Originale: The Independent
http://znetitaly.altervista.org
2 novembre 2014

Le esecuzioni aumentano
di Patrick Cockburn
Traduzione di Maria Chiara Starace

Una Corte  Penale specializzata in Arabia Saudita ha condannato a morte  un preminente sacerdote, Sheikh Nimr Baqir al-Nimr con vaghe accuse di “infrangere la lealtà al monarca” e di “incoraggiare, guidare e partecipare alle dimostrazioni”.

È una sentenza che sta creando rabbia nella minoranza sciita forte di due milioni di persone che ha a lungo sostenuto di essere la più perseguitata e discriminata.

Le autorità saudite sono nervose per il modo in cui sarà recepito il verdetto  trasmesso il 15 ottobre; la corte ha arrestato il fratello di Sheik Nimr, Mohammed Nimr al-Nimr, dopo che questi ha annunciato il risultato del processo su Twitter. Attivisti locali credono che questo sia accaduto per impedire che parlasse ai media dopo la condanna. Per quanto la sentenza sia brutale, lo è meno della richiesta di procedimento dell’esecuzione tramite “crocefissione”, una punizione che in Arabia Saudita implica la decapitazione.

Sheikh Nimr era stato detenuto fin dal 2012 quando è stato colpito quattro volte a una gamba dalla polizia che ha sostenuto che egli aveva opposto resistenza con un’arma quando cercavano di arrestarlo. La sua famiglia contesta questa affermazione dicendo che egli non possedeva un’arma e accusando le autorità di non aver fornito cure mediche adeguate per le sue ferite. Sheikh Nimr aveva precedentemente detto in un’intervista con la BBC che badava al “ rombo della parola contro le autorità saudite invece che alle armi…l’arma della parola è più forte delle pallottole, perché le autorità trarranno vantaggio da una battaglia con le armi.” Quando è stato arrestato ci sono stati tumulti nella Provincia Orientale, luogo di gran parte della ricchezza petrolifera dell’Arabia Saudita, durante i quali sono state uccise tre persone.

La notizia della condanna a morte di Sheikh Nimr ha ricevuto limitata copertura sui media stranieri che erano più focalizzati sull’esito dell’assedio di Kobani, nella Siria del nord, a opera dello Stato Islamico. E’ stato uno sviluppo più ovviamente significativo e, inoltre, stava avendo luogo davanti alle  telecamere proprio al di là del confine in Turchia. Però questi due eventi in Arabia Saudita e in Siria sono collegati perché fanno entrambi parte della più grossa crisi mediorientale verificatasi dalla caduta dell’Impero ottomano, un secolo fa.

La condanna di Sheikh Nimr è importante a causa del suo impatto negativo sugli sciiti in Arabia Saudita e sulla loro  tesa  relazione con la famiglia reale saudita. Ha però un più ampio significato perché collabora a intensificare l’ostilità tra musulmani sciiti e sunniti e fa aumentare la lotta tra di loro dovunque nel mondo. La Siria e l’Iraq sono la principale arena per questa battaglia, ma essa ora comprende tutto il milione e seicentomila musulmani, un quarto della popolazione mondiale.

E’ un errore  ripetuto  degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e dei loro alleati in Occidente, di sottovalutare la misura in cui lo scontro tra sunniti e sciiti determina quello che accade in Medio Oriente. E’ particolarmente così in quei paesi in cui gli sciiti, oppure delle sette demonizzate dai governi sunniti come quella sciita, formano una parte significativa della popolazione. La cecità dei governi occidentali è in un certo grado egoista e voluta: rende più facile per loro allearsi con le monarchia assolute teocratiche del Golfo, senza dover ammettere che sono state in tal modo inserite in un piano bigotto e settario.

La battaglia tra sunniti e sciiti sta crescendo quotidianamente e coinvolge comunità come gli Alauiti della Siria, gli Alevi della Turchia e gli Houthi dello Yemen, le cui credenziali sciite sono forse state messe in dubbio dagli sciiti dell’Iran, dell’Iraq e del Libano. Ma le identità nazionali e religiose di un popolo sono definite tanto dalle percezioni e dalle azioni dei loro nemici, quanto dalle loro proprie convinzioni. Le accuse degli Houthi in Yemen, che di recente si sono impadroniti della capitale Sanaa, da parte dei sauditi in quanto è sciita e  “pedina” dell’Iran, tendono a essere fine a se stesse. Quando l’anno scorso ho domandato ad alcuni Alevi a Istanbul se si consideravano parte del più vasto mondo sciita, hanno detto che il loro problema era che molti sunniti li consideravano tali.

La stessa cosa è vera riguardo alla Siria. Qualunque siano le origini della rivolta popolare del 2011 contro Bashar al-Assad e il suo governo, essa ha preso rapidamente una forma settaria. Questo è accaduto perché le divisioni tra sette sono sempre state molto reali e perché gli stati sunniti come l’Arabia Saudita e la Turchia hanno incanalato il loro appoggio verso i jihadisti, preparando così il terreno al dominio del movimento ribelle dello Stato Islamico (IS) e di Jabhat al-Nusra che è l’affiliato di al-Qaida in Siria.

E’ stato  politicamente conveniente per gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e i loro alleati far finta che ci fosse un movimento ribelle “moderato” non jihadista in grado di combattere sia l’IS che il governo di Assad. In realtà, la guerra  civile in Siria è fin troppo reale e gli assassini settari non sono tutti limitati all’IS.  All’inizio di quest’anno ero alla periferia di Adra, una città a nord di Damasco, parte della quale era stata catturata dai ribelli di Douma  che avevano ucciso molti non-sunniti. Una famiglia Alauita molto laica si era fatta saltare per aria con delle granate, figli e genitori, perché credevano che tutti loro sarebbero stati torturati a morte dai ribelli.

In Siria le potenze occidentali fingono allegramente che i ribelli, specialmente i famosi “moderati” siano meno settar4i di loro. A Baghdad fanno l’esatto contrario e fingono che il governo dominato dagli sciiti e le sue forze armate non abbiano un piano di tipo settario. La realtà è che la forza militare più efficace di parte governativa sono le milizie sciite che uccidono e rapiscono impunemente i sunniti, come dimostrato da un recente rapporto di Amnesty International. Se gli Stati Uniti e altri appoggiano il governo con consiglieri embedded (“incastrati” in un contingente militare) che chiedono attacchi aerei, appoggeranno gli sciiti in una guerra contro 5 o 6 milioni di sunniti in Iraq. La pulizia settaria anti-sunnita è già iniziata a Diyala, Hilla e in altre province intorno a Baghdad. E’ un’auto-illusione credere che un’altra occupazione di Mosul o di  altre città sunnite da parte del governo, sarà accettata dagli abitanti locali terrorizzati.

Queste guerre settarie non possono in realtà essere vinte da entrambe le parti. La cosa più positiva che possono fare le potenze esterne in Siria, è di organizzare un cessate il fuoco tra le forze anti-IS,  il governo e i ribelli. L’odio è troppo grande per arrivare a una soluzione politica in Siria, ma una tregua è fattibile, se appoggiata da potenze esterne come gli Stati uniti, la Russia, l’Iran, l’Arabia Saudita e la Turchia.

Quando si arriva al più vasto confronto tra sunniti e sciiti, gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e i loro alleati hanno necessità di porre fine alla loro cecità, sebbene calcolata, verso il settarismo sunnita dell’Arabia Saudita e delle monarchie del Golfo.

Parlando di Sheikh Nimr, Yusuf al-Khoei, un preminente propagandista del dialogo tra sunniti e sciiti, dice “esso prende in giro le affermazioni saudite di  combattere l’estremismo quando minacciano di uccidere un membro preminente della comunità sciita nel loro paese. Rende impossibile avere un dialogo con loro.”

Per molti aspetti, la situazione in Arabia Saudita sta peggiorando invece che migliorare con un aumento di esecuzioni, come se il governo pensasse che deve competere con l’IS dimostrando il rigore con cui mette in atto la legge islamica (la Sharia) e con cui tratta gli sciiti, i cristiani e altri che non seguono il suo “marchio”   di Islam.


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://zcomm.org/znetarticle/as-executions-rise-allies-must-focus-more-closely-on-warring-anti-is-forces

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