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Dicembre 12, 2014

Questa volta gli eroi siamo noi
di Marco Cortesi

Diario di Viaggio

Alcuni lo definiscono uno dei viaggi più pericolosi al mondo le condizioni del mare, la tipologia di imbarcazioni, vere e proprie carrette che a malapena restano a galla, l’inesperienza di scafisti improvvisati, l’immane numero di persone a bordo, costrette a resistere ad un viaggio devastante con temperature a volte sotto lo zero.

Immaginatevi su una di queste barche, provate a sentire la disperazione e la paura. Ma non è solo per la vostra vita che temete, ma anche per quella di chi stringete tra le braccia: vostra figlia – immaginate sia una bambina – e ha la febbre alta. Niente acqua, niente cibo, solo il rumore del motore lanciato a massima potenza, l’odore della nafta il cui fumo fa bruciare gli occhi e attorno l’immensità del mare, nero come il petrolio. Il vento sale e le onde si fanno sempre più minacciose, sempre più inquietanti, milioni di tonnellate d’acqua in movimento, la cui forza è capace di spezzare lo scafo di quella che nessun marinaio riuscirebbe a chiamare “barca”.

«Buttate tutto a mare» – urla all’improvviso lo scafista. Via valigie, via il poco cibo, via coperte, via tutto. Più leggeri, dobbiamo essere più leggeri e più veloci. «Più veloci di cosa?» «Più veloci della tempesta» – risponde il ragazzo che regge la leva del timone. Avrà poco più di 16 anni. Questo non è un viaggio. Il termine giusto è “suicidio”.

E poi il peggio.

Lo scafo affronta di taglio un’onda alta almeno tre metri, la cima della barca si alza in verticale e l’imbarcazione si rovescia all’indietro.

Senti il fondo della barca sparirti da sotto i piedi, mentre precipiti cadendo in acqua. Le orecchie si chiudono di botto. Stringi al petto tua figlia. Vuoi solo tornare a galla. Devi farlo! Riemergi ed eccola lì la scena. Attorno a te una quarantina di persone che grida in mezzo al mare cercando chi una madre, chi una figlia, chi una moglie…

Hai solo una mezza idea di come ci deve sentire? Riesci ad immaginarti la scena? 

Solo disperazione. Solo paura. E nessuno arriverà in soccorso. Nessuno. Questo non è un film dove tutto va a finire per il verso giusto. Qui non finisce così… Qualcuno vive, qualcuno muore. A morire questa volta tocca a te.

E poi… All’improvviso il respiro ti si blocca nel petto..

In lontananza si staglia una sagoma e la sagoma è in veloce avvicinamento. All’inizio era solo una luce indistinta, ma ora la vedi. È una nave che a massima potenza si dirige nella tua direzione. Un paio di potenti riflettori scruta la superficie del mare. La punta dello scafo spezza le onde ed il solido metallo sembra più duro di un macigno di granito.

Ma che strano! Sulla torretta non sventola una bandiera a stelle e strisce. Non c’è nessuna scritta “USA NAVY” a fare bella mostra di sè e nessun marines sull’attenti. Questa volta il film è differente. Sulla torretta sventola una bandiera con tre strisce verticali: una verde, una bianca e una rossa e la voce che al megafono invita alla calma non parla in inglese, ma in una lingua molto più dolce e musicale. Forse è la prima volta che la senti.

Eccola lì davanti a te, la grossa, possente nave grigia mostra solo una grande scritta bianca al centro dello scafo: “MARINA MILITARE ITALIANA”.

Eccoli lì i nostri soldati, i nostri marinai. E questa è l’operazione “Mare Nostrum”.

«Noi non si lascia morire la gente in mare. Nossignore!»

Seduti in un ristorante sul lungomare di Taranto, ascoltiamo Francesco, sotto ufficiale della Marina Italiana. Il suo sguardo si perde nel vuoto. È come se rivedesse quello di cui sta parlando. Come se lo stesse rivivendo proprio ora.

«Non si lascia morire in mare una persona. È una cosa che non si fa. E’ gente disperata. Non hanno più niente. Hanno solo paura. Una paura maledetta! Una volta abbiamo tirato su un uomo. Sarà pesato più di un quintale. Era un gigante. Forse più di due metri e due braccia grandi come tronchi. Una volta a bordo mi ha buttato le braccia al collo e si è messo a piangere. Diceva che sua figlia era viva grazie a me, grazie a noi italiani!»

Questa volta a sventolare sulla torretta la bandiera è la nostra.
Questa volta la nave che si allontana verso l’orizzonte al tramonto è la nostra.
Questa volta gli eroi al termine del film siamo noi.

Eroi per davvero: più di 130.000 persone salvate dalla nostra Marina Militare in un’operazione, “Mare Nostrum”, lanciata dall’Italia, unico paese a reagire alle morti in mare aperto, attraverso un’imponente sforzo di soccorso e salvataggio mentre tutta l’Europa restava a guardare, in molti casi senza muovere un dito.

Ma questo non è un film.
Un film dura solo due ore. Questa invece è la vita vera e a partire in fuga dai loro paesi sono ancora in tanti e “Mare Nostrum” sta chiudendo.

“Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese. Ogni individuo ha il diritto di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni” – Artt. 13 e 14 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ONU, 1948.

È per questo che Amnesty International chiede al Presidente del Consiglio:

•    il rafforzamento delle operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo e nell’Egeo;

•    la creazione di percorsi sicuri e legali per chi fugge da conflitti e persecuzioni;

•    l’accesso garantito alle misure di protezione internazionale;

•    la cessazione della cooperazione con paesi che violano i diritti umani, al fine di limitare i flussi migratori;

Cambiamo il finale del film.


Noi non si lascia morire la gente in mare.


Nossignore!

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