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Lunedì 27 aprile 2015

Il contingente fantasma
di Viky Charo

Una fuga di documenti segreti rivela l’esistenza di un contingente di 4000 keniani di origine somala addestrato ed inviato dal Kenya in Somalia un anno prima dell’intervento militare ufficiale del paese. L’obiettivo era quello di combattere Al Shabaab, ma si ammutinò, e ora alcuni di quei soldati potrebbero essere dietro agli attacchi terroristici degli ultimi tempi.

Due anni prima del suo ufficiale ingresso militare in Somalia, il Kenya aveva addestrato segretamente 4.000 giovani di origine somala, inviandoli nel paese vicino per combattere Al Shabaab. Un contingente di cui si è quasi subito persa traccia. A rivelarlo sono una serie di documenti segreti, pubblicati dal sito WikiLeaks, che evidenziano come l’allora governo di Mwai Kibaki abbia agito, nonostante il parere contrario degli alleati, spinto dal timore per l’aumento dell’attività di reclutamento da parte degli jihadisti in territorio keniano.
La storia
I file rivelano che il Kenya iniziò a manifestare ai partners la sua intenzione di intervenire in Somalia fin dal settembre 2009, dopo il ritiro del contingente etiope da Mogadiscio, ma che - nonostante le forti pressioni esercitate dall’allora primo ministro Raila Odinga, dal ministro degli Esteri Moses Wetangula, dal ministro della Difesa Yusuf Haji e da quello della Sicurezza Nazionale George Saitoti - gli Stati Uniti avevano sempre negato il loro sostegno ad un intervento armato del Kenya in Somalia. Così, evidentemente, il governo decise di fare da sé. Ufficialmente, Nairobi addestrava membri della polizia somala, ma in realtà preparava un contingente di 4.000 giovani keniani di origine somala, provenienti per lo più da Mandera e Garissa, da inviare oltreconfine. Reclute arruolate con la promessa di un alto stipendio (circa 2.700 dollari al mese), benefici a vita - tra cui un’assicurazione per loro e i famigliari - e terreni sulla costa somala. «Il governo promise di pagare in dollari - rivela oggi un ex ufficiale che partecipò all’addestramento - assicurando che i soldi sarebbero arrivati direttamente dagli Stati Uniti e dall’Onu».
«Le reclute sono state attratte con promesse di denaro, è stato detto loro che avrebbero operato sotto l’egida dell’Amisom (la missione dell’Unione Africana in Somalia) e che sarebbero poi state integrate nell’esercito keniano» scrisse, infatti, l’ambasciatore statunitense Michael Ranneberg ai suoi vertici nel febbraio 2010.
L’ammutinamento
Ma questi giovani, altamente preparati sotto il profilo militare, una volta entrati in Somalia per lottare contro Al Shabaab hanno, invece, iniziato a nutrire sentimenti di rabbia e desiderio di vendetta contro il proprio governo, perché le promesse a loro fatte non sono state mantenute. «Invece di combattere - riferisce al quotidiano Daily Nation un ex direttore dell’intelligence kenyana coperto da anonimato - si sono dissolti, tornando ai loro rispettivi clan di appartenenza, portando però con loro le armi». E facendo perdere le proprie tracce.
Fonti di intelligence ritengono ora che molti si siano uniti al nemico e che alcuni possano essere dietro agli attacchi terroristici compiuti in Kenya (come quello recente di Garissa). Altri sarebbero invece rientrati nelle regioni di Nordest, divenendo così “cellule silenti”, in attesa di comandi per compiere attentati.
In un messaggio privato, inviato il 2 ottobre 2010 all’ambasciatore statunitense William Bellamy, il ministro degli Esteri di Djibuti, Mahmoud Ali Yousouf, avverte che questa operazione avrebbe avuto ripercussioni negative sul Kenya. «Gli estremisti - scrive Yousouf - useranno questo intervento di Nairobi, come scusa per minarne la sicurezza interna». Parole profetiche, anche perché il governo Kibaki, invece di riflettere sulle cause e sulle conseguenze di questa fallimentare politica, decise di andare avanti.
L’intervento
Invocando l'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, che sancisce il diritto intrinseco di ogni Stato all’autodifesa, un anno dopo, il 16 ottobre 2011, il Kenya diede il via all’operazione Linda Nchi (Proteggere il paese), intervenendo militarmente in Somalia - nella regione di Gedo and Lower Juba - a fianco dello scarno contingente del governo federale di Mogadiscio, sostenuto dalla brigata Ras Kamboni. Obiettivo: sottrarre ad Al Shabaab il controllo del porto di Kisimayo ed istituire una “zona cuscinetto” lungo il confine.
Proprio il “signore della guerra” di Ras Kamboni, Ahmed Madobe, sembra aver avuto un ruolo di primo piano nel “vendere” al Kenya l’idea di un intervento militare in Somalia.
I signori della guerra
Files pubblicati da WikiLeaks indicano, inoltre, che fu lui a rivelare agli Stati Uniti l’intenzione di Nairobi di entrare in Somalia nel 2009. Madobe fu governatore di Kisimayo durante il dominio imposto dall’Unione delle corti islamiche (Uci), che presero il controllo di Mogadiscio e di ampie regioni del sud e del centro, prima di essere cacciate dalle forze armate etiopi, alla fine del 2006. Entrò quindi a far parte di Al Shabaab, dal quale poi disertò. Fu sempre Madobe - una volta tornato a Kisimayo, nel 2009 - a chiedere ad un altro “signore della guerra” di Ras Kamboni, Ibrahim Shukri, di allearsi a lui nella lotta ad Al Shabaab cercando il sostegno del Kenya, degli Stati Uniti e del governo somalo, per la creazione di un governo regionale (Jubaland).
Incoerenza Le forze armate keniane entreranno a far parte formalmente dell’Amisom solo alla fine del 2012, dopo la conquista di Kisimayo. Oggi, due anni e mezzo dopo, non esiste alcuna “zona cuscinetto” tra i due paesi e Nairobi, nel tentativo di proteggersi da attacchi terroristici sempre più frequenti, sta invece costruendo un muro lungo il confine. Il presidente Uhuru Kenyatta, ribadisce che l’esercito kenyano non lascerà la Somalia «fino a quando il paese non sarà stabilizzato», mentre l’ex primo ministro Raila Odinga - che fu primo fautore dell’intervento armato - dalle file dell’opposizione chiede invece, il ritiro delle truppe.

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