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Venerdì 18 settembre 2015

 

Cosa ha mosso il golpe

di Aurelio Boscaini

 

Il colpo di stato che mercoledì sembra aver spazzato via le speranze di democrazia del popolo del Burkina Faso. A guidare il paese ora c'è Gilbert Diendéré, uomo vicino all'ex presidente Campaoré deposto lo scorso ottobre dopo 27 anni di potere indiscusso.

 

Ci eravamo tanto illusi che “il paese degli uomini integri”, dopo essersi levato di torno con un colpo di forza popolare il dittatore Blaise Compaoré, per 27 anni alla guida del paese, potesse finalmente scegliere democraticamente il suo presidente in elezioni fissate per domenica 11 ottobre. E invece…

Sono le 7.30 di giovedì 17 settembre quando alla televisione pubblica burkinabè, un grassoccio militare in uniforme del Reggimento di sicurezza presidenziale (Rsp), annuncia le dimissioni del presidente della transizione Michel Kafando, quella del governo di Isaac Zida e la sospensione del Consiglio nazionale di transizione (Cnt) o parlamento. Si presenta a nome del Consiglio nazionale per la democrazia (Cnd) che ha deciso «di porre fine al regime deviante della transizione che si è progressivamente allontanato dagli obiettivi di rifondare una democrazia consensuale». Afferma ancora che il Cnd intende «dar vita a un processo coerente, giusto e equilibrato che porterà a stabilire un sistema istituzionale robusto». Che significa? Il Cnd annuncia inoltre che una «larga concertazione è avviata per formare un governo che si consacrerà a rimettere il paese in ordine e a restaurare la coesione nazionale per arrivare a elezioni inclusive e pacifiche».

È nel pomeriggio di mercoledì che i militari del Reggimento di sicurezza presidenziale (Rsp), 1200 uomini, i meglio armati del paese, diretti dal generale Gilbert Diendéré, ex capo di stato maggiore del presidente costretto alla fuga a fine ottobre 2014, Blaise Compaoré, sequestrano i membri dell’esecutivo, tra cui il presidente Michel Kafando e il primo ministro Zida. Il primo è stato liberato oggi dalle forze golpiste, come preannunciato stamane ai media locali Omega FmBurkina 24. Del secondo, un ex del Rsp, ha il torto di essersi smarcato dalle azioni dei suoi ex compagni e di essere quindi visto come “traditore” da Dienderé, ancora non si sa nulla.

La comunità internazionale ha reagito subito con vigore, condannando il colpo di stato. Parigi, paese colonizzatore dell’Alto Volta ora Burkina Faso, condanna «con fermezza il colpo di stato», Washington si dice «profondamente preoccupata» e la responsabile della politica europea, Federica Mogherini, lancia un appello «al rispetto della transizione e dell’interesse generale.

L’Onu ha parlato apertamente di colpo di stato e i 15 membri del Consiglio di sicurezza lo hanno all’unanimità condannato. Anche l’Unione Africana ha subito condannato l’azione dei militari e affermato che continua a considerare legittimo il presidente Michel Kafando. La mediazione internazionale è stata affidata a Macky Sall, presidente del Senegal e della Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale (Ecowas/Cedeao), che si era già occupato della crisi burkinabè in ottobre ed è arrivato oggi a Ouagadougou.

 

Una strana coincidenza

Analizziamo ora alcuni aspetti che possono aver provocato tutto questo. Caso vuole che proprio nella mattinata di giovedì 17 settembre erano attesi i risultati dell’autopsia di Thomas Sankara. Parti civili e giudici erano stati già convocati. Per la vedova dell’ex presidente del Burkina, Mariam Sankara. Da non crederci ma il generale Diendéré è probabilmente implicato nell’assassinio del marito, «perché allora era il responsabile dei militari in custodia del presidente». Nel 1987, il generale Diendéré, infatti, era alla testa del Reggimento di sicurezza presidenziale, l’unità d’élite dell’esercito burkinabè. Lui aveva supervisionato, quel 15 ottobre, l’arresto di Thomas Sankara.

L’inchiesta sull’assassinio del primo presidente del Burkina Faso era stata rilanciata dal governo di transizione dopo l’insurrezione popolare che nell’ottobre 2014 aveva portato alla caduta Compaoré, compagno d’armi di Sankara.  Evidente la coincidenza tra la data del golpe e l’uscita del rapporto del giudice d’istruzione.

 

Il legame con Campaoré

La società civile nella giovedì si è subito mossa scendendo in piazza per difendere quanto ottenuto un anno fa e il diritto alla democrazia in Burkina. Ma questa volta, “i berretti rossi” non scherzano e tirano a pallottole vere. Certo, nessuno vuole un bagno di sangue, dicono il golpisti, ma c’è chi ha già cominciato a contare i morti e i feriti (10 vittime e almeno una sessantina di persone in ospedale, Secondo fonti locali). D’altronde come far digerire al popolo burkinabè se non con la forza un colpo di mano che sembra annullare quanto fatto per liberarsi da quel Compaoré che non voleva lasciare il potere? Il 21 ottobre dello scorso anno, infatti, Blaise aveva annunciato la sua volontà di cambiare l’articolo della Costituzione che gli impediva un terzo mandato. Da lì la protesta popolare che lo aveva costretto alla fuga.

Mentre scoppiano nuove violenze c’è chi festeggia. Il Congresso per la democrazia e il progresso (Cdp), il partito di Compaoré, in particolare. Infatti lo schieramento politico non era riuscito a presentare alcun candidato alle prossime presidenziali. Ma Dienderé sembra essere arrivato proprio in suo soccorso. Così, infatti, il generale giustifica il golpe: «Pensiamo che le elezioni che dovevano tenersi tra tre settimane non sarebbero state ben organizzate, tenuto conto che l’adozione della legge sul codice elettorale esclude un certo numero di personalità».

Vero. I burkinabè ne avevano abbastanza di chi aveva usato la Costituzione a proprio uso e consumo per arroccarsi al potere per 27 anni. Normale impedirlo. Il 7 aprile scorso, dunque, i deputati del Consiglio nazionale di transizione avevano votato a larga maggioranza la modifica del codice elettorale, rendendo “ineleggibili” tutti quelli che avevano «sostenuto un cambiamento costituzionale attentando al principio dell’alternanza democratica». I partiti dell’ex maggioranza Comaporé, in primis il suo, avevano gridato allo scandalo e fatto appello alla Corte di giustizia della Cedeao (Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale). La Corte gli aveva dato ragione e aveva chiesto che venissero rimossi gli ostacoli alla loro partecipazione. Ma poi chi di dovere aveva invalidato le candidature dei simpatizzanti dell’ex-presidente.

Molti analisti, dato questo tempismo e il legame che univa Diendéré all’ex-presidente Compaoré, hanno subito pensato a una manovra di quest’ultimo per riprendere il potere. Ma intervistato dall’emittente France 24, il generale Diendéré ha detto che il golpe non è stato orchestrato dall’ex presidente e che i due non si sono mai sentiti a riguardo.

 

Si rischiava di perdere il potere

Ma oltre ai risultati dell’autopsia sul corpo di Thomas Sankara, e ai legami con il partito di Campaoré, il colpo di stato di Dienderé si spiega anche con la raccomandazione fatta dalla Commissione nazionale di riconciliazione e delle riforme (Crnr), resa pubblica soltanto lunedì scorso, in cui si chiedeva di sciogliere il Reggimento di sicurezza presidenziale. Si, proprio quello che ha preso il potere.

Le testuali parole del presidente della Crnr, monsignor Paul Ouédraogo, arcivescovo di Bobo-Dioulasso erano state: «Raccomandiamo di sciogliere il Reggimento di sicurezza presidenziale, nel quadro della rifondazione dell’esercito». Il vescovo presentava in quell’occasione il rapporto di sei mesi di lavoro della Crnr. Per i membri della Crnr la protezione del capo dello stato deve essere affidata a una unità di élite composta dalla gendarmeria e dalla polizia. La commissione proponeva inoltre un referendum per il 31 gennaio prossimo in concomitanza delle elezioni municipali per adottare una nuova Costituzione che avrebbe soppresso la pena di morte e renderebbe obbligatorio il servizio militare. Una carta che sopprimerebbe l’amnistia concessa agli ex capi di stato, che prevedrebbe che i reati di ministri e capo di stato in funzione divenissero competenza del diritto comune. Significava perdere i privilegi.

Nessuno fa harakiri. Ed ecco dunque, a tre settimane dal voto, i 1200 berretti rossi, la truppa meglio formata dell’esercito burkinabè, che risponde e blocca tutto, ne va anche della sua sopravvivenza.

Una risposta già anticipata a fine giugno, quando quegli stessi uomini avevano provocato una crisi politica, esigendo le dimissioni del primo ministro, il luogotenente-colonnello Isaac Zida, numero 2 dello stesso reggimento, perché anche lui ne aveva chiesto pubblicamente lo scioglimento.

In soldoni, si tratta dell’ultimo atto di forza degli uomini armati e di una classe dirigente attaccata al potere. Riuscirà la società civile burkinabè a fermarlo?

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