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13 Gennaio 2014

Ribelli vs Daesh. Un combattente racconta
di Alberto Savioli

Nell’ultima settimana una vasta coalizione costituita da ribelli nazionalisti e islamisti che si oppongono al presidente siriano Bashar al Asad, sta cercando di allontanare i combattenti dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (acronimo arabo: Daesh) dalle loro roccaforti a nord e a est di Aleppo.

In questa coalizione figura Jabhat al Nusra anche se non è apertamente in contrasto con Daesh, che viene accusato di sequestrare le persone, di torturare e di uccidere i ribelli rivali così come i civili. Mentre Jabhat al Nusra è stata in prima linea nella lotta contro il regime assieme all’Esercito siriano libero, Daesh è visto come un gruppo che di fatto non combatte contro il regime e che sta cercando di sottrarre le aree liberate alle altre forze di opposizione. I ribelli sono convinti che Daesh sia affiliato con il regime siriano.

La presenza di Daesh nel nord-est della Siria preoccupa sempre più l’opposizione, dal momento che ha un’autorità centrale ed è ideologicamente più coeso, ha un vantaggio rispetto all’opposizione più frammentata.

Questa offensiva dei ribelli ha spiazzato tutti gli osservatori. Per capire cosa sta accadendo ho contattato un “vecchio” amico siriano. Conosco Muhammad da quando aveva 13 anni ed era uno spensierato ragazzino, appartiene ad un antico gruppo tribale della Siria rurale nei pressi di Idlib. A differenza di quanto avvenuto nelle città, dove i ragazzi hanno avuto l’alternativa di diventare attivisti non violenti oltre che combattere, nelle campagne e nei piccoli centri rurali non c’è stata quasi altra possibilità se non quella di imbracciare le armi.

Nell’ultimo anno Muhammad ha combattuto nella zona di Idlib e Khan al Asal (Aleppo) tra le file dell’Esercito siriano libero, ora è stato dislocato nell’area compresa tra al Bab e Manbij. Mi racconta che “ieri (venerdì 10 gennaio) abbiamo combattuto contro Daesh attaccandoli nelle campagne di Jarablus (nord di Aleppo), 15 di loro sono morti”. Mentre parla concitato lo sento arrabbiato, mi dice che “molti dei miliziani stranieri di Daesh (egiziani, tunisini, afghani) se ne sono andati verso Raqqa, hanno lasciato i combattenti siriani nella zona di al Bab, Manbij (entrambe conquistate dall’Esercito siriano libero) e Jarablus (ancora controllata da Daesh).

Molti di questi siriani lo scorso anno combattevano assieme a me a Khan al Asal” dice Muhammad. E’ sconsolato quando racconta “lo scorso anno combattevamo assieme per l’Esercito siriano libero, ora stanno con Daesh, ma non posso uccidere i miei amici”. Tento di capire come dei siriani che combattevano per la parte “laica” della rivoluzione siano finiti nel gruppo più estremista e intransigente e perché non lo vogliano abbandonare ora che sembra in difficoltà. Chiedo se il motivo sia legato al fatto che vengono pagati, Muhammad mi risponde che “si molti sono pagati, ma non è questo il motivo, con loro non riesci a parlare più, non ti ascoltano, ti dicono, è come diciamo noi, tu sbagli”, dice che “vogliono tornare all’Islam di Maometto, ma non c’è un Islam di Maometto, c’è l’Islam, noi non siamo Musulmani?” e ancora “non c’è un nuovo Islam e un vecchio Islam”.

Racconta Muhammad che quando replica che questo non è l’Islam, che l’Islam non dice di ammazzare chi ha opinioni diverse, questi rispondono: “tu vuoi la democrazia”. Dice il mio amico: “ma quale democrazia… io non ho preso il fucile in mano per liberarmi di Asad e avere egiziani, libici e ceceni che mi dicono che non sono un buon Musulmano e tentano di imporre la loro ideologia”. Continua dicendomi “credimi, questa di Daesh non è religione, questa è un’ideologia che utilizza la religione!”. Continua Muhammad, “lo scorso anno quando ancora combattevamo assieme hanno cominciato a mostrare con i loro telefoni dei video in cui combattenti di Daesh tagliavano la testa a presunti infedeli, mi sono rifiutato di vederli, quale lotta è questa, quale religione…”.

Mi dice che questa settimana sarà decisiva nello scontro tra loro e i combattenti di Daesh, “siamo male armati, non riceviamo finanziamenti pari a quelli di Daesh, sta andando bene perché molti combattenti hanno raggiunto la provincia di Anbar (Iraq) per combattere a Fallujah”, gli dico di stare attento e se dovessero riguadagnare territorio di scappare in Turchia. Mi risponde dicendomi “se quelli come me scappano, non c’è alternativa ad Asad e a Daesh”. Dice “per noi Asad e Daesh sono la stessa cosa, non combattono mai tra loro, quando al Bab e Manbij sono controllate da Daesh il regime non bombarda, quando riconquistiamo le città gli aerei dell’aviazione siriana ricominciano a bombardarci”. “Questa guerra con Daesh ci impedisce di combattere contro Asad e per noi, se vince Daesh ha vinto Asad”.

Un video apparentemente girato con un cellulare, mostra un giovane jihadista di lingua russa chiamato “Fratello Yusuf“. Gli viene chiesto di dire qualche parola riguardo agli eventi, a favore di coloro che torneranno a casa nel Caucaso del Nord e in Russia. Yusuf dice: “Qui c’è il jihad, e anche lì c’è il jihad… Qui stiamo combattendo gli infedeli, e anche lì ci sono infedeli…”.

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