Editoriale,Numero 212

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15/5/15

 

AQUAE RUBATE. Expo, la Palestina e il silenzio del mondo

 

Bastano pochi minuti e le agenzie di stampa sembrano candidarla come la news del giorno: se a Roma c’è l’istituzione mondiale per il cibo, Venezia potrebbe ospitare una FAO dell’acqua. L’annuncio non viene dalla Milano dell’Expo, ma dal mega evento veneziano Aquae 2015, dedicato appunto ai problemi dell’acqua di tutto il pianeta.

E’ l’ex presidente della Commissione Europea Romano Prodi a lanciare questa proposta inserita in un’articolata Lectio Magistralis che snocciola dati allarmanti sul diritto all’acqua potabile in tutto il mondo.

“Una volta tanto cerchiamo di prevenire i problemi -conclude saggiamente Prodi- per non stupirci quando, nei prossimi anni, ci saranno tensioni sempre più forti nei vari paesi per il problema dell’acqua”.

Peccato che nessuna delle massime autorità presenti, da Renzi ai più grandi esperti di questioni idriche mondiali, non denunci che la “Lectio” di Prodi non è in realtà tanto “Magistralis”, visto che dimentica completamente anche solo di citare con una battuta il Paese che nel mondo subisce le più palesi violazioni del diritto all’acqua, la Palestina.

Quello che la Banca Mondiale (non una sconosciuta ONG palestinese) definisce come “apartheid idrico” è in realtà una realtà conosciuta da decenni e denunciata ripetutamente dalle Nazioni Unite. I dati vengono citati nelle ricerche che ogni insegnante delle scuole medie esige dai suoi ragazzi:

il consumo giornaliero medio dei palestinesi è di 70 litri di acqua a persona, quello degli israeliani è di 300 litri. Ogni minuto nella Valle del Giordano in Palestina, l’acqua dei palestinesi viene rubata dai coloni israeliani. Insomma, il classico esempio di diritto palesemente negato e violato. Il 92% delle risorse idriche palestinesi è sotto totale controllo di Israele, mentre solo il 18% è concesso alla popolazione palestinese. Ma ci fermiamo qui con i dati, perchè chiunque, anche Romano Prodi, può agevolmente digitare su Google acqua e Palestina per portare chiunque alla ovvia conclusione: In Palestina è in atto una vera e propria discriminazione rispetto all’accesso alle risorse idriche, un apartheid che toglie all’Autorità Palestinese dell’Acqua (PWA) la possibilità di gestire il proprio diritto di accesso all’acqua.

In realtà, a settembre scorso l’evento mondiale di Aquae sembrava affidato proprio allo stato di Israele. I giornali davano rilievo alle visite dell’Ambasciatore israeliano Gilon proprio nella città lagunare, che si apprestava a diventare capitale mondiale dell’acqua: “Sul tema dell’acqua gli israeliani sono tra i primi del mondo”, aveva dichiarato Gilon a Venezia: “In Israele abbiamo messo a punto cinque impianti di desalinizzazione dell’acqua marina e siamo il Paese più all’avanguardia nel risparmio dell’acqua”. (Gazzettino, 16 settembre 2014).

Insomma, chi è responsabile di fronte al mondo della più vasta e profonda colonizzazione con relativo accaparramento di ogni risorsa, non solo idrica, palestinese, diventa modello da esportare ovunque nel mondo. La negazione totale del diritto all’acqua diventa prototipo esportabile che non deve scandalizzare nessuno. La nazione leader a livello di competenze e di know-how in tema di modelli di governo e di gestione delle risorse idriche sia per uso umano che per uso produttivo, può contare sull’appoggio internazionale per far dimenticare la spiacevole immagine di potenza occupante di nuovo pronta a scatenare su Gaza l’ennesimo massacro di migliaia di civili.

Ma se vi state chiedendo perchè tutto questo viene rigorosamente taciuto, andate a vistare Expo a Milano e cercate il Padiglione della Palestina. Nel sito ufficiale non lo avete certamente trovato, ma se chiedete a qualcuno, forse prima di sera raggiungerete il mini-padiglione che orgogliosamente mostra un grande ulivo e tante ricchezze della terra palestinese. Il Consolato Generale d’Italia a Gerusalemme aveva da tempo annunciato che Expo sarebbe stato “un importante evento per lo sviluppo economico della Palestina e un ulteriore momento di dialogo verso un cammino di pace” e l’Autorità nazionale palestinese ha dato il massimo impegno per mostrare tutta la voglia di diventare un Paese normale come tutti gli stati del mondo.

Resta un piccolo problema: se la sua esistenza non è in discussione, il riconoscimento della Palestina come Stato appare un ostacolo insormontabile, una concessione che solo Israele potrebbe fare.

Per questo non c’è FAO che possa influire, né a Roma né a Venezia né a New York sulla liberazione economica e politica della Palestina, terra straordinaria dove radici millenarie riceverebbero l’acqua sufficiente per piante, animali e abitanti.

Alla Palestina non resta che attendere.

Forse nei prossimi mesi qualche visitatore importante di Expo 2015, dopo aver sostato a lungo nell’affascinante Padiglione di Israele, “decisamente tra i primi per tecnologia e sfoggio di potere economico”, resterà più modestamente affascinato dallo slogan delle stanze concesse alla Palestina: “VECCHIA COME UN ALBERO DI ULIVO E GIOVANE COME UN’OLIVA”

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