the Republic Gs
11/09/2014
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19 settembre 2014

“Chi ha paura di Razan Zaitouneh?”: ritratto dell’attivista siriana rapita
di Karam Nachar
Traduzione e sintesi di Claudia Avolio.

A 9 mesi dal suo rapimento, ricordi e considerazioni ci aiutano a capire chi è Razan

Non molto tempo fa, una giovane donna guidava una delle più grandi reti di attivisti siriani messa in opera contro il regime di Assad. Occhi blu, capelli biondi senza velo, padronanza dell’inglese e laurea in legge, strenua secolarista. Razan Zaitouneh non aveva alcun interesse a mettere in mostra queste qualità, né voleva diventare un’icona internazionale. L’universalità della libertà e dei diritti umani – pensava – è un valore che può acquisire vita e significato solo attraverso battaglie sul posto.

Ho sentito parlare di Razan per la prima volta nel 2005. Aveva preso parte a una piccola manifestazione a Damasco e presto erano iniziate a circolare storie sul suo eccezionale coraggio. Razan Zaitouneh aveva innalzato canti contro la famiglia di Assad in un momento in cui, per gran parte dei siriani, solo menzionare il presidente o suo padre era motivo sufficiente a tremare di paura.

Nel 2011 con suo marito Wael Hamadeh e molti altri amici ha creato una formidabile costellazione di Comitati di Coordinamento Locale (LCC). I comitati organizzavano e documentavano le manifestazioni in forma video, registrando il crescente numero di morti, feriti e dispersi. Avevano anche eletto un comitato politico che discuteva di ogni aspetto legato alla rivolta siriana, offrendo una dettagliata visione per una Siria davvero democratica e pluralistica.

Quando la rivolta ha segnato il suo secondo anno, però, la repressione selvaggia del regime di Assad ha reso impossibile per la gente continuare a protestare in modo pacifico. Per molti attivisti civili la trasformazione della rivolta siriana in ciò che è apparso come una guerra civile era insostenibile. Di chi si è sottratto alla morte o alla prigionia, molti hanno deciso di lasciare il Paese, intessendo un racconto di perdita e disillusione.

Ma per Razan, Wael e molti dei loro amici più stretti, questi stessi sviluppi hanno significato dover ricorrere a un maggiore impegno. Per loro gli attivisti civili avevano ora il compito di monitorare le azioni dei ribelli armati, di resistere ai loro eccessi e di costruire istituzioni per un’amministrazione del potere di valore nelle aree liberate della Siria.

Dopo due anni trascorsi nascosta a Damasco, Razan Zaitouneh ha seguito alla fine dell’aprile 2013 l’esempio del noto scrittore Yassin al-Haj Saleh spostandosi nella città liberata di Douma. Tra una popolazione che moriva di fame sotto il costante bombardamento delle forze di regime, Razan ha lanciato un progetto per rafforzare la posizione delle donne ed un centro per lo sviluppo della comunità – sempre continuando a documentare ed assistere le vittime della guerra.

Nell’agosto dello stesso anno Yassin al-Haj Saleh si era spostato a nord, ma sua moglie Samira al-Khalil, Razan, suo marito Wael ed il poeta ed attivista Nazem Hammadi erano ancora a Douma. Il 9 dicembre 2013 sono stati rapiti da un gruppo di uomini armati: ad oggi, il loro destino rimane sconosciuto. Per Razan e Samira essere siriane significava non aver bisogno di conformarsi ad un modello culturale o politico. Già questo sembra aver terrificato le nuove forze islamo-fasciste come le proteste di massa hanno terrificato il regime di Assad.

Ma al di là di questi attori locali, la presenza di persone come Razan Zaitouneh ha anche disturbato la narrativa che il mondo ha trovato più conveniente adottare circa la Siria, vedendo i veri democratici come deboli o del tutto assenti in ciò che era a loro parere solo una guerra civile settaria. Se questo sembra vero ora è solo perché per due anni i veri democratici sono stati lasciati da soli a combattere una dittatura brutale, gli estremisti di Al-Qaeda e signori della guerra corrotti.

Già nel dicembre 2011, quando Amy Goodman ha chiesto a Razan cosa si aspettasse dal mondo, lei ha risposto: “Non mi aspetto più nulla”. Aveva ragione. Il mondo non ha fatto nulla per i siriani come Razan. Perlomeno, non ancora.

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