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Martedì, 21 Luglio 201

 

Un Paese in bilico

di Danilo Ceccarelli

 

Si combatte ancora nel nord del Paese ma i problemi del Mali sono anche altri e i suoi vicini non sono osservatori disinteressati.

 

A tre anni dallo scoppio di una crisi senza precedenti nella storia del Paese, il Mali ancora non riesce a trovare una soluzione che gli permetta di uscire dall’impasse geopolitica in cui è finito. La questione securitaria rimane il principale problema da risolvere, con la zona settentrionale minacciata dai gruppi di ribelli tuareg e lo spettro jihadista che continua ad aleggiare su tutto il Sahara Occidentale. L’ondata di violenza che a fine aprile è tornata a sconvolgere il nord del Paese ha visto i ribelli separatisti del Mnla (Movimento nazionale per la liberazione dell’Azawad) fronteggiarsi con le truppe dell’esercito regolare, aiutate dai Tuareg appartenenti al gruppo filogovernativo della Gatia (Gruppo di autodifesa tuareg Imghad). Al centro della contesa c’è ancora una volta l’Azawad, termine utilizzato per indicare quella zona a cavallo tra il Sahara e il Sahel, situata nella parte settentrionale del Mali.

Gli “uomini blu” ne rivendicano l’autonomia dal 1958, due anni prima dell’ottenimento dell’indipendenza dalla Francia.

I nuovi disordini sono sopraggiunti in un momento estremamente delicato per il Paese. Cominciate otto mesi fa sotto la supervisione dell’Algeria, le negoziazioni di pace tra governo e fazioni tuareg sono arrivate ad un punto di svolta il 1° marzo, quando è stato finalmente presentato un accordo. La proposta ha trovato fin da subito un riscontro positivo da parte dei rappresentanti del governo di Bamako e dei gruppi filogovernativi. Più difficile è stato convincere il Cma(Coordinazione dei movimenti dell’Azawad), sigla che racchiude al suo interno i gruppi armati separatisti come il Mnla, che in un primo tempo aveva rifiutato per poi tornare sui suoi passi dopo le forti insistenze da parte della mediazione. L’accordo non prevede grandi cambiamenti, visto che non riconosce in alcun modo l’indipendenza dell’Azawad, limitandosi ad accettarlo in quanto realtà socioculturale e a rilasciare alcune concessioni amministrative alle regioni del nord, come la creazione di assemblee regionali. Nonostante ciò, la comunità internazionale ha esercitato pressioni sui negoziati affinché si arrivasse ad una conclusione che, seppur non risolutiva, mettesse fine alle ostilità.

Gli ultimi scontri, però, hanno fatto saltare la partecipazione dei gruppi ribelli alla cerimonia per la firma del patto svoltasi il 15 maggio a Bamako. Il Cma si è limitato a siglare il trattato il giorno prima ad Algeri, reclamando nuove negoziazioni. Senza la firma definitiva dei ribelli, il processo di pace resta così incompiuto.

Al problema tuareg si aggiunge poi quello del terrorismo islamico. Dopo l’intervento militare della Francia con l’operazione Serval nel gennaio 2013, seguita sei mesi dopo dai caschi blu della Minusma, i gruppi jihadisti di Aqmi (Al-Qaeda nel Maghreb islamico), del Mujao (Movimento per l’unicità della jihad in Africa Occidentale) e di Ansar Dine che si erano installati nel nord del Paese sono stati costretti a ripiegare verso la Libia. In questi ultimi mesi c’è stato un susseguirsi di nuovi attentati in tutto il Paese, arrivando a colpire il 6 marzo, per la prima volta, anche la capitale, con un attentato rivendicato da Al-Mourabitoune (una katiba di Aqmi) che ha provocato la morte di 5 persone.

Salito al potere dopo regolari elezioni nell’agosto 2013, il Presidente Ibrahim Boubacar Keita fatica a mantenere le promesse fatte durante la campagna elettorale. L’immagine di uomo forte e risoluto a cui si erano abituati i Maliani durante il suo mandato come Primo ministro tra il 1994 e il 2000 si sta lentamente sgretolando.

Alle difficoltà riscontrate nella risoluzione dei problemi securitari, si aggiungono quelle legate alla corruzione nei palazzi di Bamako. Secondo un rapporto recentemente pubblicato dalla Corte dei Conti, tra il 2013 e 2014 le casse dello Stato avrebbero perso quasi 234 milioni di euro a causa dei rapporti clientelari e del malaffare praticato dai dirigenti statali.

Tra i principali attori nella risoluzione diplomatica c’è l’Algeria, che ha rimpiazzato il Burkina Faso come interlocutore nelle trattative tra Stato e ribelli. Algeri non è nuova a questo ruolo, avendolo già ricoperto in seguito alle rivolte del 1991 e del 2006. Oltre a poter controllare probabili infiltrazioni terroriste provenienti dal Mali settentrionale, il governo di Bouteflika ha forti interessi nell’affermare la sua leadership anche nella zona subsahariana, soprattutto per contrastare l’avanzata del Marocco, sempre più interessato ad estendere la sua influenza in Africa Occidentale. Secondo indiscrezioni trapelate su alcuni quotidiani di Bamako, dietro l’atteggiamento ostile dei ribelli del Cma ci sarebbe Rabat, intenzionato a destabilizzare il processo di riconciliazione per indebolire il peso politico del rivale maghrebino.

Prendendo in esame questi aspetti esterni, la crisi non resta circoscritta all’interno dei confini del Mali ma assume una valenza internazionale da cui dipenderà la stabilità di tutta la zona sahelo- sahariana dei prossimi anni. 

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