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25 - Gennaio 2014

Le Regole del Mondo Arabo

Nel mondo arabo e musulmano ci sono una serie di circostanze che si ripetono sempre e che oramai costituiscono una regola. Gli ultimi eventi ripropongono un'analisi di questi fattori attraverso la quale e' possibile cercare di capire il perche' del fallimento di quel fenomeno sociale etichettato con il nome evocativo - ma fuorviante - di "Primavera Araba".

La prima regola e' che il potere, in questa parte di mondo, e' stato quasi sempre detenuto da regimi autoritari, la democrazia non esiste.

Il fatto che prevalgano sempre forme di governo autoritarie e' la diretta conseguenza della totale assenza di una cultura democratica. Non l'hanno importata i Paesi coloniali che hanno a lungo dominato queste terre, ne' tantomeno la successiva spartizione e creazione di entita' nazionali che talvolta non avevano un comune denominatore sociale. Il risultato finale non e' infatti casuale, ma voluto. Utilizzare l'arma della coercizione e non del consenso ha agevolato il passaggio da Paesi colonia all'autodeterminazione e all'indipendenza, saltando a pie' pari tutte quelle contraddizioni che questo nuovo status avrebbe fatalmente determinato sul piano sociale. E, generalmente, chi ha preso il potere lo ha fatto con l'acquiescente consenso dell'ex Paese coloniale.

La seconda regola e' che la maggioranza di questi regimi autoritari sono di estrazione militare o pseudo-dinastica.

E'/era il caso della Tunisia, dell'Egitto, della Libia, dell'Algeria, dello Yemen, della Siria e dell'Iraq di Saddam. A questi Paesi bisogna aggiungere, con le dovute precisazioni, anche la Turchia di Kemal Ataturk. Ovviamente una delle istituzioni piu' forti all'atto dell'indipendenza erano le Forze Armate. E sono state queste, in linea prioritaria, ad approfittare della loro influenza per fagocitare il potere. Una variante a questa circostanza e' stata l'imposizione nella divisione territoriale del Medio Oriente di pseudo monarchie, legittimate piu' dagli ex Paesi coloniali, che non dalla storia. Kuwait, Qatar, Bahrein, Arabia Saudita, Oman ed Emirati Arabi Uniti appartengono a questa categoria. A fattor comune, regimi militari e monarchie utilizzano il sistema ereditario nel trapasso del potere.

La terza regola e' che nel mondo arabo e musulmano non hanno attecchito ideologie politiche alternative e relative scale di valori sociali di riferimento.

Ci sono stati diversi tentativi di propagandare ideologie che potessero amalgamare le societa' di riferimento e risvegliare - in senso partecipativo - le masse sociali. C'e' stato il nazionalismo arabo di Nasser che e' poi diventato panarabismo. C'e' stato il cosiddetto socialismo arabo dei Partiti Baath di Siria ed Iraq. Nella realta', queste non erano ideologie politiche mirate a creare tessuto e sensibilita' sociale, ma sono nate per asservire e giustificare pre-esistenti potentati militari. Il comunismo, ad esempio, non ha fatto proseliti in questa parte di mondo se non nelle comunita' cristiane del mondo arabo, forse perche' socialmente piu' evolute. Una spiegazione e' che il professato ateismo dell'ideologia comunista si e' mal conciliato con l'Islam. Il comunismo e' quindi servito solo come strumento per emancipare dal colonialismo i vari popoli della regione, ma non ne ha caratterizzato l'iter sociale.

La quarta regola e' che l'Islam, a differenza del cristianesimo, ha una forte incidenza sul sociale.

E' una religione che non si limita a divulgare concetti, ma soprattutto precetti comportamentali. Condiziona quindi in maniera incisiva le societa' dove prevale. La religione e' un fattore da tenere in debito conto quando si cercano di capire le reazioni al cambiamento di queste societa'. L'Islam poi, travalica facilmente da religione ad Islam politico, con tutto quello - soprattutto di negativo - che questo passo comporta. Comprese le delusioni che si determinano quando si passa dal sacro al profano e dal potere spirituale a quello temporale.

La quinta regola e' che l'Islam e' una religione senza vertici, acefala.

Non esiste nell'Islam una struttura di vertice che possa fornire indirizzi dogmatici e/o interpretazione di sacri testi od offrire linee guida. In altre parole, non ha un Vaticano ed un clero di riferimento. Ci sono ovviamente scuole di pensiero, personaggi qualificati che hanno peso nelle vicende religiose, ma non esiste una scuola coranica unica per diventare imam, una gerarchia clericale (levato il caso dello Sciismo). Tutto questo porta all'utilizzo strumentale delle scritture del Corano da parte di chi vuole giustificare i propri comportamenti dando loro un avallo religioso. E' come se nel cristianesimo e nell'ebraismo si attribuisse un significato strettamente letterale ai racconti della Bibbia. Nascono cosi' le fatwa, il radicalismo che porta alla jihad ed il fanatismo in un perverso accostamento di religione, istanze sociali e politica.

La sesta regola e' che quando un regime autoritario crolla, a sostituirlo nell'esercizio del potere sono le istanze politiche a contenuto religioso.

A prescindere dalla commistione tra Islam e politica, il tracollo di un regime autoritario pone in posizione di vantaggio quelle strutture sociali che nei Paesi islamici gestiscono la trasmissione del consenso e cioe' la rete delle moschee e delle associazioni religiose. Queste ultime poi, svolgendo attivita' assistenziale fra popolazioni che generalmente hanno un basso tenore di vita, acquisiscono un credito che poi tramutano in sostegno politico. Il caso dei Fratelli Musulmani e' emblematico. Quando crolla un regime quindi fra i primi aneliti di democrazia partecipativa si impongono i partiti di ispirazione islamica. Anche perche', come abbiamo detto, in assenza di ideologie politiche alternative, l'Islam e' l'unico collante che leghi societa' e politica.

La settima regola e' che in questa parte di mondo vi e' un'accentuata diseguaglianza sociale derivante da un'iniqua distribuzione della ricchezza.

E' la tipica conseguenza delle dittature. Laddove non c'e' giustizia sociale o liberta', il primo effetto e' la creazione di una categoria di privilegiati e di una di diseredati. E quando quest'ultima e' numericamente superiore all'altra, allora questa diventa massa sociale capace anche di scalzare i regimi. Non lo fa su presupposti libertari o sulla base di aspirazioni democratiche, ma sull'onda di un'esigenza dettata dai bisogni della quotidianita'. La massa si aspetta ovviamente che il crollo del regime di turno produca quei benefici sociali di cui abbisogna. Ma se questi non arrivano, allora ecco che si creano ulteriori sommovimenti sociali. Il caso dell'Egitto, della sua crisi economica alle aspirazioni mal riposte nella gestione di Mohamed Morsi hanno giustificato o tentato di giustificare, quantomeno nel brevissimo termine, il ritorno al potere dei militari. Ma, nel caso egiziano, il caso vuole che gli stessi militari - dettaglio non trascurabile - siano anche i detentori di una preponderante forza economica.

L'ottava regola e' che quando crolla un regime la prima conseguenza immediata e' l'anarchia ed il caos sociale.

I regimi autoritari hanno generalmente il pregio di controllare le societa' su cui esercitano in maniera asfissiante il proprio potere. Non garantiscono la liberta', non tutelano i diritti umani, usano metodi repressivi, ma sicuramente garantiscono la sicurezza. Quando questi crollano, automaticamente subentrano forme di caos sociale agevolate anche dal basso sentire democratico che ispira la rivolta delle masse. La liberta' si trasforma in anarchia e questo, nei fatti, mantiene inalterata, pur a ruoli invertiti, la capacita' di prevaricazione del forte sul debole. Non prevalgono tolleranza, ne' tendenza al dialogo, ma solo la volonta' di contrapposizione. In sostanza, nell'esercizio del potere si mutuano le pratiche passate, usando la forza delle armi e non quella delle idee nell'imposizione di un nuovo assetto socio-istituzionale.

La nona regola e' che i regimi autoritari arabi non creano mai una classe politica alternativa al proprio potere.

Quando crolla un potere, non ne esiste un altro che gli possa subentrare. Sicuramente questo e' dettato dalla logica della sopravvivenza di ogni regime autoritario, ma in questa parte di mondo questo avviene soprattutto perche', piu' che altrove, mancano una cultura di riferimento alternativa ed esempi virtuosi da imitare, almeno a livello regionale. I casi di Libia ed Iraq sono emblematici.

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