al Hayat
6 febbraio 2014
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8 febbraio 2014

Da Daraya ai qaidisti, la fabbrica dell’estremismo
di Iyad Sharbaji
Traduzione di Camilla Matarazzo

Nei primi anni Novanta, a qualche chilometro dal centro della capitale siriana, un gruppo di giovani ragazzi si riuniva nella moschea di Anas b. Malek, a Daraya, nella Ghuta damascena.

L’occasione venne durante i nuovi corsi di memorizzazione del Corano resi possibili dopo che le autorità, in seguito alla caduta dell’Unione Sovietica e alla prima diffusione della corrente islamista, avevano permesso la ripresa di alcune attività religiose.

Dopo alcuni anni di studio sotto la guida dello shaikh riformista Abdul Akram Sakka e del pensatore musulmano e teorico della non violenza Jawdat Said, il gruppo, conosciuto come “Gruppo dei giovani di Daraya”, oltrepassò i limiti impostigli dalle autorità, e addirittura dalla società, invitando al cambiamento democratico, senza però arrivare a uno scontro diretto con il governo.

A livello sociale, i membri del gruppo si scontrarono presto con l’intellighenzia religiosa e tradizionalista di Damasco e dintorni. Le ricerche condotte da alcuni studenti, che provavano l’esistenza di imprecisioni nelle più importanti raccolte di hadith dell’Islam sunnita, quelle di al Bukhari e Muslim, destarono le ire di alcuni shaikh tradizionalisti che li attaccarono pubblicamente.

A suscitare questa reazione furono anche altre coraggiose provocazioni, come l’introduzione di uno schermo televisivo nel cortile della moschea e la proiezione di film cult come “Gandhi”. Inoltre, il gruppo promuoveva concetti estranei all’ambiente religioso, come la democrazia pluralista e il diritto di cittadinanza per tutti a prescindere dall’appartenenza religiosa. Per non parlare della promiscuità tra uomini e donne sia negli incontri che si tenevano all’interno della moschea che durante l’attività al di fuori della stessa.

Per quanto riguarda i servizi segreti siriani, fu a partire dagli ultimi anni Novanta che questi cominciarono a infastidire i membri del gruppo convocandoli periodicamente per degli accertamenti. Tuttavia, in quella fase il regime politico siriano aveva bisogno di tranquillità, e ciò concorreva direttamente a vendere Bashar al Assad come futuro leader riformatore che credeva nelle libertà, nell’apertura e nella giustizia.

Nel 2000, dopo la salita al potere di Bashar al Assad e il discorso di giuramento in cui prometteva di cambiare il presente e il futuro della Siria nel senso di una maggiore apertura e modernità, il gruppo osò uscire pubblicamente allo scoperto. Per cominciare, inaugurò nel centro città la biblioteca “Subul as salam” (i sentieri della pace), che ospitava una grande raccolta di libri di critica contemporanea.

La biblioteca divenne ritrovo per i giovani che volevano discutere e dialogare in un modo che era sconosciuto alla società patriarcale e protezionista. Inoltre, alcuni appartenenti al gruppo, come Ziyade Radwan e Usama Nassar, parteciparono a diversi incontri politici tenutisi in seno a quel movimento di intellettuali e dissidenti noto come Primavera di Damasco (2000-01).

Dopo breve tempo, però, Bashar al Assad svelò la reale natura del suo regime. La Primavera di Damasco venne rovesciata, decine di persone furono arrestate e numerosi membri del gruppo,  perseguitati, si videro costretti a cercare rifugio all’estero.

Ciò nonostante continuarono a portare avanti il loro impegno, seppure in maniera più circoscritta. Fu così che furono lanciate una serie di campagne volte a combattere la corruzione (che presumibilmente corrispondeva a un indirizzo procedente dalle autorità) e organizzate delle iniziative per ripulire le strade.

Armati di scope, scesero per le vie di Daraya e cominciarono a raccogliere in silenzio l’immondizia, attirando l’attenzione di centinaia di abitanti. Fu la goccia che fece traboccare il vaso.

Nel febbraio 2003, nello stesso giorno in cui cadde Baghdad, tutti i membri del gruppo, accusati di aver dato vita a un’organizzazione islamica segreta, vennero arrestati dai servizi segreti dell’aereonautica e rinchiusi in carcere per un periodo compreso fra i tre e i cinque anni. Di fatto, il gruppo aveva deciso fin dall’inizio di rivelare le identità dei suoi appartenenti e rendere pubbliche le proprie opinioni, evitando di agire segretamente. L’essenza del loro richiamo si basava sulla trasparenza di metodi e intenti, e puntava a raggiungere in maniera diretta la popolazione.

Allo scoppio della rivoluzione siriana nel 2011, il gruppo era pronto a cogliere al volo il movimento rivoluzionario civile, del quale era anzi uno dei promotori a livello nazionale. Tra i suoi leader c’erano ragazzi come Yahya Sharbaji, Usama Nassar, Amer Doko, Mutaz Murad, Muhammad Shehada, Muhammad Kraitem e molti altri che hanno fatto di Daraya un eccezionale modello di riferimento per il movimento civile, un movimento ben organizzato, propositivo e che si oppone al ricorso alle armi.

La maggior parte degli appartenenti al gruppo sono stati ripetutamente arrestati e alcuni di loro si trovano tutt’ora in carcere. Tra questi Muslim Kholani, Yahya e Maan Shurbaji, Islam Dabbas e Majd Kholani. Altri, come Muhammed Kraitem, Muhammed Shehada e Abdul Rahman Sharbaji sono stati eliminati in vari modi dal regime. Mentre altri ancora, come Amer Doko e Akram Kholani, si sono rifugiati all’estero. A guidare il Consiglio locale di Daraya, uno dei maggiori esempi dell’azione civile nella rivoluzione siriana, è rimasta una stretta minoranza.

Tutto questo è accaduto nel momento in cui le autorità siriane hanno scarcerato diversi feroci jiihadisti islamici, come Zahran Allush, capo del Jaysh al Islam (Esercito dell’Islam) locale, e centinaia di altri reduci del jihad iracheno.

L’equazione la conosciamo. E il risultato anche. La comparsa di tagliatori di teste come Daesh [lo Stato islamico dell'Iraq e del Levante, Isis, n.d.t.] e Nusra non sembra gratuita all’interno di questa visione d’insieme. Il resto è lasciato a intendere.

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