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06.07.2015

 

Nigeria, tra scontri e crisi politico-economica: la sconfitta di Boko Haram è ancora lontana

di Emanuele Vena

 

La cittadina di Jos – situata nello Stato del Plateau, nella parte centro-orientale della Nigeria – è stata teatro degli ultimi due gravi attentati che hanno colpito il Paese nell’ultima settimana, evidenziando una recrudescenza degli scontri che cozza con i proclami portati avanti dal nuovo presidente Muhammadu Buhari. Perché se il presidente considera la scia di sangue degli ultimi giorni come il canto del cigno dei fondamentalisti di Boko Haram, la realtà sembra essere piuttosto diversa.

Gli ultimi due attentati di Jos – in un ristorante ed in una moschea il cui imam era considerato un obiettivo dai fondamentalisti – hanno provocato 44 morti ed almeno altrettanti feriti, secondo quanto dichiarato dalle autorità locali. Ma anche in assenza di rivendicazioni ufficiali, sembra evidente il legame con gli altri episodi di violenza che in una settimana hanno provocato oltre 200 morti, in gran parte nelle zone del Borno e dello Yobe, due degli Stati del nordest maggiormente interessati dall’offensiva di Boko Haram. La stessa cittadina di Jos aveva subito altri due attacchi di matrice fondamentalista tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015, i quali avevano provocato oltre 40 morti.

E così, ad oltre tre mesi dall’elezione di Buhari, ciò che resta sul campo è la totale assenza di un serio programma di contrasto dell’offensiva fondamentalista, al di là delle promesse avanzate dallo stesso presidente durante la campagna elettorale, volti a portare avanti una “linea dura” contro la minaccia jihadista e che avevano evidentemente spinto la popolazione a preferirlo rispetto ai facili proclami del suo sfidante nonché predecessore Jonathan. Ma se il curriculum pregresso di Buhari non sembrava infondere particolare fiducia, ad aggravare ulteriormente la situazione è l’assoluto immobilismo seguito allo sbandieramento di un nuovo piano per sconfiggere Boko Haram, presentato a metà giugno ed ancora totalmente sulla carta.

Il problema è che, al di là dei successi registrati dalla coalizione internazionale negli ultimi mesi, con la riconquista di diverse zone cadute nelle mani dei fondamentalisti, la struttura di Boko Haram sembra ancora sostanzialmente intatta. Una situazione che – come sottolineato qualche tempo fa anche dall’analista Ryan Cummings alla BBC non diminuisce minimamente la capacità potenziale dell’organizzazione di riorganizzarsi e portare avanti nuove offensive dentro ma anche fuori dalla Nigeria, come dimostrato dagli attacchi portati nelle ultime settimane in Niger e Ciad. Tanto più dopo il giuramento di fedeltà al califfato, sancito nel marzo scorso, che potrebbe favorire il perfezionamento delle tattiche di guerriglia portate avanti sino ad ora dall’organizzazione.

A ciò si aggiungono le difficoltà economiche che hanno flagellato ulteriormente la Nigeria nell’ultimo periodo, con il crollo della naira – la valuta nazionale – e dei prezzi del petrolio, un settore i cui ricavi sono diminuiti di oltre 20 miliardi di dollari. Per non parlare dello stallo politico, che ha portato Buhari ad incolpare il suo predecessore Jonathan della lentezza nella formazione del nuovo esecutivo, il cui team di ministri potrebbe vedere la luce addirittura non prima di settembre. Aspetti che, aggiunti ad una corruzione che non accenna a diminuire – e che è uno degli elementi chiave della debolezza dell’esercito nazionale – offrono un quadro poco idilliaco in una prospettiva di medio-breve termine.

Intanto Buhari nella seconda metà di luglio dovrebbe incontrare il presidente statunitense Barack Obama alla Casa Bianca, per approfondire i discorsi e le strategie per fiaccare definitivamente la minaccia jihadista con il sostegno statunitense sia alle truppe locali – tramite attività di addestramento – sia all’economia nigeriana. 

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