Fonte: juancole.com
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Giovedì 25 Settembre 2014

La crisi politica nel mondo arabo: non è un fatto di civiltà e non è unico
di Juan Cole

Crediamo sia importante tradurre e condividere quest’articolo, apparso qualche giorno fa su juancole.com. Questo perché oggi, in un periodo di grandi mutamenti nel mondo arabo, e medio-orientale in generale, la stampa mainstream si lascia andare a pseudo-analisi (?) dal carattere marcatamente orientalistico, totalmente appiattite su una lettura della regione attraverso il prisma della religione islamica, e la sua presunta incapacità ad adattarsi alla modernità. Anche la stessa lettura della pervasività del fenomeno settario di scontro sunniti-vs-sciiti viene ad essere inquadrata attraverso l’Islam come fatto-sociale-totale, elemento principe che identifica e struttura la società, unica chiave per spiegare i comportamenti di tutti i suoi aderenti, e non tiene invece in conto dell’uso politico del credo religioso come leva di mobilitazione e legittimazione di più profonde rivalità geopolitiche.

Qui Cole pone un problema di narrazione e delle categorie di percezione della regione nell’immaginario globale. Rispondendo ad un articolo di Melhem apparso su Politico, egli afferma che non esiste nessun difetto morale e nessun declino di civiltà nelle popolazioni arabe, ma che, per comprendere quello che succede oggi, dobbiamo riferirci ai vari sconvolgenti mutamenti - nella composizione della popolazione, nell’organizzazione sociale e del lavoro, nell’ambiente, nell’economia - che il mondo arabo ha subito.

Hisham Melhem ha scritto un articolo su quello che lui chiama “il collasso della civiltà araba”.

L’articolo é zeppo di contraddizioni e pensieri confusi, e con tutto il dovuto rispetto per Melhem, che é un giornalista esperto e ben informato, sono fortemente in disaccordo con quanto dice. Credo che lui sostenga che gli Arabi portano un’onere morale per le atrocità che stanno venendo commesse nella regione, e che non possono evitare ciò incolpando problemi regionali legati al colonialismo europeo o ricorrendo all’invasione e all’occupazione americana dell’Iraq.

Prendiamo i 22 paesi membri della Lega Araba (che includono, per ragioni politiche, paesi non-di-lingua-araba come Somalia e Gibouti). Non c’è niente di sbagliato nella loro civiltà.

Negli ultimi 50 anni la popolazione araba é passata dall’essere in maggioranza rurale, per l’80%, all’80% urbanizzata (esistono ancora paesi arabi significativamente rurali, come l’Egitto e la Siria, ma persino lì gli abitanti urbanizzati sono la maggioranza). Anche l’Arabia Saudita, che un secolo fa contava moltissimi pastori nomadi, é oggi urbanizzata quanto gli Stati Uniti. La popolazione araba é inoltre passata dall’essere largamente analfabeta ad alfabetizzata, specialmente per quanto riguarda la fascia tra i 15 e i 30 anni. Il livello di educazione superiore e universitario é salito alle stelle. Gli arabi oggi hanno accesso al mondo tramite la televisione satellitare. In termini di civiltà, il livello medio degli arabi oggi è di molto superiore a quello dei propri nonni e genitori.

Sicuramente, gli stati del mondo arabo stanno subendo importanti transizioni e alcuni sono collassati. Ma il collasso dello stato non é la stessa cosa di quello della civiltà, né è causato da quest’ultimo, qualsiasi cosa esso significhi.

Perché gli stati stiano collassando é una bella domanda per le scienze sociali, ma non è colpa di un difetto morale come Melhem fa credere, né è l’unico. Io mi concentrerei sui seguenti:

1. Demografia. Il mondo arabo è pieno di stati che hanno avuto un tasso abbastanza alto di crescita demografica per 150 anni. Nella mia ipotesi questo boom di popolazione è legato al riscaldamento globale, che é anch’esso iniziato 150 anni fa, e che potrebbe aver ridotto le epidemie nella regione, che sappiamo fossero comuni e cicliche nel Medioevo e nel primo periodo moderno (“le piaghe”). La Tunisia subì una transizione demografica e cominciò a stabilizzarsi, ma molti tra gli altri paesi continuavano ad avere alti tassi di natalità (l’Egitto si è stabilizzato nel 2005 ma, apparentemente, l’instabilità degli ultimi tre anni ha causato un nuovo baby boom). Alti tassi di crescita demografica possono contribuire all’instabilità se non ci sono abbastanza opportunità di impiego per le onde di giovani che entrano nel mercato del lavoro ogni anno. Il PIL è una questione di lunga durata. Così, se la crescita demografica è del 3% annuo, e pure quella dell’economia, l’aumento del reddito pro capite nel PIL quell’anno è….zero. Andando avanti così la situazione per decenni si manifesterà una stagnazione economica e sociale. Ecco perché la politica di un solo figlio in Cina è stata così intelligente. Non ci sarebbe potuto essere il decollo post-1980 nello stesso modo (in Cina) se il livello di crescita demografica fosse stato come quello dell’Egitto. E’ un anomalia che i due paesi che iniziarono a subire un cambiamento nella transizione demografica negli anni ’70, Tunisia e Turchia, sono i due paesi più stabili nella regione?

2. Produttività. Molti paesi arabi furono sotto amministrazione coloniale europea nel XIX° secolo e fino a metà del XX°. Nessuna amministrazione coloniale era interessata a promuovere l’industrializzazione (in contrasto, per esempio, al Giappone Meiji, che fu indipendente ed interessato alla posizione del proprio paese nel mondo). I paesi arabi, dopo la 2^ Guerra Mondiale, erano per la maggior parte agricoli e poveri. L’80% degli iracheni erano agricoltori senza terra e 2500 famiglie possedevano le migliori terre, e facevano la parte del leone, nel 1958. Mentre ci fu una qualche industrializzazione di stato, circa la metà della popolazione della Siria rimaneva ancora rurale. L’ economia agricola ha bassi tassi di produttività di capitale. E molti lavoratori urbanizzati sono impegnati nei servizi, i quali anch’essi non sono certo caratterizzati da molto aumento della produttività. L’alta crescita demografica insieme con la bassa produttività equivale alla stagnazione economica e sociale.

3. La distorsione dell’economia petrolifera. L’urbanizzazione in Egitto, per esempio, può essersi bloccata dagli anni ’70 poiché i lavoratori, che avrebbero potuto essere impegnati nelle produzione egiziana, al contrario emigrarono in Arabia Saudita, Kuwait e EAU. Quando, e se hanno fatto ritorno in patria con i loro risparmi, spesso lo hanno fatto ai loro villaggi, dove hanno aperto negozi o altre piccole attività. L’economia petrolifera del Golfo inoltre ha indotto a emigrare gli insegnanti e gli ingegneri più intraprendenti. L’economia petrolifera ha rafforzato le valute a causa del valore delle materie prime, che rende i prodotti fatti-in-casa più cari e danneggia gli artigiani, le industrie e l’agricoltura, poiché mercati esportatori come l’India non possono permettersi questi beni se scambiati con valuta forte (questo fenomeno é noto come Sindrome olandese1 perché l’Olanda ne soffrì all’inizio degli anni ’70 quando la sua industria di gas naturale prese piede). Inoltre, la presenza nella regione di regimi autoritari di piccole dimensioni ma enormemente ricchi come Qatar, Kuwait, EAU e Arabia Saudita è stata ed è destabilizzante. Essi innaffiano la regione di soldi (petro-dollari) per sostenere i loro procuratori, che sono pronti a combattere e hanno le risorse per comprare armi di ultima generazione.

4. Aridità e cambiamento climatico. Il mondo arabo si trova in una zona arida duratura, che si estende dal Marocco fino al Deserto del Gobi. La maggior parte di questa regione non può contare sull’aiuto delle precipitazioni in agricoltura e dipende dall’irrigazione. Ma, nel corso del tempo, il cambiamento climatico sta producendo una crescente aridità, con siccità di lungo periodo. Il collasso della Siria é senz’altro causato, in alcune sue parti, dal cambiamento del clima. L’Egitto stesso ha subito una crisi legata all’acqua, e in alcuni villaggi dell’Alto Egitto le proteste sulla mancanza di acqua hanno fatto parte delle agitazioni durante la rivoluzione del 2011 e oltre.

Questa serie di cause hanno contribuito alle difficoltà che il mondo arabo si trova ad affrontare, non certo il deterioramento morale o di civiltà. Sicuramente il collasso statale può creare un vortice sociale dove raccapriccianti gruppi come ISIS trovano terreno fertile. Ma essi sono il risultato di altri fattori, e sono legati all’instabilità e allo spostamento forzato di popolazione. Non sono la causa principe di niente per sé stessi. Né lo sono i soli Arabi in tutta la regione. La brutalità e l’uso sproporzionato della forza perpetrato da Israele e il suo esercito a Gaza é un’altra forma di barbarie.

Chiamare in causa il mondo arabo é ingiusto.

La Spagna é stata governata dal 1936 da una dittatura fascista, che è durata fino agli anni ’70. Uno dei paesi-modello della civiltà, il paese di Goethe e Schelling- la Germania- é diventata fascista negli anni ’30. Allo stesso modo l’Italia ha avuto un governo fascista dagli anni ’20, che é stato rovesciato da un’invasione americana, non dagli dagli stessi italiani. Anche nell’ultimo decennio l’Italia è stata degradata da Freedom House dall’essere una democrazia di prima fascia, a causa delle pratiche di corruzione e autoritarie del Primo Ministro Berlusconi (i giornalisti che lavorano per i suoi media erano costretti a scrivere bene di lui). Non é chiaro del tutto se l’Europa si sarebbe diretta verso la democrazia, o l’avrebbe fatto in maniera così veloce, se si fosse arrangiata da sola. Quello che noi pensiamo delle pratiche democratiche è stato imposto nell’Europa occidentale dagli USA.

Anche il Sud-est asiatico ha avuto le sue difficoltà, passando dall’essere agricolo e coloniale a diventare indipendente, urbanizzato e industrializzato. L’Indonesia ha fatto fuori centinaia di migliaia di comunisti nel 1965, qualcuno parla anche di milioni. Il Vietnam è stato in subbuglio per decenni e poi si è trasformato in una dittatura a partito-unico, rimanendo disperatamente povero. Laos e Cambogia sono stati destabilizzati dalla guerra degli States in Vietnam. Di 7,5 milioni di cambogiani nel ’75, il 25% circa è stato ucciso dal genocidio degli Khmer Rossi, una cifra intorno agli 1,8 milioni.

Non esiste paese arabo dove una percentuale di popolazione tale (25%) è stata uccisa, come in Cambogia. La rivoluzione algerina (1954-1962) è costata tra i 500mila e 1milione di vite per una popolazione di undici milioni, ma una larga fetta di questa cifra è stata uccisa dalle truppe francesi. La guerra civile libanese ha ucciso verosimilmente 100mila persona, che su una popolazione di 4 milioni sono il 2,5%. La guerra Iran-Iraq intorno ai 250mila iracheni (alcuni affermano il doppio) di 16 milioni, e ha fatto più o meno lo stesso numero di vittime iraniane. Le guerre arabo-israeliane, per quanto orribili sono state, hanno fatto poche vittime, con vittime da parte araba in decine di migliaia. La Tunisia non é stata coinvolta in nessun conflitto dopo la 2^ Guerra Mondiale. L’invasione americana e l’occupazione dell’Iraq, che hanno destabilizzato il paese, sono risultate in un’eccessiva mortalità compresa tra i 200mila e il milione di morti, su una popolazione di 30 milioni nel 2003 (e, malgrado Melhem, credo che sappiamo di chi é stata la colpa in questo caso).

Uno potrebbe anche fare comparazioni con l’Africa. Non voglio focalizzarmi sulla grande destabilizzazione e perdita di vite umane nella Repubblica Democratica del Congo, la cui crisi è incominciata con la politica del Belgio che ha fatto vittima metà della popolazione. Oltre 5 milioni sono morti a causa dell’instabilità (e relative malattie) nella RDC dal 1995.

Il fatto é che il colonialismo e il neocolonialismo europeo hanno avuto un effetto alquanto destabilizzante sulla regione. Ma Melhem ha ragione a dire che ci sono anche altre cause. Ma non sono quelle che fa notare lui. La crescita demografica, i pattern economici, e la povertà di risorse (specialmente per quel che riguarda l’acqua, che menziona solamente per lo Yemen, ma solo come una lamentela) sono tutti coinvolti.

L’articolo di Melhem sta nel solco di una lunga tradizione. Dopo la Caduta di Baghdad nel 1258 alle armate mongole e buddiste, molti intellettuali musulmani arrivarono alla conclusione che Dio ce l’aveva con loro per essere diventati civiltà decadente, e così, per punizione divina, li fece cadere nelle mani degli infedeli dell’est. Ma le invasioni mongole non rappresentarono la caduta morale delle genti di Iran e Iraq. Essi furono invece la conseguenza, in molte parti, delle sofisticate tecniche di guerra dei Mongoli.

Non farti così del male, Hisham.

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