Originale: The Nation
http://znetitaly.altervista.org
25 maggio 2014

5 passi concreti che gli Stati Uniti possono fare per porre fine alla crisi in Siria
di Phyllis Bennis
Traduzione di Maria Chiara Starace

Questo articolo si basa su discussioni in corso tra molte organizzazioni nazionali per la pace e la giustizia e conto la guerra.

La guerra civile in Siria si trascina,  e le condizioni per i civili siriani – quelli entro i suoi confini e anche i milioni costretti a scappare in paesi confinanti – continuano a deteriorarsi. Dato che i poteri globali e regionali non solo non riescono ad aiutare a porre fine alla guerra, ma si impegnano attivamente ad armare e finanziare tutie parti in lotta, noi nella società civile dobbiamo intensificare le richieste  ai nostri  governi perché assumano  una posizione diversa.

La crisi è cominciata con un appello popolare a mettere fine alla repressione e di un movimento non violento che chieda l’ammissione di responsabilità da parte del governo e del  presidente siriano Bashar al-Assad e il rilascio dei prigionieri e dei detenuti politici. I traumi economici e ambientali, compresa una siccità rovinosa e il taglio di fondamentali sussidi governativi, hanno sorretto  la crisi. Il governo ha risposto con una promessa di riforma  che non è stata mantenuta, accompagnata da terribili violenze. Molti attivisti siriani e soldati disertori, come replica,  hanno preso le armi, e mentre la battaglia si espandeva, gli islamisti –molti dei quali erano estremisti non siriani, si sono uniti alla battaglia anti-governativa. Dopo tre anni, la guerra civile si è allargata in varie guerre non sovrapposte, ma diverse, a livello nazionale, regionale, di sette e internazionale.

Dobbiamo stare dalla parte di chi lotta per l’uguaglianza, la dignità e diritti umani per tutti i siriani, e seguendo il principio che non esiste alcuna soluzione militare al conflitto. Ulteriore azione militare accrescerà la violenza e l’instabilità, non soltanto in Siria, ma nella regione e anche globalmente – e non migliorerà la vita dei civili siriani assediati.

Seguono qui raccomandazioni  per che cosa è necessario che venga fatto, al più presto possibile.

1.Gli Stati Uniti dovrebbero, prima di tutto, non causare danni. L’amministrazione Obama dovrebbe appoggiare l’attività  decisionale delle Nazioni Unite, la legge internazionale e la diplomazia, invece che la forza militare, e  a  usare bene la sua frequente ammissione che “non c’è nessuna soluzione militare in Siria.” Questo significa nessun attacco militare da parte degli Stati Uniti, o nessuna minaccia di attacchi, e la fine di ogni altro coinvolgimento militare, compresi l’invio di armi. Questo è un problema di principio, non di tempistica, perché anche se i tentativi di un cessate il fuoco, di un embargo sulle armi e della diplomazia non hanno successo immediato, sappiamo che il coinvolgimento militare degli Stati Uniti servirà soltanto a peggiorare le cose.

2. Fermare il coinvolgimento militare degli stati Uniti è soltanto il passo n. 1 ; dobbiamo chiedere una politica che aiuti a mettere fine a questa orripilante guerra civile. Washington dovrebbe chiedere e appoggiare un immediato cessate il fuoco da tutte  le parti e un embargo internazionale  completo su tutte le armi. Dovrebbe annunciare piani immediati per smettere di inviare armi o di consentirne la fornitura alle forze ribelli e per impedire che gli alleati degli Stati Uniti lo facciano, rinnovando allo stesso tempo la pressione sulla Russia e l’Iran perché smettano di inviare armi al governo siriano. Questa richiesta alla Russia e all’Iran avrebbe molto maggiore credibilità se fosse legata a un impegno pubblico degli Stati Uniti a porre fine alla sua propria fornitura di armi. Washington dovrebbe essere preparata a rafforzare e ad attuare accordi  sull’uso finale  delle esportazioni di armi, per esercitare pressione sui suoi alleati regionali, compresi Arabia saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Turchia, Giordania e Israele. Washington  dovrebbe chiarire a questi destinatari delle armi che la fornitura continua di armi a qualsiasi parte impegnata nel conflitto produrrà la cancellazione di tutti i contratti degli Stati Uniti  per le armi con  questi paesi.  Washington dovrebbe essere preparata a sostenere una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che imponga un embargo sulle armi completo e applicabile a tutte le parti del conflitto e dovrebbe anche sostenere i tentativi di creare dei cessate il fuoco locali e delle tregue in tutta la Siria.

3. Malgrado le dimissioni dell’inviato speciale dell’ONU Lakhdar Braihimi, l’amministrazione Obama dovrebbe impegnarsi con la Russia per esortare l’ONU a prendere la guida per la riresa dei negoziati internazionali per una risoluzione politica. Tutte le parti devono essere coinvolte, compresi gli attivisti siriani non violenti, le donne e altri attivisti della società civile, così come i rappresentanti dei profughi siriani, palestinesi, e di altri e di persone che si sono trasferite all’interno del loro stesso paese (IDP- Internally displaced People) perché  costrette a lasciare le loro case in Siria. Tutte le parti al di fuori del conflitto – i vicini regionali della Siria e altri protagonisti internazionali, compreso l’Iran – devono essere incluse. Approfittando del successo dei negoziati in corso con l’Iran, l’amministrazione dovrebbe ampliare il suo impegno con l’Iran allo scopo di contribuire a mettere fine alla guerra siriana.  Washington deve insistere che qualsiasi accordo fornisca protezione a tutte le comunità in Siria e garantisca un rientro sicuro a tutti i profughi a agli  IDP. L’accordo non deve negare i diritti a intere categorie di persone, comprese quelle che hanno operato nel governo, nell’esercito o nelle milizie di opposizione. Una volta che si stabilirà il cessate il fuoco, gli Stati Uniti dovrebbero sostenere anche i tentativi di considerare responsabili tutti gli individui di tutti i lati

Colpevoli di crimini di guerra.

4. La guerra siriana ha creato un’enorme crisi di profughi e umanitaria, che si sta diffondendo nell’intera regione.

Quel disastro sta esplodendo nel contesto delle guerre di Washington in Medio Oriente seguite all’11 settembre, che non hanno risolto le crisi regionali, ma invece le hanno palesemente peggiorate. Più del 40% dei siriani si sono dovuti trasferire. Ci sono ora più di 1 milione di profughi siriani in Libano che mettono a repentaglio la già fragile stabilità sociale dei circa 4,5 milioni di libanesi. L’enorme campo di profughi siriani di Zaatari, in Giordania, ormai delle dimensioni di una città, sta     imponendo pressione sulle scarse  risorse idriche e di altro genere in quel paese desertico.

Questa crisi umanitaria è particolarmente complicata perché coloro che scappano dalla Siria e anche le persone che si sono spostate all’interno del paese  e quelle povere ancora all’interno del paese, comprendono notevoli numeri di profughi di altri conflitti regionali irrisolti. In particolare alcuni palestinesi e iracheni sono diventati profughi tre, quattro o perfino cinque volte. Gli Stati Uniti hanno promesso uno delle più grandi  assegnazione di aiuti umanitari, ma è ancora troppo piccola e gran parte di essa non è stata ancora corrisposta. Con l’annuncio di un immediato embargo di armi, Washington dovrebbe annunciare simultaneamente che un maggiore incremento dell’assistenza ai profughi e dell’assistenza sanitaria venga reso immediatamente disponibile alle agenzie dell’ONU, e dovrebbe chiedere ad altre nazioni che aumentino i loro aiuti e che si coordinino tramite l’ONU.

 5. L’Organizzazione per la Proibizione delle armi chimiche continua a sovrintendere al trasferimento delle armi chimiche siriane al controllo internazionale, in modo che possano essere rimosse oppure distrutte in sicurezza. Washington dovrebbe appoggiare questo e ulteriori tentativi di disarmo, avallando richieste per la creazione di una zona libera da armi di distruzione di massa in tutto il Medio Oriente, senza eccezioni.


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://zcomm.org/znetarticle/5-concrete-steps-the-us-can-take-to-end-the-syria-crisis

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