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Lunedì 30 novembre 2015

 

Cyberattivisti d'Africa. Guardiani della democrazia

di Luciana De Michele

 

L’avvento di Internet e dei social network in Africa sta generando nuove forme di mobilitazione della società civile. Sono sempre più frequenti le iniziative sul web che difendono i diritti democratici e umani dei cittadini africani. Nei giorni scorsi a Dakar i web attivisti di 35 paesi del continente si sono riuniti per far fronte comune.

 

Si sono riuniti a Dakar dal 25 al 27 novembre, armati di computer, tablet e tanta voglia di confrontarsi per costituire un fronte unico: sono i web attivisti di 35 paesi africani, approdati nella capitale senegalese per il lancio ufficiale della piattaforma web “Africtivistes” (Lega dei cyber attivisti africani per la democrazia). A rappresentare quanti sono perseguitati o censurati perché denunciano i propri governi, ci hanno pensato alcune poltrone lasciate simbolicamente vuote e alcuni blogger e attivisti gambiani, congolesi e ciadiani rifugiati in Europa.

 

Sentinelle web della democrazia

A partecipare all’incontro, infatti, c’erano sia singoli cittadini che militanti dei “movimenti cittadini” sorti più o meno recentemente in tutto il continente per opporsi alle derive dittatoriali dei loro presidenti, che hanno cercato – e che spesso ce l’hanno fatta – di cambiare la Costituzione per ricandidarsi ai diversi appuntamenti elettorali: tra gli altri, il movimento ispiratore “Y’en a marre” (“Ne ho abbastanza”), nato in Senegal nel 2012, “Balai citoyen” (“Scopa cittadina”) del Burkina Faso, “Filimbi” (“Fischiare”) e “Lucha” (“Lotta”) in Repubblica democratica del Congo, “Sassoufit” (“Questo è sufficiente”, con un gioco di parole relativo al presidente Denis Sassou Nguesso) in Congo Brazzaville.

Blogger e tecnici del web hanno discusso per tre giorni su come agire in sinergia sul web per lottare contro gli abusi di potere dei presidenti in carica, difendersi dalla violazione dei diritti umani, promuovere la coscienza civica e la democrazia partecipativa. «Per noi la trasparenza è alla base della buona gestione del potere. Per questo ci siamo impegnati nel processo elettorale appena trascorso in Guinea con il progetto “Guinée vote” (“Guinea vota”)», spiega Fode Kouyate, presidente dell’associazione di blogger guineani “Ablogui”. «Abbiamo selezionato blogger in tutto il paese e li abbiamo formati in tecniche di osservazione delle operazioni di spoglio delle schede e di diffusione istantanea delle informazioni sui social network», continua.

Con la campagna “Je vote et je reste”, anche “Balai Citoyen” ha mobilitato la popolazione a vegliare sul buon svolgimento degli scrutini del 29 novembre in Burkina Faso. Nato nel 2013 per impedire all’allora presidente Blaise Campaore di ripresentarsi alle elezioni dopo 26 anni di potere, il movimento burkinabè, come gli altri, utilizza la rete come strumento di lotta: «Senza la pagina facebook e youtube sarebbe stato più difficile sollevare il popolo. Anche durante il tentativo di colpo di Stato di settembre scorso, Tv e radio erano fuori gioco, ed è grazie a internet che ci siamo scambiati informazioni. Persino le milizie rimaste fedeli al governo cercavano un legame con la popolazione comunicando con noi sui social network», afferma Souleymane Ouedraogo, portavoce del movimento.

 

Contro i dittatori

Oltre che a contribuire alla costruzione della democrazia, internet inizia infatti anche in Africa subsahariana a giocare un ruolo importante proprio dove questa è ancora negata. Dal canto loro, i leader africani cominciano a comprendere il pericolo: e se anche decidono di non oscurare la rete, tanti sono i controlli o la difficoltà di accesso a una buona connessione. «La coalizione “Trop c’est trop” (“Troppo è troppo”) esiste da un anno ed è formata da 23 organizzazioni della società civile, in Ciad e all’estero. Vogliamo creare un fronte comune per denunciare gli abusi di potere e la repressione che Idris Deby, al potere in Ciad da 25 anni, sta perpetrando al suo popolo.

Oggi i giovani ciadiani sono superconnessi: tanti vendono le loro motociclette per comprarsi uno smartphone. Internet aggira la censura dei media tradizionali. Per questo la connessione è molto debole e tanto cara», spiega l’attivista Abdelkerim Koundougoumi.

In Rdc, le teste del movimento “Filimbi” sono in carcere (si veda la campagna http://www.luchacongo.org) o esiliati. Tra questi, Floribert Anzuluni, coordinatore del movimento, ha partecipato al summit: «Oggi anche da fuori comunichiamo con alcuni punti focali del movimento nei villaggi, via facebook e whatsapp: nel 60% del paese la gente si collega a Internet tramite telefono».

Sostenuti da alcune organizzazioni come “Internet senza Frontiere” e “Articolo 59” e da esperti del settore, i cyber attivisti mirano in alto: «elaboreremo un report che invieremo all’Unione Africana e alla Cedeao (Comunità economica degli Stati dell'Africa Occidentale) per chiedere di diventare osservatori di queste istituzioni che ci rappresentano. Vogliamo, infatti, essere anche propositivi: abbiamo idea e voglia di farci ascoltare», dichiara Cheikh Fall, presidente di Africtivistes.

Una nuova generazione di africani dunque si prepara, più istruita, cosciente, “tecnologizzata” e connessa con il resto del mondo. C’è da chiedersi se sarà all’altezza di condurre, prima o poi, una “primavera” tutta africana. Magari a colpi di twitter.

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