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7 aprile 2014

Ucciso Padre Frans, il gesuita che non ha voluto lasciare Homs

Gli occhi chiusi per sempre e lividi attorno alla tempia e sul viso: è l’ultima immagine di padre Frans van der Lugt, anziano gesuita olandese ucciso stamani a Homs, nella Siria centrale, nella parte della città semidistrutta e da due anni assediata dalle forze del regime di Bashar al Assad.

Non si hanno intanto ancora notizie di un altro gesuita, il romano Padre Paolo Dall’Oglio, da nove mesi scomparso nel nord della Siria dopo aver passato più di 30 anni nel Paese ed esser stato espulso dal regime nel giugno 2012.

Secondo la ricostruzione fornita dai vertici gesuiti olandesi, padre Frans (75 anni) è stato giustiziato sommariamente poco dopo l’alba da uomini armati, di fronte ad alcune donne cristiane all’esterno della chiesa di Bustan ad Diwan, quartiere di quella che un tempo era la terza città siriana, in larga parte e sin dall’aprile 2011 solidale con la rivolta anti-regime.

Per padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa vaticana e anch’egli gesuita, “muore un uomo di pace, che con grande coraggio ha voluto rimanere fedele in una situazione estremamente rischiosa e difficile a quel popolo siriano a cui aveva dedicato da lungo tempo la sua vita e il suo servizio spirituale”.

Prima di esser freddato con colpi di arma da fuoco da almeno un uomo – secondo fonti locali – incappucciato, l’anziano gesuita sarebbe stato trascinato fuori dalla chiesa e picchiato. L’agenzia ufficiale siriana Sana ha attribuito il crimine a non meglio precisati terroristi.

Interpellati dall’ANSA via Skype, attivisti di Homs hanno affermato che “l’uomo incappucciato non è stato identificato da nessuna delle donne cristiane presenti sul luogo del delitto”, che “gli insorti di Homs hanno dichiarato la propria estraneità al crimine” e che “sono in corso le ricerche per identificare il sicario”.

Padre Frans dal 1966 in Siria, era l’ultimo europeo a rimanere a Homs. Vestito con gli abiti talari, il suo corpo appare all’interno della bara appoggiata a pochi metri dall’altare della chiesa di Bustan al Diwan. Da quello stesso altare aveva tre mesi fa lanciato un accorato appello alla comunità internazionale perché mettesse in salvo gli abitanti intrappolati nell’assedio imposto alla roccaforte dell’insurrezione.

“Insieme ai musulmani viviamo in una situazione difficile e dolorosa e soffriamo di tanti problemi. Il maggior di questi è la fame”, affermava padre Frans in un video-messaggio registrato e diffuso da attivisti anti-regime con cui padre Frans era in contatto quotidiano.

“La gente non trova da mangiare. Niente è più doloroso che vedere le madri per strada in cerca di cibo per i loro figli”, aveva aggiunto il prete, che aveva esplicitamente chiesto di essere seppellito in Siria. “Non accetto che moriamo di fame. Non accetto che anneghiamo nel mare della fame, facendoci travolgere dalle onde della morte”, continuava padre Frans, che si era rifiutato di lasciare la Città Vecchia di Homs quando, tra gennaio e febbraio scorsi, l’Onu era riuscita a trovare l’accordo col regime di Damasco per l’evacuazione di un migliaio di persone dai quartieri assediati. La chiesa di fronte alla quale padre Frans è stato freddato era stata danneggiata dai cannoneggiamenti del regime. “Noi amiamo la vita, vogliamo vivere. E non vogliamo sprofondare in un mare di dolore e sofferenza”, aveva aggiunto.

Nell’evacuazione di febbraio, la maggior parte dei circa 60 cristiani aveva lasciato il centro storico. Padre Frans era rimasto. E a chi, fino a pochi giorni fa, lo interrogava sul perché si ostinasse a rimanere, aveva risposto: “Il popolo siriano mi ha dato tantissimo: tanto buon cuore, tanta ispirazione e tutto quello che ha. Adesso soffre. E devo condividere il suo dolore e le sue difficoltà”.

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