Al-Hayat
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08/02/2014

Tunisia, Egitto e Libano
di Walid Shaqir
Traduzione e sintesi di Stella Cancelli

Alcuni intellettuali libanesi e parte delle forze politiche che fino a poco tempo fa si sono dichiarati contrari alla primavera araba, oggi concordano con la visione della comunità tunisina sulla nuova Costituzione e sul suo riconoscimento delle libertà, vale a dire una libertà di coscienza che apre le porte ad una libertà di credo come fondamento di una società libera, non più legata alla restrizione dei diritti a scopi politici. Il presidente libanese Michel Suleiman, per esempio, ha partecipato insieme ad altri capi di Stato mondiali alla celebrazione della Tunisia e della sua costituzione, risultato della lotta del popolo tunisino e della resistenza ai tentativi di prevaricazione da parte di movimenti che reclamano un ritorno al passato in nome del fondamentalismo islamico.

Già in precedenza, gli stessi che si lamentavano dell’emergere dell’estremismo sulla scia della primavera araba, sono stati sorpresi dalla ribellione del popolo egiziano contro i tentativi dei fratelli musulmani di appropriarsi della loro rivoluzione. Tale sorpresa, per alcuni libanesi, è dovuta alla smentita implicita delle loro affermazioni secondo le quali il cambiamento nelle società araba porta al prevalere degli estremisti. L’origine di queste affermazioni è l’immagine che il regime siriano e i suoi alleati hanno cercato di trasmettere all’opinione pubblica sulla guerra in Siria, descritta non solo come una lotta al terrorismo, ma anche una difesa delle minoranze.

Sono stati deliberatamente ignorati tutti i documenti della “Coalizione nazionale siriana delle forze dell’opposizione e della rivoluzione” inerenti la volontà di uno stato civile democratico a tutela delle diverse componenti siriane e del loro ruolo politico e, ancor prima, quelli del Consiglio Nazionale Siriano. La resistenza al fondamentalismo e all’estremismo della classe politica libanese è riconducibile alla scelta politica, consapevole o non, di appoggiare il regime siriano per motivi connessi al conflitto politico interno, lasciando penetrare il regime siriano e il suo alleato iraniano. Era dunque necessario diffondere l’accusa di terrorismo e di caos sul resto delle rivoluzioni arabe in nome della democrazia e della diversità libanese.

Esistono oggi centri politici libanesi che versano in uno stato di schizofrenia, divisi tra l’esaltazione dei fondamenti islamici e un maggiore pluralismo, generando una crisi di governo. Questi stessi soggetti in nome della Costituzione ostacolano la caduta del governo e in nome della democrazia utilizzano la forza delle armi. Tutto ciò in un momento in cui i tunisini hanno trovato la soluzione alla crisi attraverso un governo tecnico di transizione che li porti alle elezioni. Quello che doveva essere l’equivalente libanese, cioè un governo ”neutro” teso a garantire diritti e ad evitare la sovrapposizione tra la crisi interna e quella siriana, è proibito. Allo stesso tempo, l’Egitto si prepara alle elezioni presidenziali per rilanciare una vita politica dinamica mentre in Libano si prospetta un vuoto presidenziale e si guarda con attenzione alla lotta per l’insediamento regionale.

In entrambi i casi, tunisino ed egiziano, la popolazione è riuscita a raggiungere una soluzione. Quindi perché non spingere i libanesi, troppo deboli in questo campo, a guardare verso Tunisia ed Egitto per trovare una possibile soluzione alla propria crisi, finché il custode siriano non sarà in grado di aiutarli in tal senso?

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