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29 agosto 2014

Perché l’America non vuole intervenire in Siria

Tra i consiglieri del presidente Obama c’è una profonda spaccatura tra interventisti e chi invece pensa che non sia il caso di aprire un nuovo fronte di guerra per il paese

In realtà più che l’America è il presidente Barack Obama che è contrario ad un nuovo intervento militare contro l’Isis in Siria. Al punto che dopo la riunione del consiglio di guerra ha detto che “Gli Stati Uniti non hanno una strategia su come affrontare l’Isis.

È il «Daily Beast» a rivelare i retroscena della riunione del gabinetto di guerra di Obama, che si è svolta ieri sera nella Situation Room della Casa Bianca. L’anuncio di Obama ha fortemente deluso chi, all’interno dell’amministrazione, da giorni insiste sulla necessità di attaccare le basi dell’Is sia in Iraq che in Siria, criticando il presidente per l’assenza di un’azione urgente contro una minaccia da lui stesso descritta in termini quasi apocalittici.

Tra i sostenitori di una linea dura non vi sono soli i militari che «hanno lavorato tutta la settimana per preparare i piani chiesti dal presidente per gli attacchi all’Is in Siria», ma anche «funzionari del dipartimento di Stato», rivela il sito riferendosi evidentemente allo stesso John Kerry che già in passato aveva assunto posizioni da falco riguardo alla crisi siriana. Sul fronte opposto vi sarebbero invece «funzionari della Casa Bianca e del Consiglio di Sicurezza Nazionale» guidato da Susan Rice che, come è noto, è sempre stata il consigliere più ascoltato in politica estera di Obama che l’avrebbe voluta al dipartimento di Stato al posto di Kerry se il Senato non avesse bloccato la sua nomina.

Secondo il Beast tra i due fronti «vi sono profonde divisioni». Il falchi infatti chiedono una campagna militare tesa a decimare l’Is sia in Iraq che in Siria, con raid fino alle porte di Aleppo, dove lo Stato Islamico sta avanzando, e con un certo coordinamento militare con le forze dei ribelli moderate. Insomma, chiedono un’offensiva totale tesa a colpire non solo le postazioni militari, ma anche le infrastrutture di comando e controllo, comprese quelle finanziare e gli oledotti che lo Stato Islamico usa per il contrabbando di petrolio che fa entrare nelle sue casse una media di due milioni di dollari al giorno. Ispirato ad una maggiore cautela il fronte opposto che esclude ogni collaborazione con l’Esercito siriano libero (Esl) ed è favorevole a colpire in Siria solo target dell’Is più vicini al confine con l’Iraq con l’obiettivo di tagliare le linee di rifornimento. In pratica un più limitato, allargamento dell’operazione militare già avviata dagli Usa l’otto agosto scorso con i raid in Iraq. Nel gabinetto di guerra siedono, oltre a Kerry, Rice, il ministro della Difesa Chuck Hagel, il vice presidente Joe Biden, il capo degli Stati Maggiori Riuniti, generale Martin Dempsey e gli altri vertici militari, il capo della Cia, John Brennan e gli altri direttori delle agenzie di intelligence. E la comunità dell’intelligence americana è anche a sua volta divisa riguardo alla possibilità di considerare l’Esl – che ha combattuto per tutto l’anno l’Is con poco sostegno internazionale – un partner affidabile per eventuali operazioni di terra, come sta succedendo con i peshmerga curdi in Iraq.

Stando alle fonti citate dal sito, l’ufficio del direttore del National Intelligence, che coordina il lavoro di tutte le altre agenzie di intelligence, ha «stabilito di non considerare seriamente la possibilità di lavorare con l’Esl». Ma funzionari dell’amministrazione Obama rivelano che all’interno dei servizi c’è chi ritiene che vi siano gruppi ed individui all’interno dell’Esl che sono stati controllati e risultano essere potenziali alleati in missioni contro l’Is in Siria. L’esitazione di Obama a dare la luce verde all’operazione militare è in netto contrasto con le dichiarazioni fatte, dalla diffusione del video della decapitazione di James Foley, dall’amministrazione Obama sulla gravità della minaccia dell’Is e del rischio di un suo attacco contro gli Usa. Come quella del ministro della Difesa, Hagel, che ha detto che il gruppo supera «qualsiasi cosa che abbiamo visto » e «costituisce un nuovo paradigma ed una nuova dinamica di minacce contro il nostro paese». Ma dopo la frenata di ieri «uno si domanda quale sorta di segnale questa amministrazione invia all’Is, usando da una parte toni duri ma dall’altra contraddicendoli con i fatti», ha commentato un ex funzionario del Pentagono che ha partecipato all’invasione dell’Iraq. «Non si tratta solo di demoralizzare chi vuole fermare l’Is, ma ora l’Is agirà con maggiore impunità perchè ora crede di averla fatta franca» ha concluso.

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