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ott 29th, 2014

Iran, Turchia e Arabia Saudita: la grande contesa per l’egemonia sul Medio Oriente
di Dario Rivolta

In Medio Oriente ci sono almeno tre Paesi, rivali tra loro, che ambiscono ad esercitare un ruolo egemonico sull’area ed essere considerati tra i protagonisti della politica mondiale: la Turchia, l’Iran e l’Arabia Saudita.
Negli ultimi anni, con fasi alterne, è sembrato che l’uno o l’altro stessero prevalendo. La Turchia ci ha provato con l’allora ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu (oggi primo ministro) usando, come viatico, la parola d’ordine “nessun problema con i vicini”; ha persino rotto i decennali buon rapporti con Israele pur di ricercare simpatia e consensi tra le popolazioni arabe. L’Iran, pur se trattato come un pericoloso paria dal mondo occidentale, vi ha tentato elargendo aiuti diretti a Hezbollah e Hamas e con il sostegno a gruppi sciiti qui e là presenti nel mondo arabo sunnita. Attraverso l’Iraq, destabilizzato dagli americani, via Siria è arrivato fino in Libano riuscendo ad allargare di molto la propria influenza. L’Arabia Saudita ha, invece, riposato per lungo tempo sulla condizione privilegiata di essere il maggior produttore di petrolio mondiale e di godere dell’ indiscriminato sostegno militare da parte degli Stati Uniti.
Le cosiddette “Primavere arabe” e le variabili che ne sono seguite hanno mischiato però le carte e aperto nuove prospettive, rimettendo in discussione le posizioni raggiunte da ciascuno.
La Turchia, che aveva sperato nel successo dei Fratelli Musulmani in Egitto, in Tunisia e Siria e aveva appoggiato alcune forze anti-Gheddafi in Libia, si trova oggi con un pugno di mosche in mano ed il suo prestigio internazionale è talmente scaduto da non essere nemmeno riuscita ad ottenere i voti necessari per diventare membro temporaneo del Consiglio di Sicurezza dell’Onu (al suo posto è stata scelta la Spagna). Lo stesso Iran, dopo l’insurrezione contro al-Assad in Siria e l’instabilità irachena causata dal malgoverno dello sciita al-Maliki, sembrava condannato alla perdita delle posizioni conquistate. Anche nel Golfo l’intervento di truppe saudite a sostegno del governo del Bahrein aveva ridimensionato le prospettive della locale opposizione sciita spalleggiata dagli Ayatollah. Infine, la stessa avanzata dell’Isis, vista in un primo momento da sauditi e turchi come un ulteriore indebolimento del potere iraniano, ha ridimensionato ulteriormente le aspirazioni di Teheran, già colpita dalla crisi economica interna causata dalle sanzioni. Anche il blocco, per alcuni mesi, della trattativa con i “5 + 1” sul nucleare sembrava suggellare la crisi delle ambizioni di Teheran. L’ unico sostegno rimaneva la Russia, la quale aveva tutto l’interesse a tenere impegnati gli americani con la minaccia iraniana in Medio Oriente, se non altro per distrarli dalle loro ambizioni verso zone geograficamente più vicine a Mosca.
Proprio la paura di un possibile accordo sul nucleare tra Iran e Usa, che sarebbe passato sopra le proprie teste, aveva spinto l’Arabia Saudita, che godeva delle difficoltà iraniane e si sentiva in posizione di forza, ad accettare la mano tesa dai vicini ed a intavolare trattative diplomatiche per una nuova era di distensione tra i due Stati del Golfo.
Purtroppo per i sauditi la situazione è presto cambiata. Il sedicente Stato Islamico, ben lungi dal sentirsi condizionato da turchi e sauditi, ha cominciato a minacciare anche la loro stabilità interna diventando un richiamo per i fanatici islamisti dei due Paesi. Nel frattempo la trattativa sul nucleare sembra essersi re-incamminata in maniera positiva e in Bahrein l’opposizione sciita ha rialzato la testa fino a boicottare le prossime elezioni parlamentari. Cosa ancor più grave, nello Yemen, per lungo tempo considerato da Riad il “cortile di casa”, gli sciiti al-Houthi , spalleggiati dagli iraniani, hanno preso possesso della capitale e fanno il bello ed il cattivo tempo nel piccolo Paese che fu l”Arabia Felice” di antica memoria.
Soprattutto questo ultimo avvenimento ha convinto i sauditi che il pericolo iraniano fosse ritornato più forte di prima e che le negoziazioni diplomatiche erano utili solo alla controparte che le usava come un semplice strumento per guadagnare tempo e indebolire ulteriormente l’immagine ed il potere della monarchia arabica. Quindi il 13 ottobre, dopo un incontro con il ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier, il principe Saud al-Faisal ha fatto una dichiarazione, inaspettata dai più, che poneva fine ad ogni possibilità di proseguire il dialogo. Il ministro degli Esteri di Riad ha infatti affermato che vi sono milizie iraniane che stazionano in Siria, in Iraq e nello Yemen e che la stabilità nell’area sarebbe potuta essere ristabilita solamente con il ritiro degli iraniani da tutte quelle località. Queste dichiarazioni sono state immediatamente recepite a Teheran come la fine di ogni possibilità di continuare le negoziazioni. Ora ben difficilmente i sauditi saranno disposti a ritornare agli strumenti della diplomazia e la tensione tra i due è tornata quella di pochi mesi prima. Così avremo nuove forme di scontri indiretti giocati su altri Paesi e tramite formazioni terze, a meno che l’uno dei due non si trovi di nuovo in una posizione di grande forza per imporre all’altro le proprie condizioni o di tale debolezza da essere obbligato a farlo per salvare il salvabile.

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