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15 mar 2014

Il bilancio di 3 anni di guerra civile: nessuna soluzione all’orizzonte
di Chiara Cruciati

Nel terzo anniversario dello scoppio del conflitto, sono 9 milioni i rifugiati e 146mila i morti. La diplomazia è di nuovo ferma, mentre il regime avanza al confine con il Libano.

Roma, 15 marzo 2014, Nena News

Sono passati tre anni dall’inizio della guerra civile siriana, cominciata nelle strade di Damasco, Homs e Aleppo con manifestazioni popolari contro il regime della famiglia Assad e trasformatasi in pochi mesi in un sanguinoso conflitto interno. Il bilancio è quello di un Paese distrutto: almeno 146mila morti, nove milioni di rifugiati (di cui 2,5 milioni fuori dal territorio siriano), città devastate da bombardamenti e attacchi, un’economia a pezzi.

Oggi, 15 marzo, si entra nel quarto anno di guerra senza vedere luci in fondo al tunnel. I tentativi diplomatici di Mosca e Washington si fondano su basi fragili, sulle spaccature interne alle frange delle opposizioni e sull’avanzata pericolosa delle forze islamiste estere. E la conferenza di Ginevra si è di nuovo arenata sulle precondizioni al dialogo poste dalla Coalizione Nazionale Siriana, unico rappresentante legittimo del popolo siriano agli occhi della comunità internazionale, che non intende discutere di una transizione politica che preveda la partecipazione di Assad.

Sul fronte diplomatico, dopo il fallimento di Ginevra 2, il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon è tornato a fare pressioni su Russia e Iran (che la stessa Onu non invitò in Svizzera a febbraio) perché facciano da mediatori con il regime, accusato di “ritardare” il dialogo. Ieri Mikhail Ulyanov, capo del dipartimento per il disarmo del Ministero degli Esteri russo, ha fatto sapere che entro la fine di marzo Damasco presenterà all’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche un nuovo piano per la distruzione dell’arsenale in suo possesso: “Se non ci saranno difficoltà, entro un mese, il 13 aprile, la rimozione sarà praticamente completata”, ha detto Ulyanov. Un mese di ritardo rispetto ai programmi dell’Organizzazione che aveva dato a Damasco tempo fino ad oggi, 15 marzo, per eliminare 1.300 tonnellate cubiche di agenti tossici e dodici strutture di produzione.

Sul campo la situazione resta frammentata: il regime di Bashar al-Assad ha mantenuto il controllo di Damasco e delle città lungo la costa, mentre le diverse formazioni ribelli si spartiscono il Nord e il Sud della Siria. Nelle province settentrionali di Aleppo e Idlib, l’Esercito Libero Siriano (formazione laica specchio della Coalizione Nazionale) è impegnato in una faida interna con la formazione jihadista dell’ISIL, riuscito in brevissimo tempo a garantirsi il controllo di parte del Nord Ovest siriano e di città chiave come Raqqah e comunità nelle province di Aleppo e Idlib, fino a Latakia. Come riportato ieri dall’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, però, i miliziani qaedisti hanno perso il controllo dell’area e sono stati costretti alla ritirata da Idlib e Latakia.

Da parte sua Il Fronte al-Nusra, presente in tutto il Paese, controlla per lo più il territorio ad Est ed in particolare Shahadeh e Al-Omar, aree ricche di petrolio. A Nord Est un ruolo consistente è giocato anche dai miliziani curdi, attivi nella provincia di Hasakah e impegnati in scontri contro i gruppi islamisti.

A Sud il regime sta di nuovo avanzando, forte del sostegno militare dei miliziani di Hezbollah. Ieri le forze governative sono entrate nella città di Yabroud, roccaforte dei ribelli, al confine con il Libano. Immagini televisive mostrano i soldati di Assad muoversi nei campi vicino all’ingresso della città con un cartello con su scritto “Benvenuti a Yabroud”. Secondo quanto riportato da fonti dell’esercito, i miliziani del Fronte al-Nusra sarebbero fuggiti verso il villaggio di Rankus a Sud, mentre uomini di Hezbollah e soldati siriani rafforzavano le proprie posizioni anche ad Aqaba, a cinque chilometri da Yabroud. Nena News

La riconquista della città di frontiera garantirebbe a Damasco il controllo delle vie di ingresso di armi e miliziani a favore delle opposizioni. Una città svuotatasi nell’ultimo mese, dopo i primi bombardamenti governativi: sarebbero migliaia i residenti fuggiti da Yarmoud per il timore di un attacco via terra. Nena News

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