate da colpi di arma da fuoco “sparati dai soldati libanesi”.

Questi, secondo i racconti di diversi testimoni oculari, hanno circondato il campo di Ras Sharj attorno alle cinque del mattino. “Nel campo c’erano circa 140 tende/famiglie. I militari sono entrati con le armi spianate e hanno radunato circa 200 maschi, di età compresa tra i dieci e i settant’anni”.

Poco dopo, l’incursione è avvenuta nel campo Sanabil (circa 120 tende) e in altri due agglomerati minori (40 tende). “In tutto sono stati portati via 486 maschi”, afferma il medico ma i media libanesi non confermano l’alto numero di fermati.

L’esercito di Beirut ha pubblicato una foto di alcuni fermati, con le mani legate dietro la schiena, in piedi e in fila con la fronte al muro. Davanti a loro, esposti a terra munizioni, alcuni fucili, tre computer portatili e altro materiale “sospetto”.

Secondo la testimonianza di Zein, confermata da foto e video pubblicate da media locali e da attivisti, i fermati sono stati invece fatti spogliare, rimanendo in mutande. Con le mani legate dietro alla schiena sono stati fatti distendere a terra. “I loro corpi sono stati calpestati e colpiti con calci di fucile”.

E’ un’immagine che ha ricordato a molti siriani quella di quando civili di Bayda (Baniyas) furono fatti prigionieri dalle forze del regime di Damasco nel 2011. Con le mani legate dietro la schiena, distesi faccia a terra, e sulle loro schiene gli scarponi dei militari e dei miliziani lealisti (si veda l’immagine-combo in alto).

Citato dall’agenzia ufficiale Nna, il generale Qahwaji, capo dell’esercito, ha assicurato che “l’esercito risolverà la crisi di Arsal” senza però commentare le notizie delle incursioni ai campi.

Nei giorni scorsi le tv panarabe avevano diffuso filmati di gravi violazioni commesse dai soldati libanesi contro “profughi siriani” nella zona di Arsal. Ai primi di agosto, in una prima incursione “punitiva” dell’esercito libanese, seguita al rapimento dei militari di Beirut, altri civili siriani erano stati uccisi.

E, come riferito dallo stesso esercito libanese, sempre ieri sono stati sgomberati con la forza altri tre campi informali di profughi siriani nella Beqaa meridionale tra le località di Ayn e Jdeidet al Fakiha. L’ultimatum scadeva ieri alle sei del pomeriggio. A quell’ora, i militari sono penetrati nell’agglomerato e hanno costretto le famiglie ad andar via.

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