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20 Marzo 2014

Se Russia e America smettono di parlare: le ricadute siriane della crisi in Crimea
di Lorenzo Biondi

Washington caccia l'ambasciatore di Assad, bombardamenti israeliani sulle alture del Golan: la tensione diplomatica sull'Ucraina si sta già ripercuotendo su altri fronti

A prima vista ha tutto l’aspetto della rappresaglia. Vladimir Putin ha firmato da qualche ora l’atto di annessione della repubblica di Crimea alla Federazione russa e dall’altra parte dell’oceano – è il pomeriggio di martedì – il governo americano annuncia l’espulsione di tutti i diplomatici siriani e la chiusura dell’ambasciata di Siria a Washington. La motivazione: «È inaccettabile che funzionari nominati da quel regime lavorino sul suolo degli Stati Uniti», nelle parole del nuovo “inviato speciale” americano per la Siria Daniel Rubenstein.

Cosa c’entra con l’Ucraina? Fino ad oggi America e Russia hanno lavorato insieme per la soluzione della crisi siriana. Se Putin rifiuta di dialogare sulla Crimea – questo il messaggio dell’amministrazione Obama – non si aspetti un’America “dialogante” su altri fronti. A Mosca il messaggio è stato recepito, e ieri mattina il ministero degli esteri russo ha replicato che la mossa americana compromette il percorso verso una «soluzione politica» della crisi in Siria. Il secondo round di negoziati a Ginevra tra il governo di Bashar al Assad e l’opposizione siriana si è concluso in un sostanziale nulla di fatto: se la collaborazione tra Russia e Stati Uniti si interrompesse, le possibilità (già limitate) di convocare un terzo giro di trattative andrebbero a zero.

Il tutto mentre Israele sta dando segnali di insofferenza sul prolungato stato di guerra civile oltre le sue frontiere. Martedì scorso una mina anti-carro ha ferito quattro soldati israeliani nelle alture del Golan, la regione di confine occupata da Israele dopo la guerra del 1967. Benjamin Netanyahu ha puntato il dito contro «terroristi» sostenuti dalla Siria (leggi: Hezbollah) e, per tutta risposta, ha ordinato il bombardamento di alcuni siti militari siriani. Secondo Damasco l’attacco ha ucciso un soldato siriano, ferendone altri sette: è uno degli incidenti più gravi nel Golan dal 1973 ad oggi. Né la Siria né Israele sembrano intenzionati a dare seguito alla vicenda, ma in caso di ulteriori scontri il gelo diplomatico tra Mosca e Washington – alleate di Damasco e Tel Aviv – non farebbe che complicare la situazione.

C’è un altro fascicolo su cui Russia e Stati Uniti collaborano ormai da alcuni anni: il negoziato sul nucleare iraniano. Proprio in questi giorni, a Vienna, si è svolta una nuova sessione delle trattative con Teheran. L’incontro si è svolto senza particolari contraccolpi: la questione è troppo delicata perché l’amministrazione Obama possa permettersi un fallimento, Crimea o meno. Ma intanto, in Israele, il governo Netanyahu pare scommettere sul flop delle trattative. Il ministro della difesa Moshe Yaalon ha ribadito qualche giorno fa che Israele è pronta ad un attacco unilaterale contro l’Iran: anche quest’anno investirà quasi tre miliardi di dollari in preparativi su quel fronte.

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