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26 mar, 2014

In Siria si parlava di pace…

I colloqui tra il regime e le opposizioni sono già finiti nel dimenticatoio. E la guerra prosegue con centinaia di morti.

Ogni giorno ha le sue vittime, con una conta drammatica che rischia di non arrestarsi per mesi, mentre i colloqui di pace sembrano già un pallido ricordo. La situazione in Siria, insomma, non è migliorata, nonostante i tentativi delle diplomazie occidentali di giungere a qualche forma di intesa.

Al di là delle buone intenzioni, le cifre sulla tragedia umanitaria continuano a essere agghiaccianti, come testimoniano quelle relativi ai profughi causati dal conflitto iniziato tre anni fa.

Il regime di Bashar Assad, in realtà, ha acquisito sempre maggiore forza, grazie al concreto supporto dell’Iran e dei miliziani libanesi di Hezbollah. E oggi nessuno sarebbe disposto a ipotizzare un suo crollo. Uno dei problemi è la frattura all’interno delle fazioni ribelli. Da un lato c’è Esercito siriano libero, che gode del sostengo degli Stati Uniti, e dall’altro gli islamisti, tra cui organizzazioni come il Fronte al-Nusra e il famigerato Stato islamico dell’Iraq e il Levante (il noto Isis).

Il presidente siriano, piuttosto che accettare condizioni, preferisce tirare dritto per la sua strada. La sua intenzione è addirittura quella di portare al voto il Paese per ottenere una legittimazione popolare. Tuttavia, il leader di Damasco non è più un interlocutore affidabile.

«Non si può tenere un terzo round di colloqui, prima di avere una delegazione del regime pronti a discutere seriamente dell’ordine del giorno», ha affermato, in un’intervista al Daily Beast, Hadi Al Bahra, capo della Soc (Syrian Opposition Coalition) al tavolo dei negoziati. Parole che lasciano intendere l’allontanamento del confronto a data da destinarsi.

Mentre l’Occidente è fermo, con l’inviato delle Nazioni Unite, Lakhdar Brahimi, che non ha indicato una nuova data sulla prosecuzione dei colloqui di pace, la Lega Araba ha nuovamente chiesto una soluzione politica al conflitto.

D’altra parte Ahmad al-Jarbe, esponente dell’opposizione, ha rilanciato la richiesta di invio di armi migliori ai guerriglieri ribelli e un incremento dell’attività di sostengo umanitario. Una posizione che non sembra sposare la causa della fine diplomatica della guerra.

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