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giovedì 24 aprile 2014

Novantanovesimo anniversario del genocidio degli Armeni. Un Popolo perseguitato perché cristiano.
di  Massimo Granata 

Il 24 aprile del 1915, 99 anni fa, le autorità turche arrestarono, a Istambul, l’intera classe dirigente del popolo armeno presente nella capitale dell’allora Impero Ottomano. Uomini di cultura, professionisti, imprenditori, politici e sacerdoti vennero imprigionati e poi assassinati dando così avvio al primo genocidio perpetrato nel secolo scorso. 

In realtà la persecuzione aveva avuto avvio l’anno precedente con l’apertura delle ostilità tra gli imperi centrali e le potenze dell’intesa. Sul fronte del Caucaso i militari Armeni dell’esercito turco erano stati disarmati e adibiti a lavori di retrovia svolti con modalità disumane, lavori forzati volti a stroncare chi vi era adibito con fame e fatica. La scusa addotta fu la scarsa affidabilità a fronte di un nemico, i Russi, da sempre attivi come protettori dei cristiani d’oriente. Ma l' intenzione genocida dei “Giovani Turchi” raggruppati nell' 'Unione per il Progresso' era chiara. Lo sterminio venne programmato con cura sino ad arrivare ai fatti del 24 aprile che resta come data ufficiale dell’inizio della tragedia che si sarebbe consumata a fasi alterne sino alla sconfitta finale dei turchi ad opera delle forze dell’intesa, portando allo sterminio di almeno due terzi della popolazione armena presente nell’impero. Il calvario degli Armeni, così come gli atti di valore che lo accompagnarono, sono stati descritti in numerose opere che hanno trovato autori sia nella diaspora, sia nella memorialistica dei diplomatici neutrali o alleati presenti nell’impero. (1) 

 Ufficiali e sottufficiali armeni, scampati ai massacri, tentarono di organizzare sui monti la resistenza. Nell'aprile 1915, nella città di Van, alcune migliaia di civili riuscirono a disarmare la locale guarnigione turca, barricandosi nel nucleo urbano dove resistettero per molti giorni alla controffensiva; fino all'arrivo, provvidenziale, di una divisione di cavalleria russa che nel mese di maggio liberò dall'assedio quei disperati. 

Eguale successo ebbe poi la famosa resistenza del massiccio montuoso del Musa Dagh, nei pressi di Antiochia (Golfo di Alessandretta). Su questo acrocoro non meno di 4.000 disperati resistettero per ben quaranta giorni agli attacchi dei reparti regolari dell'esercito ottomano e dei "volontari" civili turchi, segnando una delle pagine più eroiche della storia del popolo armeno. Alla fine, proprio quando la resistenza sembrava dover cedere di fronte alla preponderanza dell'avversario, i reduci vennero salvati dal provvidenziale arrivo nel Golfo di Alessandretta di una squadra navale francese che riuscì in gran parte a trarli in salvo. Altri tentativi di resistenza non ebbero la medesima fortuna, come accadde ad Urfa. Qui, tutta la guarnigione armena, composta di ex-militari e civili, dovette soccombere alle soverchianti forze ottomane che, a battaglia conclusa, massacrarono tutti i difensori ancora in vita, compresi i feriti.

 Ma le tribolazioni di questo popolo non erano destinate a terminare con la fine della prima guerra mondiale così come non erano mancate nei secoli del dominio Ottomano. La caduta del regime turco alla fine del conflitto mondiale e la seguente ascesa alla guida del paese di Kemal Ataturk non cambiò la situazione. Infatti, tra il 1920 e il 1922, con l'attacco alla Cilicia armena ed il massacro di Smirne, il nuovo governo portò a compimento il genocidio. Cosi come la diplomazia dei vincitori, che aveva riconosciuto nel trattato di Sevres l’indipendenza della nazione Armena sui territori dell’Armenia storica, col successivo trattato di Losanna dimenticò le sue promesse di fronte al fatto compiuto della vittoria di Ataturk nella guerra contro i Greci. 

 Restava la piccola repubblica costituita dagli Armeni, nel 1918, sui territori già appartenuti all’impero degli Zar ma la sua indipendenza ebbe vita breve, occupata dalle armate bolsceviche, venne incorporata nell’Unione Sovietica e con un ukase di Lenin privata di una delle sue regioni storiche, l’Artzak (Nagorno-Karabach) assegnato all’Azerbaigian, e poi sottoposta a tutti gli orrori del “terrore staliniano”. 

 E ancora, negli ultimi anni dell’URSS, gli Armeni dell’Azerbaigian dovettero subire l’ennesimo massacro a Sumgait e poi a Baku e nel Nagorno-Karabach dove scoppiò una guerra sanguinosa tra le due repubbliche neo indipendenti di Armenia e Azerbaigian. Una guerra che conta ancora oggi quotidianamente i suoi morti su una linea armistiziale più che fragile.

E infine,  la tragedia continua in Siria, ad Aleppo come a Kessab, dove i Turchi, per interposta persona dei terroristi salafiti ben appoggiati dalle loro artiglierie, cercano ancora di realizzare una “soluzione finale” del problema armeno. 

 Sembra veramente che le tribolazioni di questo popolo non debbano mai finire. Sembra, come ho avuto occasione di rimarcare recentemente, che l’ "Omicida sin dall’inizio” voglia fargli scontare, in questo mondo di cui appare sempre più padrone, la primogenitura nella conversione come popolo, l’opera svolta, nella sua associazione dinastica con la corte bizantina, nella conversione degli slavi e della Rus, l’ essere stati fra i più fedeli alleati dei crociati e forse, come alcuni recenti studi confermerebbero, l’ aver custodito, conservato e venerato per 700 anni, a Edessa, nella piccola Armenia di Cilicia, la più straordinaria reliquia della cristianità, la Santa Sindone testimone della resurrezione di Cristo.

Note Bibliogtafiche

Tra le tante opere apparse (purtroppo non moltissime in italiano) ci piace ricordare e consigliare la lettura di:

La masseria delle Allodole, di Antonia Arslan;

I quaranta giorni di Musa Dagh, di Franz Werfel;

dal punto di vista della documentazione:

Diario 1913-1916, di Henry Morgenthau Sr. Ambasciatore USA in Turchia dal 1913 al 1917;

Il genocidio armeno nella storia e nella memoria, di Immacolata Maciotti;

Survivors. Il genocidio degli Armeni raccontato da chi allora era bambino, di Donald E. Miller e Lorna Tourian Miller.

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