Fonte: Voltairenet
http://www.controinformazione.info
02 Set2014

Il grande voltafaccia saudita
di Thierry Meyssan
Traduzione di 
Luisa Martini

Sebbene da 35 anni sostenga tutti i movimenti jihadisti fino ai più estremisti, l’Arabia Saudita sembra improvvisamente cambiare politica. Minacciata nella sua stessa esistenza da un possibile attacco dell’Emirato Islamico, Riyad ha dato il segnale per la distruzione dell’organizzazione. Ma contrariamente alle apparenze, l’Emirato Islamico rimane sostenuto da Turchia e Israele, che mettono in commercio il petrolio da esso saccheggiato.  -

Su questa fotografia  (in basso) diffusa dall’Emirato islamico, si nota uno dei suoi combattenti armato di un Famas francese mentre Parigi nega qualsiasi contatto con questa organizzazione. In realtà, la Francia ha armato l’Esercito Siriano Libero con l’istruzione di riversare i due terzi del suo materiale al Fronte Al-Nusra (cioè ad Al-Qai’da in Siria), così come è attestato da un documento fornito dalla Siria al Consiglio di sicurezza dell’Onu. In seguito varie unità di Al-Nusra si sono radunate con le loro armi all’Emirato islamico. Inoltre, contrariamente alle dichiarazioni ufficiali, il comandante dell’Emirato islamico, l’attuale califfo Ibrahim, cumulava le sue funzioni con quelle di membro dello stato maggiore dell’esercito Siriano Libero -

Premessa: l’Emirato Islamico è una creazione occidentale

L’unanimità del Consiglio di Sicurezza dell’ONU contro l’Emirato Islamico (EI) e l’approvazione della risoluzione 2170 sono soltanto un atteggiamento di facciata. Non possono far dimenticare il sostegno statuale di cui l’EI ha beneficiato e del quale beneficia ancora.

Si prendano ad esempio i recenti avvenimenti in Iraq: tutti hanno potuto osservare che i combattenti dell’EI sono entrati nel Paese a bordo di colonne di Humvee nuovi fiammanti, usciti direttamente dalle fabbriche statunitensi della American Motors, e armati di materiali ucraini, altrettanto nuovi. È con questo equipaggiamento che si sono impadroniti delle armi statunitensi dell’Esercito iracheno.

Allo stesso modo, tutti si sono meravigliati per la disponibilità, da parte dell’EI, di amministratori civili in grado di prendere subito in mano la gestione dei territori conquistati, nonché di specialisti della comunicazione abili nel promuovere la sua azione su internet e in televisione; ovvero di personale chiaramente formato a Fort Bragg.

Nonostante la censura statunitense ne abbia proibito qualsiasi citazione, sappiamo dall’agenzia di stampa britannica Reuters che una seduta segreta del Congresso ha votato, nel gennaio 2014, il finanziamento e l’armamento dell’Esercito Siriano Libero (ESL), del Fronte Islamico , del Fronte Al-Nusra e dell’Emirato Islamico fino al 30 Settembre 2014 [1].

Qualche giorno dopo, Al-Arabiya si vantava del fatto che il principe Abdul Rahman fosse il vero leader dell’Emirato Islamico. [2]

Poi, il 6 febbraio, il segretario alla Sicurezza della Patria degli Stati Uniti ha riunito i principali ministri dell’Interno europei in Polonia, per chiedere loro di tenere gli jihadisti europei nel Levante, vietando loro il rientro nei paesi di origine, in modo che l’EI fosse abbastanza numeroso da poter attaccare l’Iraq [3].

Infine, a metà febbraio, un seminario di due giorni ha riunito presso il Consiglio di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti i capi dei servizi segreti alleati coinvolti in Siria, sicuramente per preparare l’offensiva dell’EI in Iraq. [4]

(cfr Reportage di agosto 2012 sul fanatismo religioso della presunta “opposizione democratica”)

È davvero assai sconvolgente osservare i media internazionali denunciare improvvisamente i crimini degli jihadisti quando invece questi si susseguono senza interruzione da tre anni. Non c’è nulla di nuovo negli sgozzamenti pubblici e nelle crocifissioni: per esempio, l’Emirato Islamico di Baba Amr, nel febbraio 2012, si era dato un “tribunale religioso” che ha condannato a morte per decapitazione più di 150 persone senza che né in Occidente né alle Nazioni Unite ci sia stata alcuna reazione [5].

Nel maggio 2013, il comandante della Brigata Al-Farouk dell’Esercito Siriano Libero (i famosi “moderati”) ha trasmesso un video in cui decapitava un soldato siriano e mangiava il suo cuore. All’epoca, gli occidentali insistevano a presentare questi jihadisti come “oppositori moderati”, ma disperati, in lotta per la “democrazia”. La BBC ha dato persino la parola al cannibale perché si giustificasse.

Non c’è alcun dubbio che la differenza stabilita da Laurent Fabius tra jihadisti “moderati” (Esercito Siriano Libero e il Fronte Al-Nusra, cioè Al-Qai’da, fino all’inizio del 2013) e jihadisti “estremisti “(Fronte Al-Nusra dal 2013 e EI) sia un mero artificio di comunicazione. Il caso del califfo Ibrahim è illuminante: nel maggio 2013, durante la visita di John McCain all’ESL, era definito sia membro dello stato maggiore “moderato”, sia leader della fazione “estremista” [6].

Allo stesso identico modo, una lettera del generale Salim Idriss, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Siriano Libero, datata 17 gennaio 2014, attesta che la Francia e la Turchia hanno consegnato munizioni per un terzo all’Esercito Siriano Libero e per due terzi ad Al-Qai’da tramite lo stesso ESL. L’autenticità di questo documento, presentato dall’ambasciatore siriano Bashar Jaafari al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, non è stata contestata dalla delegazione francese. [7]

John McCain e il quartier generale dell’Esercito Siriano Libero. In primo piano a sinistra, Ibrahim al-Badri, con il quale il senatore sta parlando. Subito dopo, il brigadier generale Salim Idris (con gli occhiali).
Detto questo, è chiaro che l’atteggiamento di alcune potenze della NATO e del Consiglio di Cooperazione del Golfo è cambiato nel mese di agosto 2014 per passare da un sostegno segreto, massiccio e costante, a un’aperta ostilità. Perché?    (Nella foto in basso ) - John McCain e il quartier generale dell’Esercito Siriano Libero. In primo piano a sinistra, Ibrahim al-Badri, con il quale il senatore sta parlando. Subito dopo, il brigadier generale Salim Idris (con gli occhiali).

La dottrina dello jihadismo di Brzezinki

Qui dobbiamo tornare indietro di 35 anni per capire l’importanza del voltafaccia che l’Arabia Saudita – e forse gli Stati Uniti – stanno compiendo. Dal 1979, Washington, su iniziativa del Consigliere per la Sicurezza Nazionale Zbigniew Brzezinski, ha deciso di sostenere l’Islam politico contro l’influenza sovietica, rinnovando la politica adottata in Egitto a sostegno dei Fratelli Mussulmani contro Gamal Abdel Nasser.

Brzezinski decise all’epoca di lanciare una vasta “rivoluzione islamica” dall’Afghanistan (allora governato dal regime comunista di Muhammad Taraki) e dall’Iran (dove lui stesso organizzò il ritorno del’Imam Ruhollah Khomeini). Successivamente, questa rivoluzione islamica doveva propagarsi nel mondo arabo e portare con sé i movimenti nazionalisti associati con l’URSS.

L’operazione in Afghanistan fu un successo insperato: gli jihadisti della Lega anti-comunista mondiale (WACL) [8], reclutati in seno ai Fratelli Mussulmani e guidati dal miliardario anticomunista Osama bin Laden, lanciarono una campagna terroristica che portò il governo a fare appello ai sovietici. L’Armata Rossa entrò in Afghanistan e lì si impantanò per cinque anni, accelerando la caduta dell’URSS.

L’operazione in Iran fu al contrario un disastro: Brzezinski constatò meravigliato che Khomeini non era l’uomo che gli avevano dipinto – un vecchio ayatollah intento a recuperare le sue proprietà fondiarie confiscate dallo Scià – bensì un vero e proprio anti-imperialista. Considerando un po’ troppo tardi che la parola “islamista” non aveva affatto lo stesso significato per gli uni e per gli altri, decise di distinguere i buoni sunniti (collaborativi) dai cattivi sciiti (anti-imperialisti) e affidare la gestione dei primi all’Arabia Saudita.

Infine, considerando il rinnovamento dell’alleanza tra Washington e i Sauditi, il presidente Carter annunciò, nel suo discorso sullo Stato dell’Unione del 23 gennaio 1980, che ormai l’accesso al petrolio del Golfo era un obiettivo di sicurezza nazionale statunitense.

Da allora, gli jihadisti sono stati accusati di tutti i brutti tiri contro i sovietici (poi i russi) e contro i regimi arabi nazionalisti o recalcitranti. Il periodo compreso tra l’accusa lanciata contro gli jihadisti di aver fomentato e realizzato gli attentati dell’11 settembre fino all’annuncio della presunta morte di Osama bin Laden in Pakistan (ovvero il periodo dal 2001 al 2011) ha complicato ulteriormente le cose.

Si trattava allo stesso tempo di negare qualsiasi relazione con gli jihadisti e di utilizzarli come pretesto per degli interventi. Le cose sono diventate nuovamente chiare nel 2011, con la collaborazione ufficiale tra gli jihadisti e la NATO in Libia e in Siria.

La virata saudita dell’agosto 2014

Per 35 anni l’Arabia Saudita ha finanziato e armato tutte le correnti politiche mussulmane dal momento che (1) erano sunniti, (2) dichiaravano il modello economico degli Stati Uniti compatibile con l’Islam e (3 ), nel caso in cui il loro paese avesse sottoscritto un accordo con Israele, essi non lo avrebbero messo in discussione.

Per 35 anni, la stragrande maggioranza dei sunniti ha chiuso gli occhi sulla collusione tra jihadisti e imperialismo. Ha espresso solidarietà per tutto quello che gli jihadisti hanno fatto e per tutto quello che è stato loro attribuito. Infine, ha legittimato il wahabismo come una forma autentica dell’Islam, nonostante la distruzione di luoghi santi in Arabia Saudita.

Osservando con sorpresa la “primavera araba”, alla preparazione della quale non era stata invitata, l’Arabia Saudita si preoccupò per il ruolo accordato da Washington al Qatar e ai Fratelli Mussulmani. Riyad entrò presto in competizione con Doha per sponsorizzare gli jihadisti in Libia e soprattutto in Siria.

Anche il re Abdullah salvò l’economia egiziana quando, divenuto presidente dell’Egitto il generale Abdel Fattah al-Sisi, gli trasmise esattamente come agli Emirati Arabi la copia completa dei dossiers di polizia sui Fratelli Mussulmani. Tuttavia, nel contesto della lotta contro la Fratellanza, il generale Al-Sisi scoprì e trasmise nel febbraio 2014 il piano dettagliato dei Fratelli per impadronirsi del potere a Riyad e Abu Dhabi. In pochi giorni i congiurati furono arrestati e confessarono, mentre l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti minacciavano il Qatar, sponsor dei Fratelli, di distruggerlo se non avesse lasciato immediatamente la Fratellanza.

Riyad non ha tardato a scoprire che anche l’Emirato Islamico era corrotto e si apprestava ad attaccarlo dopo aver occupato un terzo dell’Iraq.

Il catenaccio ideologico pazientemente costruito per 35 anni è stato polverizzato dagli Emirati Arabi Uniti e dall’Egitto. L’11 agosto il grande imam dell’università di Al-Azhar, Ahmad al-Tayyeb, ha severamente condannato l’Emirato Islamico e Al-Qa’ida. Gli ha fatto eco il giorno dopo il Gran Mufti d’Egitto, Shawki Allam [9]

Il 18 agosto e poi di nuovo il 22, Abu Dhabi ha bombardato, con l’assistenza del Cairo, dei terroristi a Tripoli (Libia). Per la prima volta, due Stati sunniti si sono alleati per attaccare degli estremisti sunniti in uno Stato terzo sunnita. Il loro bersaglio non era altro che un’alleanza comprendente Abdelhakim Belhaj, l’ex numero tre di Al-Qa’ida nominato governatore militare di Tripoli dalla NATO [10].

Sembra che questa azione sia stata intrapresa senza informare preventivamente Washington.

Il 19 agosto, il Gran Muftì dell’Arabia Saudita, lo sceicco Abdul-Aziz Al al-Sheikh, si è deciso – finalmente – a qualificare gli jihadisti dell’Emirato Islamico e di Al-Qa’ida come “nemico numero uno dell’Islam” [11].

Le conseguenze del voltafaccia saudita

Il voltafaccia dell’Arabia Saudita è stato così rapido che gli attori regionali non hanno avuto il tempo di adattarsi e si trovano quindi in posizioni contraddittorie a seconda dei dossier aperti. In linea di massima, gli alleati di Washington condannano l’Emirato Islamico in Iraq, ma non ancora in Siria.

Più sorprendente ancora è l’evidenza del fatto che, mentre il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha condannato l’Emirato Islamico nella propria dichiarazione presidenziale del 28 luglio e nella propria risoluzione 2170 del 15 agosto, l’organizzazione jihadista continua a disporre di sostegni da parte di entità statuali: in violazione dei principi richiamati o emanati da quei testi, il petrolio iracheno saccheggiato dall’EI passa attraverso la Turchia. Esso viene caricato nel porto di Ceyhan su petroliere che fanno scalo in Israele e poi ripartono verso l’Europa. Per ora i nomi delle società finanziatrici non sono chiari, ma la responsabilità della Turchia e di Israele è evidente.

Da parte sua, il Qatar, che continua ad ospitare numerose personalità dei Fratelli Mussulmani, nega di sostenere ancora l’Emirato Islamico.

Riunione dei Ministri degli Esteri di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Qatar a Gedda, il 24 agosto 2014, per affrontare l’Emirato Islamico. La Giordania era rappresentata in questo vertice.
In occasione delle conferenze stampa congiunte, i ministri degli esteri russo e siriano, Sergey Lavrov e Walid Moallem, hanno lanciato un appello per costituire una coalizione internazionale contro il terrorismo. Ciò nonostante gli Stati Uniti, mentre preparavano operazioni di terra in territorio siriano con i britannici (la “Forza di intervento nera” [12]), hanno rifiutato di allearsi con la Repubblica Araba Siriana e insistono nell’esigere le dimissioni del presidente eletto Bashar al-Assad.

Lo scontro che ha appena messo fine a 35 anni di politica saudita si trasforma in confronto tra Riyad e Ankara. Già ora, il partito curdo turco e siriano, il PKK, che è ancora considerato da Washington e Bruxelles come un’organizzazione terroristica, è sostenuto dal Pentagono contro l’Emirato Islamico. In effetti, e contrariamente alle presentazioni fuorvianti della stampa atlantista, sono proprio i combattenti del PKK turchi e siriani, e non i peshmerga iracheni del Governo locale del Kurdistan, ad aver respinto l’Emirato Islamico nei giorni scorsi, con l’aiuto dell’aviazione statunitense.

Conclusione provvisoria

È difficile sapere se la situazione attuale sia una messa in scena oppure la realtà. Gli Stati Uniti hanno davvero intenzione di distruggere l’Emirato Islamico che essi stessi hanno formato e che sarebbe loro sfuggito di mano, oppure intendono semplicemente indebolirlo e tenerselo come strumento politico regionale? Ankara e Tel Aviv sostengono l’EI per conto di Washington o contro Washington? Oppure giocano su dissensi interni agli Stati Uniti? I Sauditi arriveranno, per salvare la monarchia, fino ad allearsi con l’Iran e la Siria abbattendo il dispositivo di protezione di Israele?

Note

1] “Il Congresso degli Stati Uniti ha approvato segretamente l’invio di armi in Siria”, Rete Voltaire, 3 febbraio 2014.

[2] “L’EIIL è controllato dal principe Abdul Rahman”, Rete Voltaire, 7 febbraio 2014.

[3] “La Siria diventa ’questione di sicurezza interna’ per Stati Uniti e Unione europea”, Rete Voltaire, 9 febbraio 2014.

[4] “Washington coordina la guerra segreta contro la Siria”, Rete Voltaire, 24 febbraio 2014.

[5] «The Burial Brigade of Homs: An Executioner for Syria’s Rebels Tells His Story», di Ulrike Putz, Der Spiegel, 29 Marzo 2012.

[6] “John McCain, maestro concertatore della ’primavera araba’, e il Califfo”, di Thierry Meyssan, Rete Voltaire, 18 Agosto 2014.

[7] «Résolution 2165 et débats (aide humanitaire en Syrie)», Réseau Voltaire, 14 Luglio 2014.

[8] «La Ligue anti-communiste mondiale, une internationale du crime», di Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 12 maggio 2004.

[9] “Grand Mufti Egitto condanna azioni Stato islamico, danneggia Islam e musulmani,” Adn Kronos, 12 agosto 2014.

[10] “Come al-Qaida è arrivata al potere a Tripoli”, di Thierry Meyssan, Rete Voltaire, 7 settembre 2011.

[11] «Déclaration du mufti du Royaume sur l’extrémisme», Agence de presse saoudienne, 19 agosto 2014.

[12] “SAS and US special forces forming hunter killer unit to ’smash Islamic State’”, di Aaron Sharp, The Sunday People (The Mirror), 23 Agosto 2014.

 

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