Questa carta della Siria descrive la situazione attuale e non a lungo termine data la fluidità degli eventi in corso. La mappa, realizzata da Laura Canali di LiMes è a corredo dell’articolo: Quattro Sirie di Lorenzo Trombetta, pubblicato sull’ultimo numero cartaceo della rivista italiana di geopolitica (9/14) e di cui riportiamo di seguito il primo paragrafo. 

Limes
1 settembre 2014
http://www.sirialibano.com
14 ott 2014

Le quattro Sirie
di Lorenzo Trombetta

Per tre anni e mezzo esposti a violenze di vario tipo e costretti a rinunciare a ogni prospettiva di vita normale per se stessi e per i propri figli, milioni di siriani di comunità confessionali diverse e divisi spesso da un passato di scelte politiche in forte contrasto tra loro, sono oggi accomunati dalla necessità di tornare a vivere nell’unico luogo a cui si sentono di appartenere: la Siria. Ma quella Siria non c’è più. E non tornerà.

Nella fotografia scattata tra la fine dell’estate del 2014 si stagliano quattro Sirie: una Siria sotto l’egemonia del regime della famiglia presidenziale degli Asad; un’altra dominata dai jihadisti dello Stato islamico; una terza in mano alle opposizioni armate; e una quarta controllata dalle milizie curde. La Siria degli Asad incarna sempre più la dimensione urbana della Siria che fu: da sud a nord, con la retrovia costiera e montagnosa, le forze lealiste estendono la loro autorità da Daraa ad Aleppo, fino a Latakia e Tartus passando per Homs. La Siria dei jihadisti venuti dall’Iraq e da ogni angolo del Pianeta, invitando al jihad decine di migliaia di siriani disperati, si inerpica lungo l’Eufrate e mette radici nella dimensione desertica della Siria storica. La Siria ribelle tenta di resistere di fronte all’avanzata dello Stato islamico e degli Asad ed è ancora espressione, come la Siria curda, della dimensione rurale della Siria moderna.

I confini tra queste quattro Sirie sono per lo più mobili, in certi casi sfocati. Eppure, a guardarli da troppo lontano non sembrano né arretrare né avanzare. E a guardarli da troppo vicino appaiono linee rapite da un frenetico movimento. Tra loro a volte non si riconoscono più i confini amministrativi della Siria pre-2011. Lo Stato islamico, il regime e i gruppi ribelli hanno, ciascuno a loro modo, contribuito alla ridefinizione delle aree di influenza: tra la campagna occidentale di Aleppo, quella orientale di Idlib e quella occidentale di Hama c’è oggi un’unica ampia distesa rurale.

E tra la campagna orientale di Aleppo e la periferia di Raqqa si apre un’unica retrovia in attesa della battaglia finale per il controllo del nord. Le sfumature si allungano oltre i confini nazionali: la Biqaa libaenese è collegata più di ieri al Qalamun siriano, e l’interminabile quanto permeabile confine siro-iracheno è stato spazzato via, almeno per due terzi, dalla marea nera dello Stato islamico. Per scelta altrui – e non certo degli attori siriani – tengono (e terranno) le frontiere siro-turca e siro-giordana. Così come reggerà la linea del cessate il fuoco tra Siria e Israele sulle Alture occupate del Golan.

Nell’arena siriana la guerra continuerà ancora a lungo. E almeno di inattese decisioni straniere di sostenere in modo determinante le opposizioni armate, queste ultime saranno sconfitte. La vittoria degli Asad – presidente fino al 2021 – e dei suoi alleati regionali e internazionali appare adesso politica e diplomatica, ma domani potrà anche essere militare. Il terreno geografico, socio-politico e diplomatico dell’insurrezione anti-regime si va assottigliando sempre più. Mentre si va verso la polarizzazione dei fronti Asad-Stato islamico. E chi vorrà mettersi in salvo dovrà scegliere da che parte stare.

A differenza delle opposizioni armate, il regime siriano e il ‘Califfato’ si presentano e agiscono come uno “Stato”. Uno “Stato” che dopo aver ucciso, torturato, sgozzato, arrestato, derubato e discriminato i suoi sudditi, offre loro protezione, sicurezza, ordine e servizi essenziali. Dopo aver liberato dal controllo del regime alcuni territori, gli insorti e i leader delle opposizioni in esilio e in patria non sono invece riusciti a fornire le risposte cruciali a una popolazione stremata, sfollata, violentata, in cerca non solo di libertà e giustizia sociale, ma anche – e prima di tutto –di pane, acqua, elettricità, un tetto sicuro sotto cui dormire e un salario a fine mese.

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