http://znetitaly.altervista.org
15 ottobre 2014


La “socialista” Malala Yousafzai che i media statunitensi non citano

di Ben Norton
Traduzione di Maria Chiara Starace

Ora che Malala Yousafzai ha vinto il suo Premio Nobel per la Pace guadagnato faticosamente e ben meritato, lei e la sua storia straordinaria e tragica tornano sotto ai riflettori. Come al solito, tuttavia, i media sponsorizzati dalle grosse aziende ha considerato questo argomento positivo e lo ha sfruttato a servizio dell’imperialismo degli Stati Uniti.
Questo genere di media statunitensi ama parlare del coraggio e della forza di Malala e della brutalità delle forze talebane che la hanno quasi uccisa. Questo tipo di servizi alimenta la loro narrativa razzista, orientalista, neocolonialista sui musulmani “arretrati”, violenti, misogini e del loro bisogno di “salvatori bianchi,” legittimando gli interessi imperialistici occidentali nell’Asia meridionale e occidentale. La vittoria di Malala può essere presa e occultata dall’establishment politico degli Stati Uniti per “dimostrare” che la sua invasione, occupazione e distruzione dell’Afghanistan (illegale a livello internazionale), ha “aiutato” la sua gente (come nel caso delle centinaia di migliaia di persone uccise e ferite, ebbene, quelle scomode eccezioni non fanno parte di quel tipo di narrazione).
Mentre la maggior parte dei vincitori del Premio Nobel per la “Pace” lo ottengono, come fa notare Michael Parenti, per essere stati guerrafondai e per crimini contro l’umanità (come esempio primario, considerate che nessun altro tranne Henry Kissinger può vantarsi di averne uno, insieme, naturalmente, allo stesso Obama, Malala in realtà se lo merita e questo rende lo sfruttamento della notizia anche più spregevole e grottesco.
Malala ha dedicato la sua vita a lottare per l’educazione dei bambini – una causa in realtà nobilissima e importantissima. Quando ha implorato, davanti all’ONU, “prendiamo i nostri libri e le nostre penne perché sono le armi più potenti. Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo, l’istruzione è l’unica soluzione,” l’intellighenzia occidentale se l’è bevuta, come un canide vorace che trangugia i suoi croccantini (ripensandoci, un rapace sarebbe stato una scelta più adatta per questo paragone). Tutti possono essere d’accordo che l’istruzione dei bambini è uno scopo positivo. Sottolineando il fatto che “L’educazione è l’unica soluzione,” l’Occidente può mettere in ombra le vere preoccupazioni materiali che la vasta maggioranza del mondo sopporta – cioè l’orribile povertà.
Questa disattenzione non è affatto colpa di Malala che nello stesso discorso, proprio prima del brano citato qui sopra, ha parlato di “una lotta grandiosa contro l’analfabetismo, la povertà, e il terrorismo. Due di queste tre cose si possono trovare messe in evidenza in tutta la stampa sponsorizzata dalle grosse aziende. Si può indovinare quale è esclusa.
Grosso modo metà del mondo vive ancora con meno di 2,50 dollari al giorno. Circa un quarto della gente vive in estrema povertà, con meno di 1,25 dollari al giorno. L’UNICEF stima che 24.000 bambini al di sotto dei 5 anni muoiono ogni giorno a causa della povertà. “Ogni 3,6 secondi una persona muore di fame. Di solito è un bambino che ha meno di 5 anni.” E, in molti paesi, la povertà sta peggiorando.
L’istruzione ha certamente un ruolo nella lotta contro la povertà, ed è importante che si impari la chimica elementare. (Malala stava seguendo una lezione di chimica quando la hanno informata che aveva vinto il Premio Nobel).
Però imparare la chimica elementare non fornisce a miliardi di persone povere il cibo, l’acqua potabile, e l’assistenza sanitaria, cosa che invece richiede un’azione collettiva.
Malala comprende il modo in cui la povertà crea e perpetua proprio i mali sociali e politici contro i quali combatte. Sottolinea di continuo che non è solo importante diffondere l’istruzione, ma combattere direttamente la povertà. Tuttavia questi inviti arrivano alle orecchie dei media occidentali che scelgono che cosa non sentire.
La stampa raccoglie e sceglie quali messaggi di Malala vanno amplificati e quali vanno taciuti. Riesce a malapena a capire l’insistenza dell’attivista sull’importanza della “filosofia della nonviolenza…imparata da Gandhi, Bacha Khan (un capo politico e spirituale pachistano che predicava la nonviolenza, n.d.t.), e da Madre Teresa di Calcutta.” Certamente all’intellighenzia occidentale viene l’acquolina in bocca quando ascolta questi messaggi. Non importa che Ghandhi fosse un razzista violento che difendeva Hitler e il Giappone imperiale, o che Madre Teresa avesse legami con i dittatori del dell’America Centrale e Meridionale. Citare il “Santo dello Status Quo” e lo “Specchio della colpa borghese” come delle figure di grande influenza è un modo infallibile per raggiungere (quel vuoto) nel cuore della classe dirigente occidentale.
Curiosamente molte delle stesse persone che elogiano la vincitrice del Premio Nobel per la Pace per la sua difesa della nonviolenza, hanno esultato felici anche per l’oscena violenza della sanguinosa invasione e occupazione dell’Afghanistan a opera degli Stati Uniti. L’assoluta contraddizione (e ipocrisia) non li impressiona. Dopo tutto, è stato sempre più utile sostenere che gli individui e i piccoli gruppi (particolarmente quelli che sono oppressi) adottano una filosofia della nonviolenza, non gli egemoni e gli stati.
Per quanto accentui le idee di Malala sull’istruzione e la nonviolenza, tuttavia ciò che i media sponsorizzati dalle grosse aziende non citano mai è l’aspetto di Malala che non ama, che non serve, ma che invece contesta gli interessi imperialistici, il lato di Malala che si oppone apertamente non soltanto agli attacchi degli Stati Uniti con i droni ma al capitalismo stesso.
La Malala che si oppone ai droni
L’11 ottobre 2013, Malala ha incontrato Obama nello Studio Ovale. La stampa non avrebbe potuto esaltare di più il presidente per aver ricavato del tempo malgrado il suo fitto programma di impegni, per incontrare l’attivista sedicenne e per portare con lui anche la famiglia. Quello che è stato molto meno riferito, è che durante questo incontro, Malala abbia avvertito che gli attacchi con i droni stanno “alimentando il terrorismo. Obama la ha ignorata (presumibilmente borbottando qualcosa come: “Mi dispiace, ma devo attaccare con i droni le vostre case, i vostri amici, i vostri vicini per la libertà), e la Casa Bianca ha lasciato fuori quell’osservazione dalla sua dichiarazione ufficiale sull’avvenimento.
Ricordando il fatto Malala ha detto che “aveva espresso la sua preoccupazione che gli attacchi con i droni aumentino il terrorismo. Durante queste azioni vengono uccise vittime innocenti e questo provoca del risentimento tra i Pachistani.” Di nuovo nessuna parola da parte dell’amministrazione Obama che, presumibilmente, visto il suo probabile investimento nella lotta al terrorismo, non sarebbe stato interessato a diffonderlo ulteriormente.
Appena poche settimane dopo questo incontro, Nabila Rehman ha visitato la Casa Bianca per testimoniare di fronte al Congresso. La sua storia non ha inondato i media statunitensi, è molto meno favorevole. La ragazza pachistana di 8 anni era in un campo per raccogliere l’ocra, un materiale terroso, quando davanti ai suoi occhi, un attacco di droni, ha sbudellato sua madre. Anche 7 bambini sono stati feriti, tra i quali altri membri della famiglia di Nabila. In base a questo orripilante resoconto, si penserebbe che il governo degli Stati Uniti avrebbe espresso un certo interesse dopo aver appreso la notizia, in modo da assicurarsi che civili presi di mira a casaccio, non vengano di nuovo massacrati da bombe che cadono da puntini microscopici nel cielo. Tuttavia soltanto 5 rappresentanti del Congresso (su 430) sono stati presenti alla seduta.
Il fratello di Nabila, Zubair, un ragazzo di 13 anni che è stato ferito nell’attacco con i droni, ha detto ai cinque membri del Congresso, abbastanza rispettabili per affrontare la verità: “Non amo più il cielo azzurro. Infatti preferisco il cielo grigio. I droni non volano quando il cielo è grigio.” Gli echi di quelle parole dell’adolescente che strappano il cuore dette nella sala quasi vuota, risuonano ancora forti, mentre la guerra di Obama con i droni continua a infuriare.
Murtaza Hussein ha esposto l’ovvia doppiezza degli Stati Uniti che sfruttano una tragedia pachistana e ne ignorano un’altra, scrivendo: “Al contrario di Malala Yousafzai, Nabila Rehman non ha ricevuto un caloroso saluto a Washington, D.C.” Osserva che la storia della famiglia Rehnam era così terribile che il traduttore è scoppiato in lacrime. Tuttavia, il governo statunitense “ ha considerato importante trascurare questa famiglia e ignorare la tragedia che aveva causato loro.”
Hussein aggiunge che: “Un fatto che simboleggia l’assoluto disprezzo con cui considera la gente che sostiene stia liberando,” è che mentre i Rehamn esponevano la loro brutta situazione, Barack Obama nello stesso momento, si incontrava con gli amministratori delegati dell’azienda che produce armi: la Lockheed Martin.”
Chiaramente alimentare proprio lo stesso complesso militare-industriale che crea i droni predatori che hanno ucciso e ferito migliaia di civili innocenti, è, per il presidente degli Stati Uniti, una priorità molto maggiore che incontrarsi con le vere vittime di quello a cui ci si può soltanto riferire come terrorismo di stato.
La Malala che si oppone al capitalismo
In questa data, l’anno scorso, mentre la storia di Malala appariva di frequente sui giornali statunitensi (e mentre quella di Rehman non si trovava da nessuna parte), ho scritto un breve pezzo intitolato: “Malala Yousafzai, Spivak, Abu-Lighod, e il Complesso del Salvatore Bianco.” E’ ancora preciso adesso come lo era allora.
Ho osservato che Gayatri Spivak, nel suo classico articolo: “Il subalterno può parlare?”, ha spiegato che i poteri colonialisti giustificano il loro controllo draconiano, da parassiti con la convinzione che i loro “Gli uomini bianchi salvano le donne scure dagli uomini scuri.” Nel suo famoso saggio “Le donne musulmane hanno proprio bisogno di salvezza?,” Lila Abu-Lughod ha posto la tesi della Spivak in un contesto contemporaneo, spiegando come l’invasione e l’occupazione imperialista degli Stati Uniti era giustificata con lo stesso argomento che hanno usato Bush e la sua amministrazione dove c’è un’enorme preponderanza di bianchi, leader di estrema destra che avevano operato costantemente contro i diritti delle donne nel loro paese, che ora muoiono dalla voglia di “salvare” le donne afgane dagli uomini afgani.
Il giornalista Assed Baig, ha pubblicato un articolo sull’Huffington Post, intitolato “Malala Yousafzai e il complesso del Salvatore Bianco,” in cui ha esaminato come questo fenomeno razzista sia ancora vivo e vegeto, descrivendo i modi ripugnanti in cui l’Occidente, continuando questa tradizione paternalista, colonialista di “onere dell’uomo bianco”, ha sfruttato la straordinaria forza e coraggio di Malala Yousafzai per appoggiare gli interessi occidentali.
Tuttavia, una delle cose che è stata costantemente assente anche da queste discussioni, mentre gruppi innumerevoli modellano la storia dell’eroina in modo che serva ai loro rispettivi interessi, è che Malala stessa è consapevole di questa manipolazione. In una dichiarazione rilasciata il 13 ottobre 2013, ha dichiarato in modo ribelle che non è “un burattino dell’Occidente.”
Quando si discute del modo in cui l’occidente neocolonialista sfrutta e manipola le difficoltà e le tribolazioni di coloro che operano contro i gruppi e le forze di oppressione per la giustizia e la liberazione, si dovrebbe stare attenti a stabilire che questo non viene fatto loro inconsapevolmente. Abbiamo a che fare con agenti, con individui che comprendono le implicazioni delle loro azioni e che le cambiano di conseguenza. Dimenticare questo fatto vuol dire in modo meno palese, sostenere le strutture paternalistiche, neocolonialiste che cerchiamo di distruggere. Come la Spivak ci ricorda, i subalterni in effetti parlano – ma non soltanto parlano, ma si oppongono agli oppressori. Esprimendosi in modo un po’ diverso, Arundhati Roy, insisteva che “Non esiste “persona che non ha voce.” Ci sono soltanto coloro che vengono fatti tacere deliberatamente, o coloro che si preferisce non sentire.”
Il tentativo di mettere a tacere Malala intenzionalmente non è soltanto evidente dal modo in cui i media statunitensi sostenuti dalle grosse aziende ignorano le sue critiche ai droni degli Stati Uniti; è ancora più infido il loro completo disprezzo per le politiche della vincitrice del Premio Nobel.
Nel marzo del 2013, Malala ha inviato un messaggio al 32° Congresso dei Marxisti Pachistani (il più grande di questi incontri nella storia del paese) . La sua dichiarazione diceva:
“Prima di tutto mi piacerebbe ringraziare The Struggle and The IMT [International Marxist Tendency] [Tendenza Marxista Internazionale – è un’organizzazione internazionale trotskista, n.d.t,) per avermi dato la possibilità di parlare l’anno scorso alla loro Scuola Estiva Marxista nella Valle dello Swat, e anche per avermi introdotto al marxismo e al socialismo. Voglio dire che in termini di educazione, e anche di altri problemi che ci sono in Pakistan, è proprio ora che facciamo qualcosa per affrontarli da soli. E’ importante prendere l’iniziativa. Non possiamo starcene in giro ad aspettare che qualcun altro venga a farlo. Perché stiamo aspettando che qualcun altro arrivi a sistemare le cose? Perché non lo facciamo da soli?
Mi piacerebbe inviare i miei più sentiti saluti al congresso. Sono convinta che il socialismo sia l’unica risposta ed esorto tutti i compagni di portare questa lotta a una vittoriosa conclusione . Soltanto questo ci libererà dalle catene dell’intolleranza e dello sfruttamento.”
Questa è la Malala che stampa occidentale sponsorizzata dalle grosse aziende non vuole citare. Questa è la Malala le cui linee politiche non si inseriscono ordinatamente nella struttura di presentazione neocolonialista degli Stati Uniti fatta con lo stampino. Questa è la Malala che riconosce che la vera liberazione richiederà qualcosa di più della semplice istruzione, che richiederà l’istituzione non soltanto “democrazia” politica borghese, ma della democrazia economica, del socialismo.
Malala non nasconde le sue simpatie socialiste. “Il socialismo è l’unica risposta e esorto tutti i compagni a portare questa lotta verso una conclusione vittoriosa. Quello che consiglia è: Soltanto questo ci libererà dalle catene del l’intolleranza e dello sfruttamento.” .
Quando la coraggiosa attivista parla dell’importanza dell’istruzione e della nonviolenza, l’Occidente grida forte le sue parole dall’alto dei media. Quando la stessa attivista critica i droni predatori, e, la realtà più inviolabile di tutte, cioè il capitalismo, il silenzio è assordante.
Soltanto il distinto ronzio dei droni statunitensi assassini può essere ascoltato mentre osservano dall’alto, bombardano le persone, proteggono l’impero e la “libertà.”



La scritta nella vignetta vuol dire: “Quello che terrorizza gli estremisti religiosi, come i talebani, non sono i carri armati americani, o le bombe, o le pallottole: è una ragazza con un libro.”



Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org


Fonte: http://zcomm.org/znet/article/the-socilaist-malala-yousafzai-the-us-media-doesn’t-quote


Originale : non indicato


top