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14 maggio 2014

Cosa è successo davvero in mare?
di Fulvio Vassallo Paleologo

Come riferisce il quotidiano La Stampa, il barcone sul quale viaggiavano i migranti recuperati ieri in mare a sud di Lampedusa, secondo la ricostruzione del comandante della nave Grecale, Stefano Frumento, «si è capovolto ed è affondato rapidamente». Il naufragio, che è costato la vita di 17 persone oltre un numero imprecisato di dispersi, spiega il comandante Frumento, «è avvenuto in acque internazionali, in una zona dove era previsto l’intervento delle autorità libiche che però non c’è stato». Questa la prima conferma, ed altre ne verranno dai tracciati e dalle testimonianze dei profughi, sul fatto che le navi militari di Mare Nostrum sono state ritirate più a nord, verso Lampedusa, al punto che in occasione dell’ultima tragedia i primi interventi sono stati operati da due navi mercantili.

A differenza di quanto avvenuto nelle settimane precedenti, nelle quali pure si era verificato un afflusso massiccio di profughi, anche oltre 2.000 in 24 ore, salvati tutti dalle navi della marina militare e della guardia costiera proprio a 40-60 miglia dalle coste libiche. Questa dichiarazione di un comandante di una nave impiegata nella missione Mare Nostrum conferma la “cessione” alla Libia della competenza, in acque internazionali, tra 40 e 120 miglia dalla costa libica, nello svolgimento degli interventi di ricerca e salvataggio (Sar). Si tratta peraltro di una zona che in base alle Convenzioni internazionali di diritto del mare ricadrebbe nella competenza di Malta, ma sono anni che il governo maltese rifiuta sistematicamente di intervenire lasciando il compito di salvare vite umane alle unità italiane, ed avendo anche rapporti di cooperazione di polizia con le autorità libiche in base ad un accordo bilaterale che non è stato mai sospeso.

Si tratta esattamente di quelle stesse acque internazionali nelle quali in inverno le navi di Mare Nostrum hanno salvato migliaia di vite, senza che neppure un barcone si capovolgesse. In inverno questo avveniva anche con il mare in burrasca, ora le imbarcazioni colano a picco con il tempo buono ed il mare piatto come una tavola. La tesi del ministero dell’interno, che le imbarcazioni sarebbero sempre più fragili, non è sostenibile fino a quando non si dimostra. Come resta tutto da dimostrare che gli scafisti recentemente arrestati abbiano spento deliberatamente i motori prima di chiamare soccorso.

Vero è che il maggior percorso che i barconi devono percorrere rende più frequenti rotture dei motori e capovolgimenti anche per la grande quantità di persone che i trafficanti libici concentrano in vista delle partenze. Ma questo avviene anche perché le autorità libiche, in cerca di una legittimazione internazionale, hanno intensificato le attività di contrasto di quella che per loro è soltanto “immigrazione illegale”. Per questo hanno chiesto una barca di soldi all’Unione Europeo, sul modello degli accordi già stipulati da Berlusconi con Gheddafi. Soldi per fermare i “clandestini”. E quando intervengono i libici gli spari e gli speronamenti sono all’ordine del giorno.

Le prime ricostruzioni fornite dalle autorità italiane, sul capovolgimento del barcone, sull’esistenza di un barcone “gemello” che sarebbe invece stato soccorso, la fotografia che si riferirebbe a questa tragedia (che si riferisce, se non è di repertorio, ad un barcone che affonda lentamente e non ad un barcone che si “capovolge”), ma anche il numero di superstiti (che non fa certo pensare ad un “capovolgimento”), rimangono circostanze tutte da chiarire. Così come resta  da chiarire l’esatta distanza delle unità militari italiane al momento in cui è stato effettuato il primo avvistamento, non si ha certezza neppure da chi.

Come al solito, dopo le tragedie che colpiscono i migranti in mare, è partita una grande campagna mediatica per spostare l’attenzione sugli scafisti ai quali attribuire tutte le responsabilità delle vittime in modo da non esporre a critiche l’operato delle autorità militari e le decisioni politiche. Non è detto però che questi processi possano portare all’accertamento della verità. Di certo non fermano le partenze e non impediscono che un numero crescente di vite umane venga sacrificato sulle rotte della disperazione dalla Libia e dall’Egitto. Vite di persone che se giungessero in Italia avrebbero diritto al riconoscimento di uno status legale di protezione e che dovrebbero essere sottratte alle organizzazioni criminali nell’unico modo possibile, con l’apertura di canali umanitari.

Il ministero della difesa e il ministero degli esteri devono fornire informazioni corrette al Parlamento italiano ed alla popolazione intera, oltre che ai parenti delle vittime. Perchè queste tragedie non si ripetano ancora, perchè il riposizionamento delle navi di Mare nostrum, non macchi il lavoro esemplare di salvataggio che tanti uomini e donne della nostra marina e della guardia costiera hanno svolto nei mesi scorsi salvando decine di migliaia di vite. Occorre riconoscere il diritto all’accesso legale e protetto in Europa dei potenziali richiedenti asilo che si trovano ingabbiati in Egitto e Libia, e non travisare la richiesta di apertura di canali umanitari con altri accordi con i paesi di transito per il blocco dei migranti, la creazione di campi di raccolta e la chimera della possibile presentazione della domanda di asilo in questi paesi. Una possibilità che già esiste in Marocco e in Egitto, paesi firmatari della Convenzione di Ginevra a differenza della Libia, ma che neppure l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) riesce a garantire effettivamente.

Note

*Università di Palermo

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