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2014-04-18  

Sorella Raghida testimonia la sofferenza dei siriani

Secondo l'intervista, l'osservazione fatta dall’AED, Aiuto alla Chiesa in difficoltà, il 10 % dei cristiani non possono vivere la loro fede normalmente e rischiano la loro vita confessandola.

La Siria, un tempo uno dei paesi più sicuri, è diventata una terra di aspri combattimenti in cui i cristiani sono particolarmente vulnerabili. Città simbolo del martirio dei cristiani in Siria è Maaloula, recentemente riconquistata da truppe fedeli a Bashar al Assad dopo essere stata succube dei jihadisti, in gran parte distrutta.

Sorella Raghida, Dottorato di Ricerca in Educazione, era a capo della scuola del Patriarcato greco-cattolico di Damasco, la capitale siriana. Oggi vive in Francia. Ha testimoniato della sua carriera nella notte dei testimoni organizzata dall’AED qualche giorno fa in diverse chiese e cattedrali di Francia. Sua madre e sei fratelli e sorelle sono ancora in Siria, dove le loro vite sono in pericolo ogni giorno e sono sotto pressione. La gente ascolta. "In città e villaggi occupati da elementi armati, jihadisti e di tutti i gruppi musulmani estremisti, viene offerta ai cristiani la shahada (professione di fede musulmana) o la morte. A volte chiedono un riscatto. Così è tra la shahada, il riscatto o la morte. E' impossibile rinnegare la propria fede, dunque subiscono il martirio. E il martirio è estremamente disumano, di una violenza estrema che non ha nome. Se volete esempi, a Maaloula crocifissero anche due giovani, perché non vollero recitare la shahada. Dissero loro "Allora volete morire come il vostro maestro, colui in cui credete. Scegliete o recitate la shahada, o sarete crocifissi" Ebbeno no, saremo crocifissi, uno di loro è stato crocifisso davanti a suo padre. Che poi è stato ucciso anche’egli.

Ciò è accaduto per esempio .... ad Abra, nella zona industriale alla periferia di Damasco. Man mano che entravamo in città, hanno cominciato a uccidere uomini, donne e bambini. E dopo la strage, hanno preso le loro teste e giocato e ci hanno giocato a calcio.

Per quanto riguarda le donne incinta, hanno preso i loro feti e li hanno appesi agli alberi con i loro cordoni ombelicali.

Fortunatamente, la speranza per la vita è più forte della morte.

Dopo una tregua e la riconquista della città da parte dell'esercito, abbiamo detto le messe di requiem, e la preghiera è divenuta ancora più intensa.

Come fanno affrontare queste atrocità, a vivere tutti i giorni?

Vanno in posti un pò più tranquilli, perché i combattimenti si concentrano in alcune regioni o città. Le persone si dirigono verso zone più tranquille con i parenti e con gli amici. Mancano i generi alimentari. In alcuni luoghi, si trovano alcune verdure, ma sono troppo care perché la vita è aumentato del 500%, se non di più. Ci sono alcuni funzionari che vanno a lavorare a proprio rischio, che ancora ricevono un piccolo stipendio. Non sanno se andando al lavoro, torneranno vivi o meno. Ed è lo stesso per i giovani che vanno a scuola o all'università, per non lasciare la gente nel senso di attesa della morte, ci sono istituzioni che continuano a lavorare con coloro che possono andarci. C'è una solidarietà che si crea tra le persone. Se combustibile, gas, elettricità e anche il pane mancano, i vicini li prestano. La preoccupazione più grande è la per i bambini.

Come vivevano i cristiani prima della guerra?

La Siria era un paese laico, nel senso pieno del termine. C'era una convivenza tra cristiani e musulmani. Si accettavano reciprocamente, vivevano in semplicità. Purtroppo, sono arrivati ​​gli eventi. In un primo momento si sostenevano ancora. Fino ad ora, ogni minoranza neutrale continua a sostenersi. Viviamo tutto il tempo nella paura e nella soggezione. Prima di questi eventi, vivevamo molto bene. Questo è l'unico paese dove i cristiani potevano praticare la loro religione, e potevano uscire dal paese e rientrare. C'era un livello di sicurezza che non si trova in nessun altro paese confinante. Le Chiese si aiutavamo tra loro. Alcune volte, facevamo le processioni insieme, ortodossi e cattolici. I cristiani erano cristiani. Non c’erano problemi di confessione e rituale. C'eraa stato davvero un accordo speciale. Purtroppo, ora non è più lo stesso. Ci sono due terzi dei cristiani che hanno già lasciato il paese. E già non eravamo molti. Dopo le minacce e le uccisioni di Maaloula, i cristiani si sono detti: "Il nostro turno arriverà. Così salviamo i bambini." Nonostante gli appelli dai patriarchi e dal nostro Papa che ha detto "No, non lascino. Dovrebbe rimanere. Devono testimoniare." Ma coloro che realmente sono rimasti, sono le persone che non hanno i mezzi per uscire, a cui hanno negato i visti.

E per quanto riguarda la tua famiglia?

Ho fatto due inviti a mia mamma a venire in Francia, ma per due volte, le hanno rifiutato il visto. Anche i miei due fratelli e altri parenti, vicini di casa e amici, Hanno cercato di ottenere il visto, ma gli è stato rifiutato.

Come aiutare questi cristiani?

Non li proteggono per cui si sentono abbandonati, ma non li lasciano partire. Quelli che restano sono davvero in pericolo.

E quali sono, malgrado tutto, le vostre ragioni di speranza?

Il Signore non ci abbandonerà. Ci sono ancora uomini di buona volontà che stanno lavorando per il ritorno della pace, sostengono, aiutano ad uscire da lì, agiscono e testimoniano la fratellanza nonostante la politica. Continuano a pregare e dicono "nessuno muore prima del suo tempo" Ma il nostro paese si recupererà, si ricostruirà, avrà un sobbalzo e tornerà ancora più forte di prima. La solidarietà sarà più forte di prima. Il nostro impegno per Cristo e la nostra fede sarà ancora più forte di prima.

Infine, vuoi aggiungere qualcosa o fare un appello?

Mi appello ai protagonisti internazionali, soprattutto francesi, perché la Francia ha una forte influenza sugli altri. Chiedo a costoro di pensare ai diritti umani e alla dignità dell'uomo. Ripeto ancora a tutti i miei connazionali che ci sono persone che pensano a loro e pregano per loro. Così non disperate.


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2014-04-18  

Soeur Raghida témoigne de la souffrance syrienne

Selon le constat fait par l’AED, l’Aide à l’Eglise à détresse, 10% des chrétiens ne peuvent vivre leur foi normalement et risquent leur vie en la confessant.

La Syrie, autrefois l’un de pays les plus sûrs, est devenu une terre de combats acharnés dans lesquels les chrétiens sont particulièrement vulnérables. Ville symbole du martyre des chrétiens de Syrie, Maaloula, récemment reprise par les troupes loyales à Bachar El-Assad après avoir été sous la coupe des djihadistes, a été très largement détruite.



Soeur Raghida, docteur en sciences de l’éducation, a été à la tête de l’école du patriarcat gréco-catholique à Damas, la capitale syrienne. Aujourd’hui elle vit en France. Elle a témoigné de son parcours lors de la nuit des témoins organisée par l’AED il y a quelques jours dans plusieurs églises et cathédrales de France. Sa mère et ses six frères et sœurs sont toujours en Syrie, où leurs vies sont tous les jours en danger et où ils subissent de nombreuses pressions. On l’écoute.
 

"Dans les villes ou villages qui sont occupés par les éléments armés, les djihadistes et tous les groupes musulmans extrémistes proposent aux chrétiens soit la chahada (la profession de foi musulmane, ndlr) soit la mort. Quelques fois, on demande une rançon. Donc, c’est entre la chahada, la rançon ou la mort. C’est impossible de renier leur foi donc, ils subissent le martyr. Et le martyr d’une façon extrêmement inhumaine, d’une extrême violence qui n’a pas de nom. Si vous voulez des exemples, à Maaloula, ils ont crucifié deux jeunes gens parce qu’ils n’ont pas voulu dire la chahada. Ils disent «
alors, vous voulez mourir comme votre maître en qui vous croyez. Vous avez le choix : soit vous dites la chahada, soit vous êtes crucifiés
». Et bien non, on sera crucifié. Il y en a un qui a été crucifié devant son papa. On a même tué son papa. Ce qui s’est passé par exemple à Abra, dans la zone industrielle, dans la banlieue de Damas. Au fur et à mesure où on entrait dans la ville, on commençait à tuer les hommes, les femmes et les enfants. Et après le massacre, on prenait les têtes et on jouait au foot avec leurs têtes. En ce qui concerne les femmes, on prenait leurs bébés et on les accrochaient aux arbres avec leurs cordons ombilicaux. Heureusement, l’espérance et la vie est plus forte que la mort. Après une accalmie et la reprise de l’armée de la ville, on fait des messes de requiem, on continue et la prière se fait encore plus intense. 



Et donc face à ces atrocités, comment arrivent-ils à vivre au quotidien? 
Ils vont dans des endroits un peu plus calmes parce que les combats se concentrent dans des régions ou dans des villes. Les gens se dirigent vers des zones plus calmes, soit chez des parents soit chez des amis. Les denrées alimentaires manquent. Dans certains endroits, il y a quelques légumes mais ils sont hors prix parce que la vie a augmenté de 500%, pour ne pas dire plus. Il y en a certains qui touchent encore un petit salaire. Il y a encore certains fonctionnaires qui se rendent à leur travail à leurs risques et périls. Ils ne savent pas si en allant à leur travail, ils retourneront vivants ou pas. Et c’est la même chose pour les jeunes qui vont à l’école ou à l’université, puisque pour ne pas laisser les gens dans le sentiment d’attendre la mort, il y a des institutions qui continuent avec ceux qui peuvent y accéder. Il y a une solidarité qui s’est créée entre les personnes. Lorsque le carburant, le gaz, l’électricité et même le pain manquent, les voisins se prêtent entre eux. Le plus grand souci, c’est le souci des enfants. 



Comment les chrétiens arrivaient à vivre avant cette guerre? 
La Syrie est un pays laïc, au plein sens du terme. Il y avait une convivialité entre chrétiens et musulmans. Donc, ils s’acceptaient, ils vivaient dans la simplicité. Malheureusement, les évènements sont arrivés. Au début, ils se soutenaient encore. Même jusqu’à présent, toute la minorité qui est neutre continue à se soutenir. On vit tout le temps dans la peur et dans la crainte. Avant ces évènements, on vivait très bien. C’est le seul pays où les chrétiens pouvaient pratiquer, sortir et venir. Il y avait une sécurité qui ne se trouve dans aucun autre pays avoisinant. Les Églises s’entraidaient entre elles. Dès fois, on faisait des processions ensemble, entre orthodoxes et catholiques. Les chrétiens étaient chrétiens. On ne regardait pas la confession et le rite. Il y avait vraiment une entente extraordinaire. Hélas, actuellement, ce n’est plus le cas. Il y a deux tiers des chrétiens qui ont déjà quitté le pays. Et déjà, on n’était pas nombreux. Après les menaces et le massacre de Maaloula, les chrétiens on dit : « Notre tour va arriver. Donc, sauvons les enfants ». Malgré les appels des patriarches et de notre Pape qui disaient « Non, il ne faut pas quitter. Il faut rester là. Il faut témoigner ». Mais ceux qui restent vraiment, ce sont les gens qui n’ont pas les moyens de partir et qui se sont vus refuser leurs visas.

Et en ce qui concerne votre famille? J’ai fait deux invitations à ma maman pour venir en France mais par deux fois, le visa a été refusé. Mes deux frères aussi comme d’autres parents, voisins ou amis. Ils ont aussi essayé mais leur visa a été refusé. Comment aider ces chrétiens ? On ne les protège pas parce qu’ils se sentent abandonnés et on ne les laisse pas partir. Ceux qui restent sont vraiment en danger.

Et quelles sont malgré tout vos raisons d’espérer? 
Le Seigneur ne nous abandonnera pas. Il va y avoir des hommes de bonne volonté comme il y en a encore qui travaillent et qui œuvrent pour le retour de la paix, pour soutenir, pour aider, pour aller sur place, mener des actions et témoigner de la fraternité malgré la politique. Ils continuent à prier et ils disent « personne ne meurt avant son heure ». Mais notre pays va se redresser, se reconstruire, rebondir et il redeviendra encore plus fort qu’avant. La solidarité est plus forte qu’avant. Notre attachement au Christ et à notre foi sera encore plus fort qu’avant.



Pour terminer, est-ce que vous voulez ajouter quelque chose ou lancer un appel? 
J’en appelle aux protagonistes, surtout français, parce que la France a une influence extrêmement puissante sur les autres. J’appelle donc ces protagonistes à repenser aux droits de l’homme et à la dignité de l’homme. Je redis aussi à tous mes compatriotes qu’il y a des personnes qui pensent à eux et qui prient pour eux. Donc, qu’ils ne désespèrent pas.

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