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mag 20th, 2014

Milizie e reparti dell’esercito si uniscono al generale Haftar, nella “lotta al terrorismo”
di Enrico Oliari
Direttore responsabile

Assume sempre di più i connotati di un golpe quanto sta avvenendo in Libia, dopo che due giorni fa le milizie autonome del generale Khalifa Haftar hanno preso l’iniziativa di colpire le caserme degli jihadisti di Ansar al-Sharia e delle “Brigate 17 febbraio” a Bengasi, mentre presso la capitale si sono diretti a bordo di blindati uomini delle potenti milizie autonome della tribù di Zintan, i quali hanno sequestrato alcuni deputati dopo uno scontro che è costato la morte di 2 persone e il ferimento di 55.
Per i miliziani di Zintan ha parlato il loro comandante, il colonnello Mokhtar Fernana, il quale ha “ufficializzato” il collegamento con Haftar e ha annunciando “la sospensione del Cng”, ovvero dell’Assemblea nazionale.
Quello che sta avvenendo in queste ore in Libia è l’aggregazione spontanea intorno al generale Kalifa Haftar di altre milizie, dopo quelle delle tribù di Agedabia e di Qaaqaa; Haftar conta già dell’appoggio di interi reparti dell’esercito regolare, delle Forze speciali (un’unità d’elite), degli ufficiali della base aerea di Tobruk e della tribù della Libia orientale al-Baraassa. Ora il generale ribelle ha a disposizione uomini, aerei, elicotteri, blindati e artiglieria pesante, anche se resta difficile comprendere con esattezza l’impiego che ne farà.
Ufficialmente Khalifa Haftar, sospettato dai suoi detrattori di essere un uomo della Cia in quanto era stato prelevato dagli americani dal Ciad, dov’era prigioniero, nel 1987 ed era rimasto negli Stati Uniti fino al 2011, sta portando avanti un’azione in risposta “alle richieste della popolazione di combattere il terrorismo” (l’operazione è stata chiamata “Dignità della Libia”, ma oggi anche le autorità di Tripoli, che in un primo momento parlavano di “situazione tranquilla e sotto controllo”, hanno disposto la sospensione del Parlamento e di qualunque sua attività fino a nuove elezioni, compresa quella di un nuovo premier.
La Libia del dopo Gheddafi si presenta in una situazione caotica, con già tre primi ministri, venti di secessione delle macroregioni del Fezzan e della Cirenaica, numerose milizie autonome spesso belligeranti fra di loro, tribù in lotta, brigate di jihadisti e persino di appartenenti all’ancien regime, bande di malviventi, sequestri di diplomatici, attentati contro i civili e continui scioperi che paralizzano il paese.
Il 12 aprile scorso è stato deposto il premier Ali Zeidan, fuggito in Germania per non essere arrestato, ed al suo porto è stato messo il miliardario Ahmed Miitig, sostenuto dai fondamentalisti islamici e dagli jihadisti: una situazione improcrastinabile, che ha di fatto spinto Haftar, che già ci aveva provato in febbraio, a prendere in mano l’iniziativa.
Intanto il Pentagono ha disposto il raddoppiamento degli aerei alla base di Sigonella, ma già oggi sono arrivati in Sicilia 4 aerei convertiplano Osprey Mv/22 con 200 marines.
Washington si è detta pronta ad evacuare la propria ambasciata, dall’Italia è arrivato l’invito ai propri cittadini di lasciare il paese e l’Arabia Saudita ha chiuso la propria rappresentanza diplomatica.
In occasione del G8 di Lough Erne, ormai un anno fa, l’Italia era stata chiamata ad intervenire della difficile situazione libica e lo scorso 4 luglio l’allora premier libico Alì Zeidan e quello italiano Enrico Letta si erano incontrati a Roma per discutere di accordi volti a rimettere in sicurezza il Paese; militari libici sono stati addestrati da quelli italiani a Cassino ed in altri centri. Oltre agli accordi per la sicurezza, sul piatto anche 110 mld di dlr di appalti precedentemente stipulati (circa 11mila contratti) e la ripresa delle opere di costruzione delle infrastrutture lasciate a metà dalle ditte straniere a causa della rivoluzione.
Oggi è intervenuto sulla crisi del paese nordafricano il presidente del consiglio Matteo Renzi, il quale ha ricordato che “La Libia é una priorità assoluta. Ma la vicenda si risolve solo per via internazionale, nessun Paese da solo può pensare di risolvere una situazione così drammatica”. Ed ha auspicato il coinvolgimento dell’Onu e dell’Ue.

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