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15 mag 2014

NAKBA. BADIL: Oltre 66 anni di colonizzazione continua
di Amjad Alqasis – BADIL

Dopo sei decenni, l’intensa e prolungata sofferenza di un popolo colonizzato e occupato si è combinato ad un enfatica politicizzazione e svalutazione del diritto internazionale, scrive l’ong palestinese che difende i diritti dei profughi

Gerusalemme, 15 maggio 2014, Nena News – 

Una combinazione di pratiche, leggi e politiche statali israeliane hanno come scopo il totale sfollamento ed esproprio della popolazione indigena palestinese; esercitando un controllo completo attraverso un sistema di apartheid e di occupazione, questo sistema complesso mira a colonizzare l’intero territorio palestinese (noto anche come “Palestina storica” o “Palestina mandataria”).

Pertanto, Israele non si limita ai palestinesi che vivono nei Territori Occupati Palestinesi (TOP) ma ha come obiettivo anche i palestinesi che vivono nel lato israeliano della linea dell’armistizio del 1949 (Linea Verde). Il trattamento israeliano dei palestinesi sia all’interno d’Israele che nei TOP, costituisce un regime discriminatorio che ha come scopo primario controllare la massima quantità di terra con il minor numero di popolazione indigena palestinese che vi risiede. Le componenti principali di questa struttura servono a violare nei vari settori i diritti dei palestinesi, quali la nazionalità, la cittadinanza, la residenza e la proprietà terriera.

Questo sistema originariamente è stato applicato durante la Nakba palestinese nel 1948, con l’obiettivo di dominare ed espropriare tutti i palestinesi che sono stati forzatamente sfollati durante la Nakba, tra cui i 150,000 palestinesi che sono riusciti a rimanere all’interno della linea della’armistizio del 1949, per poi diventare cittadini palestinesi d’Israele. La risoluzione delle Nazioni Unite del 1947, che decise la ripartizione della Palestina mandataria innescò un conflitto armato tra i palestinesi ed i coloni ebrei. Ciò ha favorito un ambiente in cui il movimento Sionista poteva indurre massicci spostamenti di palestinesi in modo da poter creare lo Stato Ebraico. L’arduo compito di creare e mantenere uno Stato Ebraico su un territorio prevalentemente non ebraico e’ stato realizzando spostando in modo forzato la maggioranza della popolazione non ebraica.

Oggi il 66% della popolazione palestinese in tutto il mondo (più di sette milioni di persone) sono essi stessi, o i discendenti dei palestinesi che sono stati forzatamente sfollati dal regime israeliano. Le leggi israeliane, come ad esempio, la legge del 1954 sulla prevenzione dell’infiltrazione e gli ordini militari n. 1649 – 1650, hanno proibito ai palestinesi di poter ritornare “legalmente” in Israele o nei TOP. Tale deliberato e pianificato sfollamento forzato equivale alla politica e pratica del trasferimento forzato, o pulizia etnica della popolazione palestinese. Questo processo è iniziato ancor prima del 1948, ed è in corso tutt’oggi in tutte le parti della Palestina mandataria. 

Il sistema israeliano deve essere portato a termine e deve essere giudicato in conformità con il diritto e le norme internazionali. Infatti, il costante mancato rispetto per il diritto internazionale nel conflitto israelo-palestinese mina la legittimità degli strumenti giuridici di questo organismo, in particolare i diritti umani, il diritto umanitario e il diritto penale internazionale.

Perciò, è il momento di assicurare che il diritto internazionale non sia solo un foglio di carta, ma bensì un sistema giuridico che protegga i diritti, stabilisca gli obblighi e soprattutto crei delle realtà che siano conformi ai suoi valori e principi. Pertanto, la soluzione per la colonizzazione e l’oppressione continua del popolo palestinese deve essere trovata attraverso un approccio rigorosamente basato sui diritti. Tali diritti non sono garantiti attraverso negoziati politici, bensì attraverso la piena adesione e l’applicazione del diritto internazionale.

L’approccio basato sui diritti
Un approccio basato sui diritti potrebbe essere meglio descritto come normativamente basato sugli standard del diritto internazionale e praticamente diretto a promuovere e tutelare tali diritti. Perciò, un approccio basato sui diritti dovrebbe integrare le norme, gli standard ed i principi del sistema del diritto internazionale all’interno dei propri piani, nelle politiche e nei processi che cercano soluzioni al conflitto specifico, al fine di garantire la dignità umana e la giustizia. Questo approccio è caratterizzato da meccanismi, metodi, strumenti ed attività che sono progettati per integrare le nozioni di lotta per la libertà, l’uguaglianza, la giustizia e lo sviluppo per tutti.

Semplicemente parlando, la pace non può essere raggiunta quando i diritti umani e le libertà fondamentali vengono violate. Nel caso della Palestina, per giungere ad una soluzione duratura e giusta, l’approccio deve comportare soluzioni basate sul diritto internazionale piuttosto che il ricorso ai negoziati politici. In questa luce, dovrebbe essere inaccettabile fare riferimento agli insediamenti illegali israeliani nei Territori Occupati come causa che “mina gli sforzi per la pace” – come solito avviene negli ambienti politici. In realtà questi insediamenti costituiscono una violazione di numerose norme e principi del diritto internazionale. In quanto tali, sono uno solo esempio del crescente numero delle fisiche manifestazioni d’impunità d’Israele. Ciò rappresenta un brutto e pericoloso precedente, e se la futura sovranità del diritto e degli standard internazionali sono da proteggere, la sua attuazione non dovrebbe essere oggetto di negoziati, ma deve essere richiesta sin dall’inizio.

Ancor più importante in questo contesto è il diritto all’autodeterminazione. La Corte Internazionale di Giustizia fa riferimento al diritto all’autodeterminazione come diritto detenuto dal popolo, piuttosto che un diritto posseduto dai soli governi. Il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione è radicato nel diritto internazionale, soprattutto nell’ambito dei Patti Internazionali sui Diritti Umani, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e la Dichiarazione sulla concessione dell’indipendenza ai paesi ed ai popoli coloniali e la Dichiarazione di Vienna. Essenzialmente, il diritto all’autodeterminazione è la base per l’attuazione dei più importanti diritti e libertà fondamentali come i diritti delle minoranze di godere della propria cultura, religione e lingua, il diritto di essere liberi da ogni forma di discriminazione razziale o semplicemente di vivere una vita dignitosa e libera dall’oppressione, l’occupazione e la colonizzazione. In aggiunta a ciò, ed altrettanto importante, tutti i profughi palestinesi hanno il diritto al ritorno. La migliore prassi internazionale insiste sul fatto che ai rifugiati deve essere offerta la possibilita di scegliere la soluzione in maniera volontaria e consapevole. Un approccio basato sul diritto per l’assistenza e la protezione dei rifugiati, inoltre, richiede che i rifugiati siano consultati e che gli sia concesso il diritto di partecipare alla progettazione e realizzazione di interventi nazionali e internazionali. L’UNHCR ha adottato sia il principio della volontarietà (la scelta del rifugiato) nella ricerca di soluzioni durature, sia un approccio partecipativo nelle sue operazioni. Il quadro giuridico per delle soluzioni durature per i palestinesi forzatamente sfollati durante la Nakba è sancito dall’articolo 11 della Risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite N.194, la quale afferma che i rifugiati sono autorizzati a tornare alle loro case quanto prima possibile e che sia pagato un risarcimento per coloro che scelgono di non tornare, e per la perdita o il danneggiamento delle loro proprietà.

Diritti e principi internazionalmente riconosciuti innescano specifiche responsabilità dello stato Stato a livello internazionale. Stati terzi, hanno il dovere legale di cooperare nel processo di portare a termine le violazioni e l’infrazione israeliane del diritto internazionale, compreso il rifiuto degli stati di fornire aiuti o assistenza ad Israele, o di riconoscere l’illegale situazione sorta dalle azioni israeliane. Lo strangolamento continuo e calcolato del popolo palestinese deve essere propriamente contestato dalla comunità internazionale, e questa sfida deve prevenire da un analisi delle azioni e politiche israeliane il tutto sotto la lente del diritto internazionale. I fatti sul terreno compiuti da Israele dimostrano che una tale valutazione rivelerà elementi di un crimine internazionale contro l’umanità, e pertanto il regime israeliano deve essere giudicato, portando alla fine l’impunità d’Israele per questi crimini. Tuttavia, continua il silenzio – se non la complicità – di potenti membri della comunità internazionale in relazione a questi crimini. La realtà che emerge rappresenta uno scenario peggiore: l’intensa e prolungata sofferenza di un popolo colonizzato e occupato, combinato ad un enfatica politicizzazione e svalutazione del diritto internazionale. Nena News

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